Domani e dopodomani l'European Youth Forum sarà a Parigi, ospitato dall'Oecd - Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, per mettere insieme nuove idee e progetti che ridiano futuro ai giovani. La Repubblica degli Stagisti, che interviene alla conferenza internazionale nel panel "Internview" in cui verrà presentata la Quality Charter of Internships and Apprenticeships, ha intervistato Luca Scarpiello, ventisettenne vicepresidente del Forum e unico italiano nel board, per avere gli ultimi aggiornamenti sullo stato dei lavori in materia di stage e occupazione giovanile.
Il tema del lavoro è al centro del seminario di Parigi. Quali sono i principali linee d'azione del Forum su questo fronte?
Innanzitutto lotta alla gerontocrazia: se sei giovane devi avere gli stessi diritti e lo stesso trattamento dei lavoratori più anziani. La riforma del welfare e la riduzione del precariato sono altre due priorità; serve un'armonizzazione delle misure a livello europeo. C'è poi la questione del reddito minimo: già un anno fa il Parlamento europeo ha sollecitato l'approvazione di una direttiva quadro; alcuni Paesi, come l'Italia, sono del tutto sprovvisti di una legge in materia. Il reddito può essere percepito anche sotto forma di servizi, non solo in moneta; ma deve essere slegato dai contributi versati, secondo un principio di solidarietà. Le transizioni poi sono un altro nodo centrale, in particolare quella tra istruzione e mondo del lavoro. Parliamo quindi di stage, che non è una tortura cinese: serve, ma solo se fatto con criterio. Troppo spesso invece è sottoprecariato.
L'EYF è appunto promotore della Carta europea dei diritti dello Stagista, sottoscritta dalla Rds. A che punto sono i lavori?
Sì, è un'iniziativa del 2008. Allora non c'erano dati, sensibilizzazione al problema, o volontà politica di occuparsene. Dopo due anni di dialogo con le organizzazioni internazionali siamo arrivati a una bozza legislativa condivisa, che attinge al meglio delle singole normative nazionali. Il testo è stato sottoscritto anche dalla Repubblica degli Stagisti, da Generation Praktikum, Précaire anonyme, Génération précaire ed è ora aperto all'adesione dell'intera società civile. A gennaio era prevista la presentazione della base legislativa da parte della Commissione europea, ma l'impegno a occuparsi degli internships è venuto meno proprio in questi giorni; il 15 dicembre incontreremo il commissario Andor per capire le ragioni della scelta e agire di conseguenza. Intanto a Parigi presenteremo ufficialmente la Carta; puntiamo all'adozione anche da parte del Parlamento europeo, con cui siamo già in contatto [sotto, la pagina tramite cui tutti i cittadini possono aderire alla campagna].
Può riassumere le linee fondamentali della carta?
Intanto distinguiamo tra stage svolti all'interno dei percorsi formativi - in prospettiva, gli unici che per noi dovrebbero esistere - e stage post studi. Prevediamo l'obbligatorietà del rimborso, che non deve essere inferiore al salario minimo, se previsto, e che deve comunque permettere di vivere al di sopra della soglia di povertà relativa. Il progetto formativo deve essere chiaro, flessibile - ad esempio non deve intralciare gli studi - e concordato con lo stagista. E la durata massima deve essere ragionevole, in base agli obiettivi del progetto formativo: se ad esempio sono raggiungibili in tre mesi, non ha senso far durare di più lo stage. In tempi in cui il budget sono più importanti delle persone è scomodo prendere queste posizioni. Ma cerchiamo un cambiamento concreto e non ci aspettiamo che qualcuno ce lo dia: cerchiamo di prendercelo, con strumenti democratici.
Lei ha stage all'attivo?
Io sono uno stagista. Del Parlamento europeo, dal quale ricevo un contributo di circa mille euro al mese. Alla base di quello che facciamo c'è la passione, la voglia di cambiare le cose; non lo facciamo certo per soldi, ma nemmeno ci rimettiamo di nostro: sarebbe contrario ai principi della nostra lotta. Poi ho fatto uno stage nella direzione Comunicazione istituzionale della Regione Puglia, nel 2007. E ancora prima sono stato nell'ufficio Europa della Cgil, per quasi tutto il 2005 - poco più che ventenne. Erano stage non retribuiti, che però mi sono tornati utili nel gestire una responsabilità così grande come la vicepresidenza della più importante organizzazione giovanile europea.
A proposito, come ci è arrivato un italiano alla vicepresidenza dello Youth Forum?
Faccio politica da quando avevo 17 anni. Ho iniziato nelle organizzazioni studentesche, prima dell'Unione degli studenti e poi dell'Obessu, la rete europea che riunisce tutte le associazioni giovanili nazionali. Mi è sempre piaciuta l'idea di poter incidere sui processi reali. Poi nel 2006 sono entrato nel Forum nazionale dei giovani, allora appena nato, che mi chiese di occuparmi del settore estero - e che adesso è una delle nostre 98 organizzazioni membre. E nel 2009 sono stato candidato nel board dell'European Youth Forum; mi sono occupato di lavoro e politiche sociali - ancora lo faccio, ormai mi chiamano il crisis board man! - e l'anno mi hanno proposto come vicepresidente. In tutto ciò sono anche iscritto a Scienza politiche all'università di Bari, la mia città d'origine.
Pensa di tornarci, o comunque di spendere le sue competenze in Italia?
Mi piacerebbe, certo, ma non è semplice. Sento che quello che facciamo nel Forum non è riconosciuto in Italia. Il mio futuro è incerto come quello di qualsiasi giovane. Intanto sarò a Bruxelles fino a tutto il 2012, poi sarà il momento di passare il testimone. Vedremo: cammino domandando, come ho imparato a fare in questi anni.
Intervista di Annalisa Di Palo
Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:
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