Un corso di formazione, un'offerta di impiego o di uno stage di qualità entro quattro mesi dalla perdita del lavoro o dal termine degli studi: è la proposta 'anti-neet' lanciata dall'Europa lo scorso dicembre. La Commissione europea ha infatti varato un Pacchetto Giovani, che contiene tra i vari provvedimenti la Youth Guarantee, una 'Garanzia Giovani' per assicurare un percorso di inserimento lavorativo a chi ha meno di 25 anni, collegata a uno stanziamento di fondi per la programmazione 2014-2020. Ciò che si chiede nello specifico è l'impegno di ogni Stato membro a farsi carico di questi obiettivi a favore dei giovani per scongiurare il rischio disoccupazione ed esclusione sociale. A occuparsene dovranno essere istituzioni locali e in particolare i servizi all'impiego.
La misura costerebbe circa 21 miliardi di euro, cifra ben inferiore a quella che si spenderebbe per i sussidi di disoccupazione, che – nel segmento che riguarda i giovani - secondo Eurostat pesa sui bilanci pubblici per un totale di 150 miliardi euro l'anno considerati sussidi, mancato gettito fiscale e mancati guadagni. Perché i neet, quei 2,1 milioni di italiani (e 14 milioni di europei) tra i 15 e 29 anni che non studiano e non lavorano, non rappresentano solo una fallimento per la società, ma hanno anche un peso economico notevole: 32 miliardi se si guarda solo all'Italia. Puntare sul loro recupero non è dunque una semplice azione di welfare, ma una politica per lo sviluppo. Un investimento a tutti gli effetti che fa risparmiare miliardi alla collettività. La forza della Youth Guarantee consiste inoltre nella capacità «di intervenire in modo immediato contro la disoccupazione, prima che l'esclusione sociale entri a far parte della vita del giovane» ragiona Massimiliano Mascherini di Eurofound. Attraverso percorsi personalizzati, cuciti addosso a ciascun candidato in base alle sue peculiarità, si «evita la disoccupazione di lungo termine, che è quella che fa più male».
La Cgil Giovani ha accolto il monito dell'Europa presentando la sua nuova campagna 'Garantiamo Noi' (qui la petizione online), che chiede l'applicazione dello Youth Guarantee anche in Italia (estendendola però agli under 29 visti i tempi di istruzione più lunghi), sull'esempio di altri Stati che già la applicano da anni - in Svezia esiste dal 1984 peraltro con ottimi risultati - o che stanno per sottoscriverla, come annunciato dalla Francia. «Abbiamo ribaltato le parole ('Garantiamo noi', ndr) perché pensiamo che possano essere le giovani generazioni a garantire la ripresa del Paese. Siamo noi a voler garantire un Paese all'altezza delle nostre possibilità» ha sottolineato Ilaria Lani, sindacalista della Cgil, alla conferenza per il lancio dell'iniziativa a Roma a fine gennaio.
La Youth Guarantee in Italia, dove la disoccupazione giovanile è al 37%, andrebbe però declinata in base alle caratteristiche di un Paese piuttosto lontano dagli standard di tutela europei: da noi a differenza che all'estero non sono previsti ammortizzatori per chi non ha mai lavorato, per chi ha una bassa anzianità contributiva o contratti atipici, neanche nel caso dell'Aspi introdotta dalla riforma Fornero. E non ci sono contributi figurativi per coprire i periodi di lunga disoccupazione. I neet poi - a differenza di altripassei come per esempio la Svezia, dove sono «rappresentati soprattutto da chi ha alle spalle abbandoni scolastici» come racconta Susanna Holzer del sindacato svedese TCO - in Italia hanno una composizione più variegata: ci sono molti giovani qualificati (il 20% ha una laurea) e giovani donne, soprattutto del Sud. Nel Paese scandinavo invece su 5 milioni di lavoratori ben il 70% è laureato. Il problema della disoccupazione non riguarda quindi i laureati, e ai centri per l'impiego si rivolge soprattutto chi ha lacune dal punto di vista formativo.
Qui da noi, dicono i rappresentanti della Cgil in un comunicato, si vive in 'Ereditalia' e l'ascensore sociale è bloccato. «I laureati italiani si portano appresso la condizione di partenza per tutta la vita» denuncia Michele Raitano della Sapienza. «Il salario del figlio di un manager sarà più alto non solo in entrata ma sempre. Chi ha origini migliori qui può fare studi migliori, ed è sbagliato. I giovani devono poter essere choosy per avere prospettive di carriera, e non essere costretti a scegliere il primo lavoro che capita, altrimenti perpetuiamo l'immobilità sociale». La crisi infatti non è uguale per tutti, ma colpisce di più che è in condizioni disagiate. «L'accesso al lavoro è determinante per la carriera futura: avere una famiglia benestante alle spalle non solo offre un bagaglio di relazioni e conoscenze, ma consente al giovane di attendere il lavoro migliore, senza dover accettare il primo impiego che arriva. Il periodo di transizione tra lo studio e il lavoro lascia un forte imprinting: i giovani che devono fare i conti con prolungati periodi di precarietà, disoccupazione e impiego scarsamente qualificato, sono poi meno pagati, meno produttivi e più esposti durante tutta la vita lavorativa» scrivono nel comunicato. È qui allora che deve intervenire lo Stato attraversi servizi per l'impiego che siano una volta per tutte davvero funzionanti. In Italia solo il 3,4% dei giovani trova lavoro attraverso i centri per l'impiego, mentre il 30,7% lo fa grazie ad amici, parenti e conoscenti. Potenziare i centri per l'impiego, per cui in Italia si spende lo 0,029% del Pil («siamo agli ultimi posti in Europa» commenta Ilaria Lani, responsabile delle Politiche giovanili della Cgil e del progetto dei Giovani non + disposti a tutto) significa «assegnare competenze specifiche alle Province, garantire standard uniformi di servizi assicurati su tutto il territorio nazionale, figure professionali specifiche, servizi di incrocio domanda e offerta di lavoro, superare l'attuale incomunicabilità tra le istituzioni preposte alle politiche attive e alle politiche passive di impiego».
I tirocini poi, oltre ad avere una certificazione di qualità e a non «essere occasione di sfruttamento», devono garantire una «congrua indennità» per tutta la loro durata. Anche l'apprendistato va garantito: ci deve essere reale formazione, certificazione delle competenze, possibilità di inserimento lavorativo. Al pari della formazione professionale: «i corsi di formazione devono avere l'obiettivo di rafforzare e diffondere competenze coerenti con i fabbisogni del territorio». E ancora la Cgil fa sua la raccomandazione della Youth Guarantee nel voler «favorire le assunzioni impegnando fondi strutturali che assicurano sconti fiscali per i contratti a tempo indeterminato». Senza dimenticare l'autoimpiego e il sostegno alla progettualità, insieme al miglioramento dell'accesso alle professioni (qui fa la sua comparsa anche l'equo compenso giornalistico).
Tra il centro per l'impiego e il candidato «va stilato un vero e proprio contratto che formalizzi il rapporto» aggiunge Ilaria Lani, che dia la certezza dell'efficacia del progetto costruito in base alle esigenze di ognuno.
Come trovare le risorse? Secondo la sindacalista un'idea è la patrimoniale, «non perché noi della Cgil siamo fissati con questo ma perché siamo il Paese con il più alto tasso di beni immobiliari nelle mani di poche famiglie. L'elemento solidaristico è fondamentale per non trasmettere le disuguaglianze». Tanto dovrebbe bastare alla costituzione di un fondo «per l'attuazione della Garanzia Giovani» con un capitale di base di almeno 1 miliardo di euro.
È lo Stato a doversi fare carico della condizione dei giovani «perché ne è responsabile» conclude Susanna Camusso, intervenuta all'incontro di presentazione dell'iniziativa. «Le politiche attive per l'accesso al lavoro vanno rimesse in mano al pubblico. E va ripensato tutto il sistema, anche quello antecedente ai centri per l'impiego, ovvero la formazione». Chi è all'origine del fallimento del sistema, che ha provocato disoccupazione da record e tassi insostenibili di emarginazione sociale (i neet appunto), sono i governi europei. Adesso, dopo la creazione di una carta di intenti europea, la soluzione del problema spetta a loro.
Ilaria Mariotti
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