Precari, allarme stipendi: troppo bassi anche per i lavoratori subordinati a tempo determinato

Chiara Del Priore

Chiara Del Priore

Scritto il 03 Ott 2012 in Notizie

Essere occupati a tempo determinato è sempre meno vantaggioso per i dipendenti e sempre più conveniente per i datori di lavoro. Questo il messaggio che arriva dall’ultimo rapporto Isfol. L’istituto di ricerca lancia l’allarme: un lavoratore a tempo determinato guadagna meno rispetto a un collega assunto a tempo indeterminato e ha meno possibilità di vedere aumentare il proprio stipendio nel corso degli anni.
È sufficiente dare un’occhiata alle cifre: nel 2011 lo stipendio netto medio mensile di un dipendente a tempo determinato è stato pari a  945 euro, rispetto ai 1.313 di un lavoratore a tempo indeterminato.
In rapporto allo scorso anno lo stipendio netto mensile di un lavoratore a tempo determinato è aumentato solo di un euro, mentre il divario rispetto a un chi è assunto a tempo indeterminato risulta in crescita del 27,2%.
Ma chi sono i lavoratori a tempo determinato? Si tratta dei cosiddetti subordinati, cioè chi, secondo l’articolo 2094 del codice civile, «si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore».
I subordinati vanno distinti dai lavoratori parasubordinati - cioè coloro che lavorano con i cosiddetti contratti di lavoro atipici cioè essenzialmente cococo (contratto di collaborazione coordinata e continuativa) e cocopro (contratti a progetto) - che non hanno un riferimento come il contratto collettivo e spesso sono sottopagati.
Tornando ai tempi determinati: nella sua ricerca l'Isfol non cita esplicitamente specifiche sottotipologie di lavoro a termine - come sostituzione maternità, sostituzione malattia e sostituzione ferie e lavoro ottenuto tramite contratto di somministrazione - ma si limita a parlare di lavoratori temporanei. Rilevando che, nonostante godano indubitabilmente di maggiori garanzie, come i salari minimi legati ai contratti collettivi nazionali,sono comunque penalizzati. Rientrano nella categoria soprattutto i giovani di età compresa tra i 25 e i 34 anni: 713mila rispetto ai 520mila della fascia 35-44, 333mila di quella 45-54 e 110mila di quella 55-64. I settori in cui si ricorre maggiormente a questa tipologia contrattuale sono il secondario e il terziario, con particolare riferimento alla fascia 15-24 anni: sono 345mila gli occupati nel settore secondario a tempo determinato di età compresa tra i 15 e i 24 anni e 204mila quelli impiegati nel terziario, con la stessa tipologia contrattuale e di uguale fascia d'età. Al contrario, i lavoratori occupati a tempo indeterminato sono principalmente persone di età compresa tra i 35 e i 44 anni, quasi 5 milioni rispetto ai 3.238.000 della fascia 25-34. Questo soprattutto perché l’occupazione a tempo determinato rappresenta la principale modalità di inserimento nel mercato del lavoro.
Un altro dato significativo riguarda la scarsa dinamica dei salari per i lavoratori a tempo determinato: al di là dell’età, lo stipendio netto medio mensile di un lavoratore a tempo determinato resta sotto i mille euro, mentre per uno a tempo indeterminato passa dai 900 euro della fascia 15-24 anni ai quasi 1.500 di quella 15-64.
A spiegare le ragioni di questo differente andamento è Ilaria Lani, responsabile delle politiche giovanili della Cgil: «Innanzitutto un lavoratore a tempo determinato ha meno possibilità di usufruire di scatti di anzianità, in quanto la scadenza del contratto non ne permette l’applicazione, prevista dai contratti collettivi nazionali. Poi parte dei dipendenti a tempo determinato lavora part time e, inevitabilmente, gli stipendi risultano più bassi
». Dalla ricerca emerge che un lavoratore a tempo determinato fa più spesso un part time: come mai? «Forse perché la richiesta di flessibilità estrema porta i datori di lavoro, specialmente in alcuni settori, a imporre contemporaneamente sia il part time che il tempo determinato, causando di frequente  la proliferazione di forme di lavoro nero nascoste dietro al part time, proprio perché il lavoratore a termine è più ricattabile». Non va dimenticato infine, come sottolinea anche l’Isfol, che i lavoratori a termine beneficiano meno dei colleghi assunti a tempo indeterminato di straordinari e altri emolumenti. Secondo la Lani «una spiegazione potrebbe essere che le aziende preferiscono proporre straordinari ai lavoratori fissi perché il tempo determinato può essere utilizzato solo per motivi eccezionali e quindi l'uso indiscriminato degli straordinari potrebbe  avvalorare davanti ad un giudice il profilo di illegittimità». In ogni caso, «il lavoro a tempo determinato continua a essere largamente utilizzato: la flessibilità è conveniente per le aziende in termini retributivi. Dovrebbe essere pagata di più e invece costa sempre meno» chiude Ia responsabile giovani della Cgil. Anche se per completezza bisogna aggiungere che a livello contributivo il contratto temporaneo costa esattamente quanto quello fisso, quindi almeno dal punto di vista degli oneri previdenziali non si può dire che sia un risparmio per i datori di lavoro.
La riforma del lavoro, approvata in via definitiva alla Camera lo scorso 27 giugno, interviene, tra le altre cose, anche sui contratti a tempo determinato: una novità importante riguarda la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato nel caso in cui esso prosegua per più di 30 giorni (se il contratto ha durata inferiore a sei mesi) o di 50 giorni (se la durata è maggiore di sei mesi) rispetto alla normale scadenza. Una misura che in parte potrebbe ridurre l’abuso di questa tipologia contrattuale. Peccato che per entrare in vigore necessiti di un decreto attuativo, annunciato ma non ancora realizzato.

Chiara Del Priore

La foto di Ilaria Lani è di Salvatore Contino

 

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