Ieri a Milano c'era Muhammad Yunus. L'uomo che si è inventato il microcredito, creando una banca per i più poveri e realizzando una sorta di rivoluzione economica che ha rimesso in piedi il suo paese, il Bangladesh. L'uomo che ci ha creduto per trent'anni: all'inizio in solitudine, poi con il sostegno crescente di economisti e attivisti, fino al bestseller Il banchiere dei poveri (pubblicato nel 1998 da Feltrinelli) e al premio Nobel per la pace, ricevuto nel 2006.
Lasciamo perdere le note stonate della serata al teatro Dal Verme, dalla complimentosa cerimonia delle buone intenzioni orchestrata dal redivivo Red Ronnie ai contributi musicali inaspettati e inappropriati di due cantanti (l'esordiente Erica Mou e poi Paola Turci), fino allo spot elettorale del sindaco Letizia Moratti che ha fatto perdere la pazienza al pubblico facendo salamelecchi a Lucio Stanca ad di Expo e Alessandro Profumo di Unicredit, quando tutta la platea aspettava ormai da un'ora l'intervento di Yunus.
Soprassediamo quindi sul quadro della serata, e andiamo al centro: a lui, Yunus. Che è un genio, senza se e senza ma. Uno che ha capito che per sconfiggere la povertà c'è un sistema infallibile, l'accesso al credito (con un approccio pragmatico ben più convincente degli appelli alla solidarietà un po' generici e pelosi lanciati dal palco). Cioè permettere a tutti, anche ai più poveri, di costruirsi il loro piccolo – talvolta addirittura microscopico – business. E legare indissolubilmente la crescita del benessere economico alla diffusione dell'istruzione: così tutte le donne che hanno ricevuto in trent'anni prestiti dalla banca di Yunus, la Grameen, e sono oggi azioniste di quella stessa banca, hanno dovuto promettere non solo di restituire il finanziamento ricevuto, ma anche di mandare i propri figli a scuola. Il che ha creato oggi, in Bangladesh, una nuova generazione più forte: istruita, colta, pronta al futuro. Ingegneri, medici, economisti, insegnanti: potevano essere bambini analfabeti, sono stati bambini istruiti. Potevano essere adulti analfabeti, condannati a ripetere la vita dei genitori: sono oggi adulti diplomati, in molti casi addirittura laureati. Grazie alle borse di studio della Grameen. Grazie alle idee del visionario Yunus.
Questo cosa c'entra con i giovani italiani? C'entra. Dalle ultime file del teatro Dal Verme, ieri, una voce di ragazza si è alzata, esasperata, proprio mentre Letizia Moratti aveva chiamato sul palco Profumo a raccontare del nuovo progetto di Unicredit, una finanziaria che erogherà microcrediti agli ex carcerati. E la ragazza ha urlato: «Prima che ai carcerati, pensate ai laureati!».
Questa ragazza ha ragione. L'accesso al credito, nell'Italia del 2010 agiata ed evoluta, è precluso ai giovani. E non si tratta solo di quando si vuole comprare una casa, e le banche non si fidano di chi non ha la busta paga e pretendono l'umiliante procedura della garanzia dei genitori. Si tratta anche – e soprattutto – di quando un giovane ha un'idea e vorrebbe realizzarla da solo, sulle sue gambe. Aprendo la sua microimpresa, avviando un business, con la prospettiva magari di poter creare, se le cose andranno bene, anche posti di lavoro per altri. Ma le banche italiane non gli aprono nemmeno la porta: meglio continuare sulla strada già battuta e non rischiare – non sia mai che il prestito non venga restituito, che il giovinastro s'involi coi denari.
Il punto è che non è vero. Yunus lo ha dimostrato: la sua Grameen Bank registra un tasso di restituzione dei finanziamenti del 97%, pur prestando soldi ai più poveri tra i poveri, perfino ai mendicanti (e di questi uno su cinque, grazie al miracolo del microcredito, non solo vive meglio ma esce anche dalla condizione di accattonaggio). Se qualche banca decidesse di fare lo stesso coi 20-30enni italiani, dando fiducia anche ai precari, anche agli stagisti, anche ai nullatenenti, creerebbe un humus eccezionalmente fertile per lo sviluppo e la crescita di questi giovani e dell'intero Paese.
È questa la prossima battaglia: l'accesso al credito per noi giovani. Per poter smettere di dover dipendere dai nostri genitori, poter sognare non solo un lavoro dipendente ma anche un futuro da imprenditori, e poter avere un'opportunità per realizzare le nostre idee e i nostri sogni. Perchè, a dirla con Yunus, quando una persona non trova lavoro deve rovesciare la prospettiva: smettere di cercare qualcuno che glielo dia, ma utilizzare le proprie energie e la propria mente per crearne uno. Far partire, insomma, un'avventura imprenditoriale in grado di dare lavoro non solo a chi la avvia ma anche ad altri, contribuendo così allo sviluppo del Paese. E per fare questo – in Italia così come in tutto il mondo – ci vuole un sistema creditizio alleato, e non nemico, dei giovani.
Eleonora Voltolina
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