Che fine faranno i pubblicisti? Ordine dei giornalisti in subbuglio per la riforma delle professioni

Chiara Del Priore

Chiara Del Priore

Scritto il 08 Gen 2012 in Notizie

Passaparola, petizioni, proposte, dibattiti in Rete: per i giornalisti pubblicisti e aspiranti non si può dire che le vacanze appena concluse non siano state «movimentate».

Lo scorso 27 dicembre è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge 214 del 22 dicembre, di conversione del cosiddetto decreto “salva Italia” (201 del 6 dicembre 2011), che prevede, tra le varie disposizioni, la riforma degli ordini professionali. La novità è l’abrogazione, a partire dal 13 agosto 2012, di tutte le norme  in contrasto con l’obbligo dell’esame di Stato per l’accesso alle professioni regolamentate. La  disposizione ha subito gettato scompiglio proprio tra i pubblicisti, per i quali la prova non è prevista.La Repubblica degli Stagisti ha cercato di vederci più chiaro: è bene ricordare che la legge 69 del 3 febbraio 1963 fa una distinzione tra professionistipubblicisti. I primi esercitano «in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista» e vengono iscritti all’Albo, in un apposito elenco, solo dopo il superamento di un esame di idoneità professionale. Pubblicista è, invece, chi svolge «attività giornalistica non occasionale e retribuita», pur avendo altri impieghi. Per questi ultimi non è previsto l’esame di Stato, ma un accertamento amministrativo dell’attività svolta: per essere iscritti al relativo elenco dell’Albo, è sufficiente, cioè, aver pubblicato articoli per due anni in maniera continuativa e retribuita e ottenuto una certificazione da parte del direttore della propria testata. Da qualche anno alcuni Ordini regionali, tra cui quello del Lazio, hanno istituito un colloquio di diritto e cultura generale che l’aspirante pubblicista deve sostenere di fronte a una commissione di giornalisti, rappresentativa dell’Ordine stesso, ma comunque non si tratta di esami di Stato. Il problema, quindi, rimane per i circa 80mila pubblicisti e per tutti coloro che stanno svolgendo o stanno per concludere i 24 mesi previsti per ottenere il «tesserino». A creare ulteriore confusione ha contribuito il dibattito a distanza tra Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti, e Franco Abruzzo, consigliere e presidente per quasi vent’anni dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Uno dei primi a intervenire è stato proprio il presidente dell'Ordine, che, in una lunga nota pubblicata sul sito dell’Odg, ha provato a tirare le fila, soffermandosi soprattutto su un punto: l’abrogazione riguarda le leggi che violano i principi previsti dalla lettera a) alla g), comma 5, dell’articolo 33 del decreto 138/2011.  Quali sono? Accesso libero alla professione; obbligo della formazione continua; tirocinio della durata massima di 18 mesi (in ambito giornalistico è chiamato praticantato); compenso del professionista stabilito per iscritto in base alla complessità dell’incarico; obbligo di assicurazione; divisione tra organi che esercitano funzioni disciplinari e organi con compiti amministrativi, a livello nazionale e territoriale; libera pubblicità informativa su qualità e titoli professionali. Per Iacopino, l’Ordine dei giornalisti sarebbe in linea con queste direttive. La necessità di sostenere l’esame di Stato è citata nella parte introduttiva dell’articolo 33, ma non nei principi in questione, che da questo momento devono essere rispettati da qualsiasi disposizione che riguardi gli ordini professionali. Di parere diverso Franco Abruzzo, che sul proprio sito ha dato un’altra interpretazione della norma, citando la nota di Iacopino e definendo l’intervento del presidente dell’Ordine dei giornalisti «una mossa disperata» a fini elettorali. Per il consigliere dell’Ordine non è possibile slegare i principi prima elencati dalla loro premessa, ossia la previsione dell’esame di Stato come condizione di accesso alla professione. Una disposizione che si lega all’articolo 33 della Costituzione, che, al quinto comma, prevede l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, e alla direttiva comunitaria 89/48, che parla di una prova attitudinale, equivalente all’esame. Stando così le cose, dal prossimo agosto gli aspiranti pubblicisti e gli attuali iscritti all’Albo potrebbero non avere più un futuro. Quello che avrebbe dovuto essere un tentativo di fare chiarezza si è, in realtà, trasformato in uno scambio reciproco di accuse e in una vera e propria disputa giuridica.
Al di là delle tante parole spese sull’argomento, che ne sarà in concreto dei pubblicisti? A ottobre il ministero della Giustizia ha invitato i presidenti degli Ordini professionali a elaborare proposte. Nel frattempo, sono già  state avanzate diverse possibili soluzioni. Lo stesso Franco Abruzzo nel suo intervento traccia alcuni scenari: una prima ipotesi potrebbe essere quella di ammettere all’esame di Stato i pubblicisti che dimostrino, sulla base del proprio reddito, di vivere esclusivamente di giornalismo. In questo caso, a essere penalizzato sarebbe chi è iscritto all’Albo, ma di fatto non ha nell’attività giornalistica la sua fonte principale di entrate. Questa soluzione creerebbe, però, una situazione anomala, con pubblicisti che svolgono attività giornalistica prevalente, ma non sono inquadrati più come tali. Resta, poi, da capire se si tratterebbe di un’iscrizione d’ufficio oppure dopo l’esame di Stato. Questa seconda ipotesi porterebbe un enorme sforzo organizzativo, ma anche e soprattutto economico, per l’Ordine, che si troverebbe a predisporre sessioni d’esame per un numero di gran lunga maggiore rispetto a quello dei candidati che sostengono annualmente la prova di idoneità.Un’altra possibile strada potrebbe portare a fare di quello dei pubblicisti un elenco ad esaurimento: fino al 13 agosto 2012 gli ordini continueranno a iscrivere pubblicisti, mentre dal giorno successivo verranno bloccate le iscrizioni e l’elenco rimarrà chiuso. L’Albo, quindi, esisterà solo per garantire i diritti contrattuali e previdenziali di chi è assunto a tempo pieno, parziale, come collaboratore fisso, corrispondente o nelle redazioni decentrate. Una terza alternativa, potrebbe essere quella di mantenere i due elenchi con rispettive prove di idoneità, dando vita a un nuovo esame per i pubblicisti.Un altro problema da non sottovalutare, legato al destino dell’Albo, riguarda la sorte dei contributi versati dagli iscritti all’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti italiani, fino alla scadenza prevista dalla norma.
Al momento sono svariate le ipotesi sul tavolo. Per capirci qualcosa in più, bisognerà aspettare la prossima riunione dell’Ordine dei giornalisti, programmata per i giorni 18, 19 e 20 gennaio, dove verrà formulata una proposta da sottoporre al governo Monti, con l’obiettivo di trovare al più presto una soluzione che adegui la situazione attuale alle disposizioni della nuova manovra.

Chiara Del Priore

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