Contratti di apprendistato in calo, nasce un sito per rilanciarli

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 06 Mag 2011 in Approfondimenti

La crisi economica colpisce ancora. I dati sull’utilizzo dell'apprendistato pubblicati nell’ultimo Rapporto Isfol, l'undicesimo, riferito al 2009, testimoniano un declino nella diffusione di questo tipo di contratto: meno 8,4% rispetto al 2008, l'annus horribilis in cui è partita la crisi finanziaria internazionale. Nel 2007 gli apprendisti erano poco meno di 639mila, nel 2008 quasi 646mila. Nel 2009 di colpo sono diminuiti fino a quota 591.800, scendendo per la prima volta - dopo un decennio che aveva segnato un lentissimo ma costante trend positivo nell’applicazione di questa tipologia contrattuale - sotto la soglia dei 600mila.
I tipi di apprendistato esistenti sono tre: il diritto-dovere che consente il raggiungimento di una qualifica professionale a chi abbia compiuto 15 anni, il professionalizzante che mira all’acquisizione di un titolo mediante formazione sul lavoro e l'apprendimento tecnico-professionale, e l'alta formazione, per il conseguimento di un diploma o per percorsi di alta formazione che cerchino di integrare studio ed esperienza. I dati Isfol parlano soprattutto della seconda tipologia dei tre modelli: gli altri due sono infatti ancora lacunosi sotto il profilo della regolamentazione regionale. Ne emerge come sia il terziario il comparto con il più alto numero di apprendisti occupati (sono quasi la metà nel 2009), in particolare impiegati nel commercio in quasi un caso su quattro, a fronte di una complessiva erosione di impiego in tutti gli altri settori. Eccezion fatta per gli studi professionali, il turismo e il credito, dove gli apprendisti si attestano attorno al 10% segnando un trend positivo rispetto al passato. In quanto al titolo di studio, il gruppo più numeroso è quello con la licenza media (più della metà), seguito dai diplomati (33%). Maglia nera ai laureati che rappresentano solo il 5,5%.
Di pari passo è anche cresciuta l’età media degli utenti: quelli che hanno dai 25 anni in su sono un terzo, mentre in parallelo decresce il numero dei minorenni inquadrati come apprendisti nell'ambito della seconda tipologia, il diritto-dovere: i 15-17enni sono meno di 18mila. Nel complesso poi solo il 17% degli occupati tra i 15 e i 29 anni ha un contratto di apprendistato. Numeri non incoraggianti soprattutto alla luce dell’intesa del 27 ottobre 2010 tra governo, regioni, province autonome e parti sociali con l’intento – si legge sul sito del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali – «di rilanciare lo strumento fondamentale dei contratti di apprendistato per l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, con un contenuto formativo garantito dalle regioni o in sussidiarietà dalle parti sociali e dagli enti bilaterali». L’idea di fondo è quella di promuovere l'istituto riformato con la legge Biagi, introducendo un nuovo strumento occupazionale per i giovani, che sia focalizzato sulla formazione e che guardi al lungo termine. Un mezzo che, in buona sostanza, farebbe da contraltare alle forme contrattuali oggi più in voga ma quasi sempre prive di garanzie per i lavoratori. E spesso è proprio lo stage a entrare in gioco come principale surrogato dell'apprendistato.Uno dei problemi persistenti è poi il vuoto normativo regionale, che in molti casi blocca sul nascere l’avvio di questo tipo di contratto. Proprio a tali mancanze e all'esigenza di incentivare l'uso del contratto di apprendistato risponde il sito Fareapprendistato.it, online da poche settimane su iniziativa dell'Adapt, associazione di studi internazionali di diritto del lavoro fondata dal giuslavorista Marco Biagi. Circa un migliaio di contatti giornalieri è il primo dato sugli accessi: il sito «non riceve alcun finanziamento né pubblico né privato ma vive di fondi propri», come spiega alla Repubblica degli Stagisti Michele Tiraboschi, direttore dell'associazione: «È stato realizzato dai nostri tecnici informatici».
La spinta nasce non solo dalla recente intesa governativa, ma anche dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha posto dei limiti rispetto all'articolo 49 del d.lgs. 276/2003: la norma prevedeva che la determinazione del percorso formativo fosse appannaggio esclusivo delle aziende, che lo avrebbero gestito attraverso un «canale autonomo». Con il pronunciamento della Corte invece, si è stabilito che ogni impresa è libera nel regolamentare la formazione al proprio interno, ma solo se la regione è intervenuta in una fase preliminare a indicare la cornice di riferimento, e successivamente decidendo sulla certificazione delle competenze e sui crediti formativi.
Il portale, gestito da ricercatori della fondazione che a loro volta si appoggiano a progetti di ricerca universitari, si rivolge a imprese e sindacati interessati alla materia offrendo consulenza attraverso una «piattaforma normativa regionale, documentazione sulla contrattazione collettiva e un forum in cui interagiscono gli stessi ricercatori per rispondere ai quesiti o lanciare spunti di progettazione legislativa», riferisce alla Repubblica degli Stagisti la direttrice scientifica del sito Lisa Rustico, 26enne ricercatrice nella formazione per il mercato del lavoro. Si tratta di «un punto di incontro per avere certezze sullo stato dell’apprendistato, con l’obiettivo di fare rete tra gli operatori». Nel sito, in particolare, è disponibile una vera e propria mappa normativa nazionale che fornisce dati sulla regolamentazione disponibile, suddivisi per tipologia di apprendistato e per regione.
Tuttavia resta un nodo da sciogliere, chiedendosi quanto l’uso distorto di stage e tirocini possa influenzare negativamente l’estensione dei contratti di apprendistato. «La loro diminuzione è legata alla crisi» nota la Rustico «ma subisce sempre di più la concorrenza sleale degli stage, privi di un sistema previdenziale». In un contesto lavorativo così discriminatorio per i giovani, «
l’apprendistato rappresenta al contrario un buon contratto per chi voglia imparare un mestiere» di fronte a una disoccupazione giovanile che sfiora il 30%, al fenomeno dell’abbandono scolastico o dei giovani cosiddetti NEET (Not in Employment, Education and Training) che né studiano né lavorano, o della mancanza di incontro tra offerta e domanda di lavoro. Come lo definisce la ricercatrice, «una leva per il placement»: che però stenta a decollare, nonostante il fatto che potrebbe rappresentare un ulteriore strumento nella lotta alla disoccupazione e al precariato.

Ilaria Mariotti


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