La notizia c'era e andava data - e infatti l'abbiamo data. Un fondo che permette di finanziare 6mila tirocini e che si ripromette di vegliare sulla qualità dei percorsi formativi e sui reali sbocchi occupazionali al termine degli stage è qualcosa che interessa senz'ombra di dubbio i lettori della Repubblica degli Stagisti – specialmente quelli campani, calabresi, pugliesi e siciliani cui è destinato il progetto. La speranza è che le promesse del responsabile di Promuovi Italia vengano, tra due o tre anni, confermate dai fatti. Eccole riassunte: questi stage saranno una sorta di "autostrada per l'occupazione" per i disoccupati, con una previsione del 65% di percentuale di assunzione dopo lo stage; se qualche stagista abbandonerà a metà percorso scatteranno controlli incrociati per capirne il motivo, e lo stesso accadrà per gli stage che non si trasformeranno in contratti di lavoro.
Restano però in sospeso due questioni. La prima riguarda l'assenza, in questo progetto "Les 4" come in altri, di un limite massimo di età per partecipare. Il che produce, come già è successo in passato, stagisti trentenni, quarantenni o addirittura cinquantenni. C'è chi difende questa possibilità, invocando il diritto a rifarsi una professionalità anche in tarda età, a "ricominciare daccapo". Noi invece riteniamo – e lo abbiamo scritto nero su bianco anche nella Carta dei diritti dello stagista – che gli stage siano uno strumento da utilizzare esclusivamente per i giovani. Sono loro che, del tutto inesperti, possono aver bisogno di questi momenti di transizione per passare dalla formazione al lavoro.
Il diritto di ciascuno di cambiare lavoro anche a una certa età va certamente garantito, ma non attraverso gli stage – sebbene, beninteso, la legge non lo vieti. Una persona che ha lavorato già per due, dieci o addirittura vent'anni non ha bisogno di ulteriore formazione. Anche se cambia settore, ambito di attività, mansioni. Del mondo del lavoro sa già tutto quel che serve: l'importanza della puntualità, la gestione del proprio tempo, la relazione con colleghi, sottoposti e superiori. Passati i vent'anni, essere "lo stagista" è anche piuttosto umiliante – e lo ha descritto bene Andrea Bove nel suo amaro libro Stagista a quarant'anni. In più, i disoccupati adulti cercano un lavoro per poter tornare a guadagnare, a mantenere se stessi e magari anche la propria famiglia: e questo lo stage non lo consente, perchè non prevede una retribuzione ma solo la possibilità di un rimborso spesa.
Per questo motivo, tra l'altro, noi reputiamo nella maggior parte dei casi negativi gli stage gratuiti, e promuoviamo attraverso questo sito una cultura dello stage che preveda da parte delle aziende l'erogazione di un buon rimborso spese, affinchè gli stagisti non debbano rimetterci di tasca propria.
Qui, nel caso in questione del "Les 4", lo Stato interviene per risolvere il problema mettendo a disposizione 60 milioni di euro che si tramutano, per ciascun tirocinante, in un rimborso spese molto alto – quasi mille euro al mese – a cui si aggiunge anche il benefit dell'alloggio, quantificabile da 200 a 4-500 euro a seconda della località. Certamente un vantaggio per chi parteciperà a questo programma di tirocini. Ma è davvero un vantaggio per il mercato del lavoro italiano, per i giovani e meno giovani che cercano lavoro, e più in generale per la società?
Noi diffidiamo degli stage troppo pagati in ambito pubblico, o comunque (come in questo caso) finanziati da un ente pubblico, perchè spesso nascondono logiche di assistenzialismo e clientelismo. Con le elezioni regionali alle porte c'è poco da scherzare: centinaia di questi "stage" da mille euro al mese potranno diventare, che lo si voglia o no, una sorta di bacino di consensi.
Ma, al di là di questo, c'è un secondo aspetto molto più concreto che finisce sempre in un angolo, e che invece è importante ricordare. Ha senso che lo Stato paghi le persone che vanno in stage in aziende private? Tutti sanno che uno stagista, dopo le prime settimane, diventa operativo, quindi produttivo, quindi porta un vantaggio quantificabile anche economicamente al "soggetto ospitante". Specialmente in alcuni settori di attività, tra cui quello turistico, in cui non sono richiesti particolari titoli di studio e le mansioni da svolgere non sono complicate. Fare il barman, la receptionist, il commesso in un'agenzia di viaggi: dopo un mese o due di "rodaggio" più o meno tutti ce la fanno.
E allora perchè dev'essere lo Stato a sobbarcarsi l'onere di pagare questi stagisti? Perchè non mettere come condizione alle imprese che vogliono partecipare a questo e ad altri progetti simili, dichiarandosi disponibili ad ospitare stagisti, di contribuire anche loro – pagando per esempio la metà del rimborso spese? In questo modo, tra l'altro, verrebbero responsabilizzate: avendo investito anche loro qualche moneta sonante – oltre al tempo del tutor – nella formazione dello stagista, è probabile che sarebbero più motivate a tenerlo. Il "regalo", invece, è quasi sempre nemico della responsabilità.
Eleonora Voltolina
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