Se un'azienda utilizza lo strumento dello stage per avere a disposizione personale a basso costo, lo stagista sfruttato può rivolgersi agli ispettori della più vicina Direzione provinciale del lavoro e chiedere che sia svolta una verifica.
Però, prima premessa: gli ispettori hanno due grandi priorità, il sommerso e la sicurezza sui posti di lavoro. La loro azione, quindi, è giustamente rivolta in massima parte ad assicurarsi che non ci siano lavoratori in nero nelle imprese, che i contratti vengano rispettati, che gli operai lavorino con le attrezzature adeguate e le adeguate protezioni. Lavoro nero e morti bianche, quindi, prima di tutto.
Seconda premessa: se durante uno stage capita di fare le fotocopie, non è opportuno gridare subito allo sfruttamento. E così se il tirocinante viene per qualche giorno o qualche settimana a un punto vendita, o incaricato di fare una tabella excel o un database, o di tradurre in inglese una email o un documento. É normale, nel corso di uno stage, svolgere anche mansioni per così dire "di basso profilo": anche le fotocopie servono per imparare a lavorare.
Il problema però è quando le mansioni citate poco fa diventano l'unica e sola attività dello stagista: quando insomma le promesse del progetto formativo non vengono rispettate, e il giovane si ritrova a fare la segretario, il commesso, l'assistente - però senza contratto né stipendio.
Qui allora é giusto anzi indispensabile protestare e far sentire la propria voce: lo stage esiste per essere utile e formativo ai ragazzi prima di tutto. Se utilità e formazione vengono a mancare, non bisogna aver paura ad agire in prima persona per tutelare i propri interessi e diritti. Quali sono i campanelli d'allarme che devono spingere gli stagisti a bussare (nell'ordine) alla porta del tutor aziendale, dell'ente promotore e infine della DPL più vicina? Ecco un piccolo vademecum, ad uso e consumo di tutti i lettori che hanno qualche dubbio sulla correttezza del loro stage.
Mansioni dequalificanti. Le fotocopie tutti i santi giorni, appunto. Ma anche i pacchi da spedire in posta, caffè da fare, commissioni personali da effettuare per conto dei capi. Se il vostro tutor vi manda a ritirargli la giacca in lavanderia, insomma, c'è qualcosa che non va.
Mansioni di eccessiva responsabilità. Qui, al contrario, parliamo di stagisti caricati di impegni troppo gravosi. Per esempio avere le chiavi dell'ufficio e l'incarico di aprire/chiudere. Essere l'unico in tutto l'ufficio a svolgere una determinata mansione (es. front-office). Essere l'unico riferimento di uno o più clienti o utenti. Gli stagisti sono lì per imparare, e non possono avere sulle spalle nessuna responsabilità: il loro operato deve essere sempre sorvegliato e supportato dal tutor.
Mansioni completamente diverse dal progetto formativo stipulato e/o troppo distanti dalla formazione pregressa dello stagista. Il progetto formativo non è un foglio di carta senza valore: quel che c'è scritto rappresenta un patto tra l'ente promotore dello stage (per esempio il centro per l'impiego, o l'ufficio tirocini dell'università) e l'ente ospitante, che si impegna a fornire allo stagista un certo tipo di formazione. E deve rispettarlo. Se vi offrono un posto nel trade marketing e poi vi mettono a fare teleselling, insomma, la validità formativa dello stage può essere quantomeno messa in dubbio; ancor di più se il vostro titolo di studio è in linea con le promesse del progetto formativo, ma sproporzionato rispetto alle mansioni che poi vi vengono concretamente affidate.
Stage per mansioni di profilo troppo basso. La legge non vieta lo stage per nessun settore: non è illegale, quindi, prendere uno stagista per fargli imparare a fare il salumiere al supermercato, la commessa in un negozio, la parrucchiera. Il buonsenso, però, dovrebbe spingere non solo a rifiutare questi stage, ma anche a segnalarli e biasimarli pubblicamente. Non serve uno tirocinio per imparare a fare l'addetto a una pompa di benzina, o il magazziniere in un'officina meccanica: e se proprio l'impresa non vuole rinunciare, allora è bene che questi stage siano molto brevi, di un mese o al massimo due.
Vincoli di orario troppo stretti. Uno stagista non può mai essere considerato indispensabile all'interno di un ufficio. Dover chiedere giornate di permesso con molto anticipo, venire obbligati a recuperare le ore perdute, essere inseriti nei turni del resto del personale non è un buon segno: lo stagista è lì per imparare, non per produrre, e l'impresa non dovrebbe far affidamento su di lui per nessuna attività "cruciale".
Troppi stagisti e stage troppo lunghi. Ci sono aziende che prendono sottogamba la normativa, e ospitano più stagisti di quanti la legge consenta, e/o tengono gli stagisti troppo a lungo. In linea generale, provate a fare un calcolo a spanne del posto dove siete in stage: la proporzione tra persone assunte con contratto a tempo indeterminato e stagisti non deve mai superare il 10%. Se ci sono troppi stagisti, è giusto segnalarlo. La durata di uno stage in una determinata azienda in linea di massima non può mai superare i 12 mesi: se avete già fatto un anno di stage e vi propongono una proroga (anche solo di poche settimane), siete di fronte a un comportamento illegale.
Stage sterili e inutili. Sono i casi in cui lo stagista fa poco o niente: relegato in un angolino, abbandonato a se stesso, con l'unica attività di scaldare la sedia. Oppure le sue mansioni vengono vincolate in maniera eccessivamente rigida, che rischia di sfociare nell'umiliazione: stagisti che non hanno il permesso di scrivere email, rispondere al telefono, partecipare a riunioni e attività. In questo caso, però, la soluzione non è tanto quella di rivolgersi alla DPL per far valere i propri diritti, quanto quella di fuggire a gambe levate da uno stage inutile.
A questo punto, se pensate che il vostro stage rientri o si avvicini a uno di questi casi, uscite dal silenzio e agite. Tacere e subire porta solo alla frustrazione e alla perpetuazione dello status quo: se ognuno dà il suo contributo per rimettere lo stage sul binario giusto, fa qualcosa di positivo per sé e per l'intero mercato del lavoro italiano.
Eleonora Voltolina
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