Ancora troppo pochi, scarsamente inclini allo spostamento, ma più giovani di qualche anno fa. Così il consorzio Almalaurea delinea il profilo dei laureati 2010, in un rapporto presentato al convegno 'Qualità e valutazione del sistema universitario', ospitato dall’università di Sassari a fine maggio.
Sono quasi 200mila gli studenti coinvolti nel sondaggio, e il quadro che ne emerge tira fuori aspetti incoraggianti rispetto al passato: tra questi, la riuscita negli studi. L’età alla laurea passa da 26,9 a 24,9 anni al netto del ritardo all'immatricolazione: i laureati pre-riforma del 2004 conseguivano il titolo invece a 27 anni inoltrati.
Anche la regolarità del percorso accademico ha preso una piega migliore: se prima chi iniziava un iter di studi universitari lo portava a termine solo nel 15% dei casi, adesso la percentuale è più che raddoppiata raggiungendo quasi il 40% (fino a rasentare la metà tra i laureati di secondo livello). La votazione finale, poi, è un altro degli aspetti rosei di questa fotografia degli studenti italiani: se è vero che «rimane sostanzialmente immutata nei suoi valori complessivi (103 su 110 nel 2010)» dice Andrea Cammelli [nella foto in basso], direttore di Almalaurea, a colpire è invece il dato sui corsi specialistici, dove si arriva a un punteggio medio di 108,1 su 110. Forse troppo? Il rischio di avere tutti voti altissimi è che si possa attuare una sorta di appiattimento, e impedire ai veri studenti eccellenti di emergere dalla massa.
Crescono anche frequenza alle lezioni (due laureati su tre), esperienze di lavoro durante gli studi - che riguardano un buon 9,5% - tirocini e stage. Questi, costantemente monitorati dalla Repubblica degli Stagisti, negli ultimi anni sono quasi triplicati: la media dei laureati che dichiara di averne svolto almeno uno durante gli studi è balzata dal 20% del 2004 al 57% del 2010. Un elemento di per sé affatto negativo - il direttore di Almalaurea lo definisce infatti «un altro degli obiettivi strategici che segnalano una importante inversione di tendenza sul terreno dell’intesa università-mondo del lavoro» - anche se basterebbe ricollegarlo ai numeri sulla disoccupazione giovanil per smorzare l'entusiasmo. Fare uno o più tirocini durante l'università dovrebbe insomma favorire la successiva occupazione: mentre ciò che i dati disponibili dimostrano è che i ragazzi non solo non sono più occupati di chi non ha fatto questo tipo di esperienze ma anzi, continuano a ricevere tante, troppe proposte di stage anche dopo averne accumulati diversi nel curriculum, e aver completato il percorso di studi. Qualcosa non torna.
Un quadro a tinte fosche è poi quello sul numero complessivo dei laureati: a dispetto dell’opinione diffusa per cui in Italia sarebbero troppi, la realtà che il rapporto Almalaurea disegna è di segno opposto. «Nella documentazione OECD del 2008, il ritardo dell’Italia nel contesto internazionale emerge purtroppo in tutta la sua ampiezza: fra i giovani italiani di età 25-34 i laureati costituivano il 20 per cento contro la media dei paesi OECD pari a 35», spiega Cammelli. «Anche l’obiettivo strategico pari al 40% della popolazione di 30-34 anni laureata, che la Commissione Europea ha individuato come mèta da raggiungere entro il 2020, per il nostro Paese risulta ancora lontano». Eppure l'obiettivo è già stato raggiunto da quasi la metà dei paesi dell’Unione Europea. In più, «fra il 2004 e il 2009 la presenza di laureati in Italia è cresciuta solo dal 16 al 19%».
Questi laureati inoltre, che 72 volte su cento portano il titolo a casa per la prima volta, non sono disposti a grandi trasferte, verosimilmente per i costi che ciò comporta: più della metà resta infatti nella provincia di residenza, facendo registrare due punti percentuali in più rispetto al 2004. Al contempo esiste però una maggiore propensione all’esperienza di studio all’estero, che arriva a quota 14,4% nel 2010.
Un altro neo che la riforma dell’università non ha potuto arginare è rappresentato dalle donne, che pur costituendo più della metà della popolazione laureata, e ottenendo nella maggior parte dei casi anche risultati migliori, continuano a essere poco valorizzate dal mercato del lavoro.
Ilaria Mariotti
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