Le domande personali in sede di colloquio non sono lecite: lo dicono il Codice delle pari opportunità e la Costituzione

Sergio Passerini

Sergio Passerini

Scritto il 03 Feb 2011 in Approfondimenti

Prosegue «L'avvocato degli stagisti», rubrica della Repubblica degli Stagisti curata da Evangelista Basile e Sergio Passerini, avvocati dello studio legale Ichino Brugnatelli. Basile e Passerini approfondiscono di volta in volta casi specifici sollevati dai lettori. La domanda stavolta è stata posta dalla lettrice Beatrice attraverso il wall del gruppo Repubblica degli Stagisti su Facebook.

stage rubrica avvocato stagisti«Durante un colloquio mi hanno chiesto se convivevo e se avevo un fidanzato: volevano accertarsi io non avessi in progetto di creare una famiglia. Come comportarsi in questi casi? È legale che i selezionatori pongano domande riguardanti sfere così private?»


Domande tanto personali come quelle rivolte alla lettrice possono rappresentare non solo una indebita intromissione nella sfera privata del soggetto, ma anche una forma – più o meno celata – di discriminazione nell’accesso al lavoro o, come in questo caso, nell’accesso a un’iniziativa formativa. Sotto il profilo giuslavoristico tali tipologie di indagine possono configurare a tutti gli effetti un vero e proprio comportamento illecito. Infatti, anche ai tirocini formativi e di orientamento – benché non costituiscano rapporti di lavoro – è applicabile l’articolo 27 del decreto legislativo 198/2006 (il cosiddetto «Codice delle pari opportunità»), il quale stabilisce espressamente che:
«[1]. E' vietata qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l'accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché la promozione, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale.
[2]. La discriminazione di cui al comma 1 è vietata anche se attuata:
a) attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive;
b) in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso.
[3]. Il divieto di cui ai commi 1 e 2 si applica anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento aggiornamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini formativi e di orientamento, per quanto concerne sia l'accesso sia i contenuti, nonché all'affiliazione e all'attività in un'organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, e alle prestazioni erogate da tali organizzazioni». 
In applicazione dei principi di parità e di uguaglianza di opportunità tra uomini e donne, contenuti nell’articolo 37 della Costituzione («La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare al-la madre e al bambino una speciale adeguata protezione») la norma detta precisi limiti all’autonomia privata del datore di lavoro nell’organizzazione dell’impresa, vietando qualsiasi discriminazione per ragioni di genere in materie fondamentali quali l’accesso al lavoro e le iniziative in materia di orientamento e formazione. Tale norma prevede possibili deroghe solo per mansioni di lavoro particolarmente pesanti, individuate attraverso la contrattazione collettiva, o qualora – nei soli settori della moda, dell’arte e dello spettacolo – l’appartenenza ad un determinato sesso sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione.
Non riteniamo, dunque, che domande del genere di quello evidenziato dalla lettrice possano essere legittimamente poste all’aspirante stagista. La violazione delle disposizioni dell’articolo 27 del Codice delle pari opportunità è tra l’altro espressamente sanzionata dalla legge, con un’ammenda di importo molto significativo. Inoltre, la persona che si ritiene discriminata – o, per sua delega, le organizzazioni sindacali, le associazioni e le organizzazioni rappresentative del diritto o dell'interesse leso, la consigliera o il consigliere di parità provinciali o regionali territorialmente competenti – può proporre dinnanzi al Giudice del Lavoro un particolare procedimento speciale d’urgenza; il Giudice, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritiene sussistente la discriminazione può ordinare all’autore del comportamento denunciato la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti, e, se richiesto, può anche condannare l’autore del comportamento illecito al risarcimento dei danni subiti dalla persona discriminata.

Sergio Passerini


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