In Italia si guadagna troppo poco: per rendere dignitose le retribuzioni dei giovani bisogna passare dal «minimo sindacale» al «salario minimo»

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 11 Nov 2011 in Editoriali

In Inghilterra sullo stage sta succedendo un putiferio: e pensare che  il fenomeno è molto meno esteso che da noi, e coinvolge (secondo le stime della "Repubblica degli Stagisti inglese", il sito web Interns Anonymous) circa 250mila persone ogni anno su una popolazione di 60 milioni.
Cos'è che ha fatto scoppiare la bomba? Un autorevole parere espresso dai consulenti legali del governo. Che, chiamati a valutare la situazione degli interns, hanno stabilito che pur non essendo un lavoratore lo stagista effettua un percorso formativo attivo e pertanto apporta un contributo all'ufficio che lo ospita. Quindi negargli un compenso è illegale.
C'è di più. In Inghilterra come nella maggior parte dei Paesi occidentali (18 su 27 membri Ue, per esempio, ma anche Stati Uniti e Australia) vige uno strumento che si chiama "salario minimo". Attenzione: non è un reddito minimo, cioè una somma di tipo assistenzialistico che lo Stato elargisce a chi non lavora. Il salario minimo è una soglia minima oraria sotto la quale nessun datore di lavoro può scendere. In italiano il linguaggio comune lo chiamerebbe «minimo sindacale», perché nel nostro Paese questo minimo non l'ha mai posto lo Stato per legge: lo ha lasciato alla libera contrattazione tra i sindacati e le associazioni datoriali – col risultato che ogni categoria ha il suo contratto nazionale che fissa i minimi di compenso, frastagliandoli in mille cifre diverse, mille accordi separati che danno ai lavoratori retribuzioni e diritti diversi a seconda del contratto di riferimento.
Il tallone d'Achille del sistema italiano è diventato evidente negli ultimi dieci anni, con la crescita impetuosa dei contratti flessibili e in particolare del lavoro "parasubordinato" e finto autonomo. La tipologia più usata per i giovani, il contratto a progetto, così come le prestazioni a partita Iva, sono infatti completamente slegate dai contratti nazionali: col risultato che ogni giorno spuntano offerte di lavoro da 800, 600, addirittura 400 euro al mese per lavori full-time, inquadrate come lavoro autonomo ma in realtà corrispondenti ad impieghi subordinati classici. E con retribuzioni chiaramente indecenti – ma non illegali.
L'introduzione anche in Italia di un salario minimo sarebbe fondamentale per arginare questa deriva, ed evitare lo sfruttamento. La Repubblica degli Stagisti ne è talmente convinta che pochi mesi fa ha lanciato un'iniziativa, Milledodici, mirata proprio a stimolare le imprese a non offrire contratti pagati meno di mille euro netti al mese per impegno full time.
L'introduzione di un salario minimo sarebbe utile, come dimostra la polemica divampata oltremanica, anche per tutelare maggiormente gli stagisti: perché allo stipendio minimo si potrebbe agganciare un rimborso spese minimo per gli stagisti. Il meccanismo funziona già in Francia, paese dell'antica tradizione di salario minimo (l'antenato dell'attuale Smic, salaire minimum interprofessionnel de croissance, risale addirittura al 1950): qui tutti gli stage di durata superiore a due mesi e svolti all'interno di imprese private devono prevedere obbligatoriamente un rimborso spese di almeno 400 euro al mese. Più o meno un terzo del minimo dovuto a un lavoratore.
E anche la politica sta lentamente prendendo coscienza del problema: il salario minimo per esempio era tra le proposte contenute nel programma del Partito democratico alle elezioni politiche del 2008 dove al punto 6, «Stato sociale: più eguaglianza e più sostegno alla famiglia, per crescere meglio», si leggeva la promessa di una «sperimentazione di un compenso minimo legale, 1000-1100 euro netti mensili, per i precari». Ma Veltroni non ha vinto contro «il principale esponente dello schieramento avverso», e il governo Berlusconi non ha mai pensato a introdurre una misura di questo tipo, che risulterebbe osteggiata in maniera bipartisan: i sindacati non lo vogliono perchè limiterebbe il loro peso, le aziende chiaramente vedono come il fumo negli occhi l’introduzione di vincoli retributivi. E allora deve venir fuori un terzo fronte, quello dei giovani e degli onesti e della società civile. Che deve essere più forte di questi due poteri forti, e chiedere e pretendere che la discussione sul salario minimo almeno venga aperta.

Eleonora Voltolina

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