All'indomani della pubblicazione dell'articolo «Università di Torino, la «telenovela» sulle nuove linee guida super restrittive per la gestione dei tirocini», la redazione della Repubblica degli Stagisti è stata contattata da Adriana Luciano, rappresentante del Rettore per i rapporti con il mondo del lavoro. Docente ordinario di Sociologia dei processi economici e del lavoro, 66 anni, Luciano è anche dal 2007 delegata per i servizi di Job placement dell’ateneo. All'interno del Corep - Consorzio per la ricerca e l’educazione permanente - è direttrice del Laboratorio Frame per la ricerca nel campo della formazione permanente e delle politiche del lavoro e direttrice del master universitario per il management del Welfare locale. Fa inoltre parte dei comitati scientifici di Fondazione Gramsci, Ires Piemonte e Isfol.
Eccoci, professoressa.
Innanzitutto desidero scusarmi per non essere riuscita a rispondere alla vostra giornalista Giulia Cimpanelli: proprio in quei giorni ero fuori Torino, impegnata in un convegno internazionale. Però ci terrei a fare il punto della situazione rispetto alle problematiche emerse.
Prego.
Innanzitutto rispetto ai tirocini curriculari. Voi avete notato che la nostra definizione è differente rispetto a quella fornita dal ministero nella circolare del 12 settembre. È vero. Ma voglio rassicurare tutti: con la frase, «saranno considerati tirocini curriculari esclusivamente quelli previsti nel curriculum, salvo eventuali ed ulteriori provvedimenti specifici dei corsi di laurea», intendiamo dire che tutti i corsi di laurea, compresi quelli che in passato non prevedevano crediti formativi universitari - i cfu - dedicati ai tirocini, hanno la possibilità di definire e gestire in autonomia i tirocini curriculari. In virtù di questo chiarimento, ad esempio, la nostra facoltà di Giurisprudenza che non prevedere cfu per i tirocini sta definendo una nuova normativa per rendere possibili i curriculari. Quindi gli studenti non avranno problemi e potranno farsi attivare tirocini «curriculari» anche senza una diretta connessione con cfu.
Il problema è anche il limite di tempo. Inizialmente sembrava che la vostra università avesse deciso di limitare il «monte stage» massimo a 6 mesi curriculari e 6 mesi extra.
E su questo ha già risposto il collega Angelo Saccà: in realtà il «monte» a disposizione di ciascun nostro studente è di 6 mesi curriculari e 6 mesi extracurriculari durante gli studi, più ulteriori 6 mesi extracurriculari utilizzabili dopo la laurea. Diciotto mesi complessivi: ci sembra un tempo congruo. In quanto pubblica istituzione, ogni università ha il dovere di dare interpretazioni corrette e univoche a disposizioni che provengano da altre istituzioni pubbliche. Le nostre linee guida rappresentano un’interpretazione della norma tesa a salvaguardare contemporaneamente l’esigenza dei giovani di cogliere buone opportunità di tirocinio e il dovere dell’ateneo di impedire abusi, nonché di dare a tutti gli uffici Job placement dell’università la possibilità di adottare comportamenti univoci.
Ma perchè limitare a 6 mesi? Né nella legge né nella circolare del ministero tale limite è applicato alla persona: il limite è inteso sempre come applicato al singolo stage.
Direi che invece la legge e la circolare non sono affatto chiare in merito. E personalmente propendo per l’ipotesi che l’interpretazione corretta sia di applicare il limite dei 6 mesi alla persona, una volta conseguita la laurea. Perchè altrimenti, scusi, vorrebbe dire che la legge permette a un neolaureato di fare ben dodici o addirittura diciotto mesi di stage post laurea.
È un’ipotesi molto remota: implicherebbe che un ragazzo riuscisse a farsi attivare un primo stage di 6 mesi esattamente il giorno della sua laurea, poi un secondo stage esattamente allo scadere del primo, e addirittura un terzo stage a un anno meno un giorno dalla sua laurea.
Improbabile forse, ma possibile – stando all’interpretazione dei 6 mesi applicati allo stage e non alla persona. Quindi noi reputiamo che il ministero non volesse dire questo. Naturalmente poi siamo pronti a modificare le nostre linee guida, in caso ci arrivi notizia ufficiale che la volontà del Ministero è diversa.
Altre università hanno interpretato la norma e la circolare in maniera molto diversa rispetto a voi.
In effetti sappiamo che, in assenza di chiarimenti univoci da parte del ministero, alcuni atenei hanno interpretato la norma in maniera più estensiva, applicando il vincolo dei sei mesi ad ogni tirocinio post lauream. Difficile dire chi abbia torto o ragione e quale delle due soluzioni tuteli meglio i laureati. In ogni caso, il quesito è stato posto al ministero e, non appena otterremo risposta, ci adegueremo.
Quindi le vostre linee guida non cambieranno fino a che il ministero non chiarirà.
Esatto. In ogni caso vorrei che fosse chiaro un messaggio: tutte queste nostre decisioni sono state prese con l’unico obiettivo, comune del resto al vostro, di proteggere il più possibile i giovani. Tutti ovviamente auspichiamo che al più presto l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro avvenga attraverso forme contrattuali adeguate, come i contratti di apprendistato. Ma tutti sappiamo anche che a tutt’oggi il tirocinio è lo strumento più usato dalle aziende, e che si tratta di uno strumento di cui spesso si abusa, tanto da produrre vere e proprie distorsioni nel mercato del lavoro. In questo senso bene ha fatto il ministero a intervenire per ridurne la durata e per limitare il periodo entro il quale può essere utilizzato dopo la fine degli studi. Ancor meglio farà se darà tempestivamente risposta ai numerosi quesiti rimasti aperti, compreso quello dei tirocini per i dottori di ricerca e i titolari di master.
Intervista di Eleonora Voltolina
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