Conoscere a fondo un problema, si sa, è il primo passo per risolverlo. Per questo l'European Youth Forum, organizzazione transnazionale di tutela dei diritti dei giovani, ad aprile aveva avviato il sondaggio online «Internship experience in Europe», allo scopo di monitorare la qualità dello stage a livello comunitario ed ipotizzare delle linee correttive mirate. Dopo quattro mesi di raccolta dati e oltre 3mila questionari completati, sono stati da poco diffusi in anteprima i risultati all'interno del rapporto «Interns revealed» curato dalla 26enne lettone Santa Ozolina, responsabile Lavoro e affari sociali dello EYF.
Ed ecco svelato il prototipo dell'eurostagista: è giovane, tra i 20 e i 25 anni, ha all'attivo una o due esperienze significative, a cui è arrivato in genere via web mosso dalla volontà di essere più competitivo sul mercato occupazionale - anche se poi proprio la mancanza di lavoro è una leva motivazionale forte, che spinge allo stage ma declassandolo a ripiego in attesa di tempi migliori. L'eurostagista è comunque fiducioso, e pensa all'internship come ad un investimento su di sè - poco redditizio, dicono i dati - per cui è disposto a soprassedere alla mancanza di una remunerazione, a cui in genere supplisce la famiglia di origine.
Dal rapporto, molto simile all'«Identikit degli stagisti italiani» promosso dalla Repubblica degli Stagisti nel 2009, emerge che in Europa si diventa intern (o trainee) per la prima volta piuttosto presto, e in un caso su due all'interno di percorsi di studio formale: il 50% dei partecipanti ha dichiarato che all'epoca del primo stage aveva un'età compresa tra i 21 e i 25 anni, ben il 40% tra i 16 e i 20. Ed è su questo che lo stagista europeo si distanzia maggiormente da quello made in Italy, dove non ha mai preso piede la cultura dello stage a partire dalle scuole superiori. Se ad essere preso in esame è invece l'ultimo stage effettuato, magari ancora in corso, comprensibilmente l'età media sale: la fascia più rappresentata è ancora quella 21-25 anni, che raccoglie questa volta i due terzi del totale, mentre si assottiglia al 12% quella dei giovanissimi; quasi il doppio poi (il 23%) hanno tra i 26 e i 30 anni. In Italia invece quest'ultimo è il segmento di gran lunga più affollato e rappresenta il 70% degli stagisti totali - come ha evidenziato l'indagine promossa dalla Repubblica degli Stagisti con l'Isfol. Solo l'1% invece ha fatto un'esperienza lavorativa alle superiori da minorenne, la metà di quelli che sono entrati in stage dopo aver varcato la soglia dei 40 anni (il limite anagrafico massimo posto dal sondaggio dello Youth Forum è invece 30 anni e li ha superati da tirocinante solo l'1,7% del totale). Il divario tra Italia ed Europa si appiana parlando di numero di esperienze maturate: poco più di un terzo si è fermato ad un solo tirocinio e una quota simile ne ha all'attivo due. II dato più significativo è quello più contenuto in termini strettamente numerici: quasi un decimo dei partecipanti è composto da serial stagisti e ha dichiarato di aver portato a termine addirittura cinque o più traineeships. Troppi.
Tanto più se si considera che non si parla proprio di stage flash: il 15% del totale ha superato i sei mesi, con la restante parte equamente distribuita tra il range quattro-sei mesi e quello uno-quattro. Per questi periodi solo uno su due ha beneficiato di un rimborso da parte dell'organismo ospitante, sufficiente per altro solo nella metà dei casi; gli altri hanno dovuto integrare. Come? In parte attingendo ai risparmi personali (il 35%) o ad una borsa universitaria (20%), ma la stragrande maggioranza ha chiesto aiuto in famiglia: nel 65% dei casi un tirocinio non sarebbe stato sostenibile senza l'aiuto dei genitori [a fianco, una resa grafica di questi dati, dove la colonna rossa che svetta è quella di coloro che hanno fatto affidamento sul sostegno economico di mamma e papà]. Sacrifici che le famiglie fanno volentieri se in ballo c'è la carriera del pargolo. Purtroppo però il riscontro non è positivo: succede solo nel 16% dei casi che uno stagista venga assunto, percentuale estremamente bassa. Il resto sono speranze e un terzo dei partecipanti (non tutti a dire il vero in cerca di occupazione, basti ricordare che quasi la metà sono under 20) si dice convinto che il tirocinio renderà più agevole l'ingresso nel mondo del lavoro, se non subito, quantomeno in futuro.
Molto gettonato l'estero: uno stagista su due ha dovuto varcare i confini nazionali (anche se il dato è in parte viziato dalla particolare tipologia di bacino di indagine). Il Paese più intern friendly? ll Belgio, centro diplomatico internazionale - e sede dello stesso Youth Forum - che ha accolto un quarto degli intervistati; seguono Francia e Germania, con poco meno del 10% a testa. Come prevedibile a partecipare al sondaggio sono stati soprattutto i Paesi in cui gli under 35 soffrono maggiormente la loro condizione di sottoprecariato. Ben la metà dei questionari totali sono pervenuti da sei Stati, e tra questi c'è anche l'Italia. È anzi seconda tra quelli meglio rappresentati, con l'11% di partecipazione dopo la Germania (13% per 81 milioni di abitanti, 20 milioni in più al nostro); seguono Francia (10%) e a breve distanza Gran Bretagna, Spagna e la piccola Romania.
Il rapporto insomma dipinge gli stagisti europei come giovani pronti a spostarsi, volenterosi e speranzosi, ma spesso delusi. E quasi sempre squattrinati. Per cambiare rotta l'European Youth Forum promette battaglia, anche dalle aule del Parlamento europeo dove ha un posto riservato al tavolo di lavori capitanato dalla giovane europarlamentare e pasionaria dei diritti degli stagisti Emilie Turunen. Un altro posto invece è riservato all'Italia, con la Repubblica degli Stagisti. La battaglia è appena cominciata.
Annalisa Di Palo
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