C’era una volta Mark Zuckerberg, e la geniale invenzione di Facebook che a 23 anni lo rese il più giovane miliardario al mondo. Una storia capitata – come sempre, si dirà – negli States. Ma siamo sicuri che solo l’America sia l’eldorado dei giovani vincenti? Agli italiani sull’orlo di una crisi di nervi perché l’estenuante ricerca di un lavoro non produce risultati potrebbe piacere un libro appena uscito: si chiama Non è un paese per bamboccioni (Cairo Editore) e gli autori sono Matteo Fini e Alessandra Sestito, due trentenni rispettivamente di Milano e Lecce, che hanno raccolto le storie di undici giovani tra i venti e quarant’anni riusciti nell’intento di realizzare un sogno. Il loro.
Proprio in questo sta la forza dei racconti, non ordinarie storie di una gioventù italiana le cui aspettative sono state bruciate dalle politiche delle generazioni precedenti: qui non c’è spazio per la lamentela e il piangersi addosso. I percorsi di Federico Grom, Riccardo Moroni, Gianluca Petrella, Laura Torresin hanno un minimo comune denominatore: non solo il successo ottenuto a suon di sacrificio e impegno, ma anche lo spirito d’iniziativa, la voglia di fare, la passione e l’entusiasmo. Proprio quello che spesso viene meno in chi si scontra quotidianamente con il precariato o la disoccupazione, e vede la vita scorrere inesorabilmente davanti a sè senza poterla fermare e condurre dove si vuole.
Così, con buona pace di quella definizione che nel 2007 fece arrabbiare i giovani italiani tacciati di 'bamboccionismo' perché giudicati incapaci di (e non impossibilitati a) emanciparsi, Fini e Sestito ribaltano la questione, senza soffermarsi a sindacare sulle colpe dei padri o sulla mancanza di prospettive della maggior parte dei figli. Nel libro si parla di giovani che non hanno trovato la strada spianata da raccomandazioni o scorciatoie di varia natura, ma che semplicemente si sono imposti con idee innovative, fantasia e coraggio, coronando i loro progetti grazie a una buona dose di fatica e intraprendenza. Certo l’aiuto c’è stato, quello di qualcuno più grande di loro, un qualche mentore di passaggio che li ha spinti nella direzione verso cui già erano diretti, piuttosto che ostacolarli – o peggio – scoraggiarli dicendo che non ce l’avrebbero fatta.
Con un linguaggio adrenalinico e uno stile asciutto, le storie vengono snocciolate tra stralci di vita capaci di trasmettere carica e positività. Con passaggi come questo: «Un po’ è anche colpa tua. Devi vincere la pigrizia, armarti di volontà, crederci. Anche rischiare un po’. Con giudizio, con studio, con pianificazione e strategia. Ma devi osare, magari sganciarti dalla famiglia che ha un’attività già avviata, sicura, per iniziare una cosa tua che ti cresca tra le mani». È una parte dell'episodio sul carwasher, Riccardo Moroni, che ad appena 22 anni e con un mutuo di 700mila euro si lancia in un’impresa di autolavaggi che poco a poco conquista la sua città – Lurago d’Erba – fino a piazzarsi anche altrove, puntando tutto sulla qualità del prodotto, come la spumosissima schiuma che ammalia i bambini. C’è poi la minestra perfetta della cuoca Laura Torresin, nata nel 1979 a Treviso, che dalle uova fritte cucinate in un chiosco australiano passa a una grande scuola di cucina e finisce a rappresentare l’Italia in uno dei concorsi più prestigiosi al mondo.
E ancora: i gelati di Federico Grom e Guido Martinetti, due under 30 torinesi, che trasformano la passione per il gelato in un fiorente business internazionale investendo 120mila euro (di cui 60mila in prestito); gli orologi di silicone del marchio Too Late nati da un’idea di Alessandro Fogazzi, classe 1980, che sull’onda di un’ispirazione ne compra mille pezzi per 20mila euro al Moma di New York; il ContactLab di Massimo Fubini, che inizia in uno scantinato di Milano (facendo fruttare 5 milioni di vecchie lire di risparmi) e finisce a dirigere una società di sessanta persone; la proteina scoperta da Ruggiero Mango, fondamentale nella prevenzione del rischio di infarto. Ma ci sono anche le storie dei pluripremiati Gianluca Petrella, astro nascente del jazz, quella dell’italoafricano Fred Kuwornu, quarantenne, autore di un cortometraggio proiettato in tutto il mondo, del manager 29enne Giampiero Traetta, di Sara Caminati che si è inventata il lavoro di curatrice dell’immagine dei vip sul web, e dell’operatrice umanitaria Selene Biffi che dal computer della sua cucina, con i 150 euro regalati dal padre, ha creato un corso online per formare volontari su come migliorare le condizioni di vita delle popolazioni povere.
Sono tutti dei fenomeni questi ragazzi? Forse qualcuno, ma non è stata questa la chiave del trionfo. Ce l’hanno fatta perché si sono lanciati in un’idea in cui credevano, e non si sono risparmiati nel perseguire un obiettivo che alla fine è arrivato, aprendo le porte del futuro. Una possibilità che solletica in tempi in cui nessuno è disposto a dare credito alle nuove generazioni, in cui sembra che per loro non ci sia spazio. Ma forse, a volte, bisogna andarselo a prendere questo spazio.
Ilaria Mariotti
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