Da detenuti a tirocinanti. Quando lo stage apre le porte del carcere

Annalisa Ausilio

Annalisa Ausilio

Scritto il 29 Nov 2012 in Approfondimenti

Nicola ha vissuto gli ultimi dieci anni della sua vita dentro una cella, Endry (nomi di fantasia) oltre sedici. Immaginare il ritorno alla libertà è stato per loro un conforto nei momenti più duri. Ma difficilmente avrebbero pensato che l’occasione per uscire da quelle mura si sarebbe presentata sotto forma di tirocinio.
Operatore con i disabili mentali
«Una sensazione travolgente, un misto di elettrizzante felicità e paura del nuovo» racconta Nicola, 41 anni «nel giro di pochi minuti sono passato dalla condizione di educando a quella di educatore». È ansioso, dopo anni in cella passati a preparare esami è arrivato per lui il momento di mettere in pratica quello che ha appreso sui libri. Nicola è stato uno studente-detenuto, si è iscritto al corso di laurea in Psicologia del lavoro dell’università di Urbino nel 2006 dal carcere di Fossombrone per poi passare alla facoltà di Scienze della formazione dell’Uuniversità di Firenze dopo il trasferimento nell’istituto penitenziario di Prato. «Studiare significava evadere dalla pesantezza della detenzione», spiega. Il tirocinio formativo previsto nel suo corso di studi, quattrocento ore per dieci crediti formativi, ha significato la possibilità di ritornare in quel mondo che da anni vedeva attraverso le sbarre. Così ha lasciato la cella per assistere persone con disturbi psichiatrici in un centro gestito dalla cooperativa Alice. «Ho ottenuto un articolo 21 esterno, un beneficio concesso dal direttore dell’istituto penitenziario che consente di lavorare all’esterno». Per tre mesi, da ottobre 2011 a gennaio 2012, Nicola ha assistito gli utenti della casa famiglia, rientrando in carcere alle otto di sera. «La mia condizione mi ha permesso di sviluppare empatia con gli ospiti, trascorrevamo le giornate insieme ma la sera anche loro come me andavano a dormire in una stanza, beh certo loro, a differenza mia, erano liberi di lasciare il centro in qualsiasi momento». La fine del tirocinio avrebbe significato per Nicola il ritorno al normale regime detentivo fino alla fine della pena. Attraverso l’università di Firenze è riuscito però ad ottenere un altro stage: stavolta presso la polisportiva Aurora, che organizza attività ricreative per persone affette da disabilità mentale. «La psichiatria mi ha sempre interessato, lavorare con queste persone è un’esperienza profondamente formativa che mi ha fatto conoscere una parte di me che non credevo di possedere». Per sei mesi quindi ha giocato sui campi di calcio, rugby e pallavolo con gli utenti della Polisportiva condividendo con loro passeggiate nei boschi e gite nell’hinterland pratese.
«Grazie agli stage ho avuto la possibilità di acquisire competenze e conoscenze fondamentali per iniziare un percorso di reinserimento»
. Tre mesi fa ha ottenuto la scarcerazione e, come tutti gli stagisti, ha cercato una possibilità di inserimento lavorativo. Magari proprio nella cooperativa Alice: «Sono rimasti molto soddisfatti del mio lavoro e forse una possibilità c’è». Per ora scrive la tesi – la discuterà a febbraio – e fper arrotondare, fa lo spedizioniere . Tramite l’assistente sociale ha ottenuto una borsa lavoro dal Comune di Prato, lavorerà come giardiniere. Prima dell’assunzione, tre mesi di tirocinio con un rimborso spese di 500 euro.
Obiettivo: diventare assistente sociale
. Anche Endry ha studiato nel carcere di Prato, anni sui libri inseguendo un sogno. Durante il suo percorso universitario ha svolto tre tirocini, due dei quali in centri di assistenza per anziani, «i nonni» li definisce. «Uno crede che dopo tanti anni dietro le sbarre non ci sia niente di peggio del carcere,ma anche fuori ci sono tante situazioni drammatiche. Il mio primo contatto con l’esterno è stato con la sofferenza». Lui, che ha convissuto sia con il dolore psicologico che fisico, qualche hanno fa ha subìto un pesante intervento chirurgico, ha conosciuto in questa condizione di marginalità l’altruismo degli operatori. «Vedere la dedizione di queste persone, l’aiuto che forniscono quotidianamente ai nonni mi ha reso ancora più convinto della mia scelta».
Nel 2004, a quarantacinque anni, Endry si è iscritto al corso di laurea in Servizio sociale dalla casa circondariale di Prato, dopo aver preso la licenza elementare, media e superiore dietro le sbarre. Per imparare l’italiano ha dovuto mettere da parte il diploma preso in Albania, il suo paese d’origine e ricominciare da zero. «
Ho scelto questa facoltà perché voglio aiutare gli altri, rendermi utile come le persone che mi sono state vicine, senza le quali non avrei mai saputo affrontare una condanna di trent'anni». Dopo l’assistenza ai «nonni», ha svolto il terzo stage previsto dal suo corso di laurea, a fianco di un’assistente sociale in una struttura delle Asl. Un'esperienza più lunga, di 440 ore cioè quasi tre mesi a tempo pieno: «In questa occasione ho capito la complessità del lavoro che voglio fare». Al momento Endry lavora all’esterno e rientra in carcere la sera. Sa bene che la sua strada sarà in salita date le difficoltà di inserimento in cooperative sociali e la sua condizione di detenuto. Fra pochi mesi conseguirà la laurea magistrale ed è determinato a portare avanti il suo obiettivo. «Se mi sarà concessa questa possibilità sarò l’uomo più felice della terra, in caso contrario» promette «io comunque non mollo».

Annalisa Ausilio


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