Ancora brutte notizie per i neolaureati italiani: l'altroieri Almalaurea ha diffuso gli ultimi dati sull’occupazione dei laureati del quinquennio 2005-2009, esaminati in un campione di 40mila giovani a uno, tre e cinque anni dal titolo. E purtroppo non c'è da stare allegri.
Alla conferenza di presentazione del XIII Rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati, presso la sede della Crui a Roma, Andrea Cammelli – direttore di Almalaurea – ha snocciolato una copiosa mole di numeri che non fa che confermare quanto si sospettava: la crisi economica ha colpito i laureati italiani più che mai, anche se questo elemento non è sufficiente da solo a giustificare la contrazione di occupazione e buste paga. «Tali difficoltà sono il prodotto di tempi più lunghi», precisa Cammelli. Il dato principale è infatti una progressiva perdita di posti di lavoro sia per i laureati di primo livello che per gli specialistici, confermata dall’altra parte da una crescita della disoccupazione: per fare un esempio, se il 77% dei laureati di primo livello del 2007 risultava occupato a un anno dalla laurea, per quelli del 2009 la percentuale scende al 71%, e lo stesso vale per gli specialistici, occupati per il 37% contro il 45% del 2007. Una riduzione che si rispecchia nelle percentuali della disoccupazione, passata per i laureati ‘brevi’ dall’11 al 16% e raddoppiandosi per gli specialistici. Di pari passo diminuisce la stabilità del lavoro, aumentando il modello atipico e l’attività non regolamentata, così come il peso del portafogli, con un calo delle retribuzioni che raggiunge il 10% per i laureati specialistici rispetto ai fratelli maggiori del 2007. Un fenomeno che però fa registrare un lieve miglioramento rispetto al 2009, come dimostrerà la documentazione completa che sarà pubblicata giovedì.
Si può dunque ancora considerare la laurea come strumento che garantisce maggiore occupabilità? Secondo Cammelli sì, perché nonostante la progressiva erosione del loro potere d’acquisto e dei posti di lavoro, i laureati italiani risultano comunque pagati di più nel lungo periodo. Il fatto che i diplomati abbiano remunerazioni più cospicue all'inizio è perché questi entrano prima nel mercato del lavoro, restando però ancorati a una stessa posizione per il resto della vita lavorativa.
Come sempre poi, sono le facoltà scientifiche come Medicina ed Economia a restare in testa quanto a garanzie di occupabilità, contro alle sempre meno spendibili Giurisprudenza e Biologia. Mentre persiste il blocco dell’ascensore sociale, per cui i figli della borghesia continuano a guadagnare di più rispetto ai figli di operai, a cui la mancanza di una rete di relazioni sociali di spicco preclude l’accesso alle posizioni lavorative migliori.
Un dato importante anche quello degli stage: crescono in maniera esponenziale i tirocini maturati durante il percorso di studi raggiungendo il 49% per i laureati specialistici e il 60% quelli di primo livello. Nel 2001 erano meno del 20%. A detta di Cammelli, si tratta di un dato positivo, di «un segnale evidente di convergenza tra mondo del lavoro e dell’università. Un potente strumento», che nel 7% dei casi offre maggiori possibilità di lavoro. Forse ancora troppo poco. Anche se Luigi Frati, rettore dell’università La Sapienza, intervenendo alla conferenza fa sapere che attuerà un provvedimento per cui gli stage faranno punteggio alla laurea in base al giudizio dato dal datore di lavoro, allo scopo di sensibilizzare l’imprenditoria sul valore di questa esperienza.
L'Europa invece resta un traguardo a cui puntare per il numero dei laureati, nel nostro paese pari al 20%: ancora molto lontani dall’obiettivo del 40% stabilito dalla Commissione europea e che si somma agli scarsissimi investimenti sia pubblici che privati in istruzione e ricerca (che ci fanno guadagnare gli ultimi posti in classifica rispetto ai principali competitors). Numeri che smontano la tesi di chi sostiene che il problema in Italia siano i troppo laureati.
Infine un trend preoccupante: le immatricolazioni sono in calo del 5% nelle università pubbliche, nonostante l’aumento dei diplomati (che solo nel 62% si è iscritto nel 2010 all’università contro il 66% del 2009). Una sfiducia nella formazione che preoccupa Andrea Lenzi, presidente CUN: «Oggi abbiamo meno studenti e quindi avremo meno laureati. Questo è certamente un grave danno anche di fronte ad un presente e soprattutto ad un futuro basati sulla conoscenza dove la capacità d'innovare è diventata motivo di sopravvivenza per i paesi industrializzati». L’unica speranza di adeguarci a un’Europa più avanzata anche in termini di laureati è dunque non smettere di studiare.
Ilaria Mariotti
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