All'East Forum i pareri degli esperti su crescita economica e lavoro. In attesa che la crisi passi

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 11 Lug 2011 in Notizie

Una lunga giornata di dibattiti e tavole rotonde, dove però le idee davvero innovative hanno scarseggiato. Si potrebbe sintetizzare così l’edizione 2011 dell’East Forum, convegno internazionale su crescita e occupazione organizzato da Unicredit in collaborazione con l’Ocse, a Roma qualche giorno fa. Obiettivo: come si evince dal titolo (“Una crescita competitiva per una migliore occupazione”), parlare di politiche e strategie per promuovere lo sviluppo e l’impiego. La prima questione da affrontare era la recente crisi economica globale, i cui effetti sull’occupazione si possono adesso calcolare con certezza. «È una rivoluzione copernicana quella che ha colpito il mondo del lavoro» afferma Agostino di Maio, 46enne direttore generale di Assolavoro. «In due anni c’è stata una caduta verticale dell’impiego di lavoratori flessibili, diminuiti del 40-50%, e al contempo si è verificato un progressivo aumento del lavoro nero». «In Italia» precisa «il 18% del Pil è costituito da un’economia sommersa». Certo, c’è il problema dei ‘global trend’. L’invecchiamento della popolazione, i mercati emergenti, la mancanza delle worker skills richieste. E la questione dell'incontro tra offerta e domanda. Ma sono davvero questi i fattori che fanno patire i tanti – soprattutto giovani - in cerca di lavoro? Non per Pierluigi Celli [nella foto], 69enne direttore generale della Luiss e autore nel 2010 del libro La generazione tradita: «il problema è che mondo delle università e lavoro non si parlano quasi più e che oggi i ragazzi quando arrivano in azienda lo fanno a mani alzate perché devono accettare qualunque impiego. Non si tratta quindi di far quadrare domanda con offerta o di ragazzi poco preparati, ma di un incontro ‘choc’ con il mondo del lavoro». Celli esemplifica con il caso dei tanto acclamati ingegneri, modello di occupazione che avviene quasi sempre senza intoppi - almeno nell’immaginario collettivo. A detta del direttore della Luiss hanno invece le stesse difficoltà degli altri: entrano nelle aziende pagati a 500 euro e poi vengono assunti come risorse esterne tramite società di consulenza. Con questo sistema così «poco lungimirante», afferma, «non solo non ci si affeziona più al mestiere che si fa, ma non si costruisce il futuro». Per una volta quindi la palla passa in mano alle aziende, giudicate da Celli incapaci di investire nell’innovazione. E bugiarde: dicono di volere competenze trasversali, ovvero gente capace di reinventarsi ogni giorno (il tanto richiesto problem solving, per intenderci), ma poi si lamentano di trovare personale poco specializzato. La questione retributiva invece è soltanto sfiorata, di passaggio, sempre da Celli. «I salari sono determinanti nell’insoddisfazione dei giovani» sbotta, facendo cenno peraltro alla pratica delle esternalizzazioni. Perciò a suo dire si deve parlare piuttosto di un mismatching tra aspettative che crea la flessibilità dal punto di vista delle imprese e quelle di giovani non disposti a lavorare a certe condizioni.
Giovani, appunto: non ce ne sono tra gli accreditati al dibattito, anche se sostanzialmente si sta parlando di loro. Li cita nel suo intervento
Federico Ghizzoni, 56 anni, ad di Unicredit, annunciando l’assunzione a tempo indeterminato di duemila giovani entro il 2013 - di cui la metà già dentro come precari. Per lui il problema sta nel costo del lavoro, che andrebbe abbassato come dimostra l'esempio di altri paesi: «in Italia è più alto che in Germania dove con un costo del lavoro più contenuto si è registrato un aumento dei salari». «I giovani per la banca sono una necessità» afferma, non solo «perchè costano meno», ma anche perché «le banche con il personale meno anziano sono le più dinamiche».
Proposte analoghe sull'abbattimento dei costi arrivano da chi ha masticato politica per anni.  Gli incentivi fiscali sono infatti la soluzione a cui guarda Giuliano Amato, classe 1938, attuale presidente dell'International Advisory Board di Unicredit. Rimu
overe i disincentivi fiscali alla crescita significherebbe «aiutare l’assunzione di personale più qualificato, in un sistema come l’Italia dove la dimensione dell’impresa è normalmente sotto i dieci dipendenti». Inoltre per l’ex presidente del consiglio «aumentare la contribuzione per il lavoro precario produce una diminuzione del salario». «C’è qualcosa di sbagliato in questo», chiosa.
Ancora, per Susanna Camusso, 56enne segretario generale della Cgil, uno dei problemi sta nella
«divaricazione tra realtà e politica», di cui «la manovra finanziaria in atto è un esempio». È lei, alla guida del sindacato che da mesi promuove la campagna "Non + stage truffa" ispirata alle sollecitazioni della Repubblica degli Stagisti e della Carta dei diritti dello stagista, a puntare il dito contro stage gratuiti «che non sono flessibilità», e ad auspicare una nuova politica industriale «che scommetta sul futuro» di un paese dove 40-50mila giovani sono in fuga all'estero ogni anno. «E questo è un giudizio sul paese».
La discussione prende una piega più polemica sui temi del difficile accesso al credito per le donne, e della flessibilità interna alle aziende. È la preside della facoltà di Economia dell’università di Udine e ordinaria di diritto del lavoro, la 51enne Marina Brollo, a lanciare la questione dalla platea dei discussant, chiedendo quali misure sarebbero possibili per rendere il lavoro femminile più semplice in fase
di start up attraverso la concessione di prestiti bancari, o all'interno di un'azienda con la flessiblità di orario. «Noi abbiamo ragazze che ci chiedono la flessiblità. Dobbiamo rifletterci» ribatte Ghizzoni, aggiungendo di voler «pensare a un’offerta ad hoc per le donne imprenditrici, spesso più di successo quindi con un ottimo ritorno economico». A chiudere, il monito del messicano Angel Gurria [a destra], 61 anni, segretario generale Ocse, per cui «la crisi non potrà essere superata finché le economie non inizieranno a creare un numero sufficiente di posti di lavoro». Nei paesi Ocse, dove un giovane su cinque è disoccupato e una parte ancora maggiore ha smesso di cercare un impiego, «sono 15 milioni i posti di lavoro necessari a riportare l’occupazione sui livelli del 2007».
Ora che il sistema occupazionale è stato analizzato a fondo, arriveranno finalmente i provvedimenti necessari a cambiarlo?

Ilaria Mariotti

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