Tirocinanti a 60 anni in Calabria, le storie (lunghe anni) di due stagisti senior

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 15 Nov 2022 in Notizie

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Hanno ottenuto una proroga e ora navigheranno tranquilli – se così si può dire – fino al termine del 2023, quando arriverà a conclusione l’ennesima annualità del loro stage infinito negli enti pubblici calabresi. Sono i tirocinanti di inclusione sociale, persone per lo più over 50 per le quali in dieci anni la politica non è riuscita a trovare una soluzione che non fosse un tirocinio reiterato nel tempo.

Oggi stanno cominciando altri dodici mesi di stage, con tempi diversi perché ognuno l’ha iniziato in mesi diversi: per tutti si tratta di una continuazione, senza alcuna interruzione nemmeno di un giorno. Ma questo anno in più non tranquillizza, visto che con tutta probabilità non porterà da nessuna parte.

Francesco Creazzo ha 55 anni. Quando ha cominciato lo stage era il 2012, e ne aveva 45
. È un tecnico di valutazione ambientale, di commercio, ha il titolo di perito industriale e varie patenti per le guide professionali. «In questi dieci anni ho cercato lavoro, perché ti dà dignità. Così a volte ho interrotto il tirocinio per dei contratti brevi, anche per avere un minimo di contributi. Ma in Calabria dopo sei-otto mesi ti licenziano perché non ci sono più le commesse... e quindi rientravo nelle politiche attive. Ormai, però, ho una certa età. Non riesco a trovare nulla».

Il percorso professionale di Creazzo subisce una brusca battuta d'arresto una dozzina d'anni fa: «L’ultimo lavoro che ho avuto era buono, avevo 14 mensilità, i buoni pasto. Poi è arrivata la crisi che ha colpito l’azienda per cui lavoravo, un’impresa del nord con sedi anche al sud. E quando si deve licenziare, guarda caso cominciano sempre dalla Calabria». L’azienda in questione procede a ridurre il personale della sua sede calabrese per poi chiudere totalmente, lasciando a casa tutti i dipendenti.

Dopo un periodo di disoccupazione ordinaria comincia per Francesco Creazzo la mobilità in deroga: «Le piccole aziende non riuscivano a entrare nei parametri della mobilità ordinaria; terminata la disoccupazione non ci sarebbe stato nulla. Lo Stato in quel periodo ha creato la mobilità in deroga» racconta: «In pratica davano delle deroghe alle Regioni, che creavano percorsi di politiche attive. La differenza è che la mobilità è una politica passiva, stai a casa e ti danno i soldi; con le politiche attive, invece, svolgi dei compiti per cui vieni pagato».

Nel 2012, ben dieci anni fa, Creazzo comincia il suo percorso da tirocinante. In quegli anni si attivano le cosiddette politiche attive
presso ministeri, enti locali ed uffici giudiziari con l’intento di avviare a percorsi di riqualificazione e formazione gli ex lavoratori in mobilità in deroga, secondo quanto disposto dalla legge 92 del 2012. Tirocini finanziati grazie a fondi europei. «All’inizio era un tirocinio di sei mesi. C’era un rimborso spese mensile di circa 300 euro, 250 a carico della Regione e 50 dell’ente, a cui si sommava la mobilità in deroga. Molto meno di ora». Il tutto per un impegno di quattro ore di lavoro al giorno. Qualche anno dopo, nel 2015, cambia tutto perché il ministro del lavoro del momento, Giuliano Poletti, elimina la mobilità in deroga «e rimaniamo senza nulla. Poi con il Jobs Act di Renzi si creano i fondi Pac, tramite finanziamenti europei, e nuovi percorsi di tirocinio in cui anche noi ex percettori di mobilità in deroga finiamo dentro».

Il problema è che prevedere una politica attiva come un tirocinio in un ente pubblico – dove non c'è prospettiva di assunzione perché per legge si entra per concorso pubblico – e con una normativa  che
all’epoca ai tirocini non assegnava nemmeno alcun valore di punteggio aggiuntivo in un eventuale selezione (come invece negli anni è stato ad esempio previsto per i tirocinanti della giustizia), non aiuta nella conquista dell’ambìto posto di lavoro. «Di solito i tirocini vengono svolti nel privato, e quando fai una politica attiva del genere al novanta per cento vieni assunto. Le aziende danno la possibilità di formare il lavoratore e poi assumerlo» riflette Francesco Creazzo: «Diversa è la situazione negli enti pubblici. Ma eravamo molti: 7mila persone», un numero troppo importante per trovare facilmente collocazione nel non vitalissimo tessuto imprenditoriale del Mezzogiorno: «E hanno pensato quindi di diluirci in questi uffici: in Calabria non c’era un contenitore altrettanto grande in grado di assorbire tutti questi disoccupati».

Oggi l’età media è tra i cinquanta e i sessant'anni. All’epoca, però, i partecipanti erano 35enni, 38enni, speranzosi di poter ottenere, dopo un periodo di tirocinio, un vero lavoro. Qualcuno aveva già qualche anno in più, come Vincenzo Falleti, che oggi ha sessant'anni ed è tirocinante di inclusione sociale presso il Comune di Taurianova. La sua storia comincia più tardi, nel 2017: «Eravamo un gruppo di persone in mobilità in deroga», quindi fruitori di politiche passive, «per cui ti pagavano anche stando fermo sul lavoro», poi “trasformate” in politiche attive: «Io venivo dall’edilizia. Bisognava partecipare a questi bandi di tirocinanti della Regione Calabria: una formula per non pagare tasse, non dare ferie, malattia, contributi. All’inizio il mio tirocinio era di sei mesi con un rimborso spese di 800 euro, poi c’è stato un secondo bando questa volta per dodici mesi ma con un’indennità più bassa: 500 euro. A cui ne è seguito un altro». Cambiano i bandi e magari i tipi di tirocinio ma il monte ore è sempre lo stesso: quattro ore al giorno, circa venti alla settimana. Nel 2021, dopo varie proteste, l’indennità viene aumentata a 700 euro mensili, stessa cifra che ora questi stagisti senior prenderanno nell'ambito della proroga. «Ci paga l’Inps regionale, attraverso la sede locale, con un estratto conto bimensile e un tempo di circa venti giorni per fare il bonifico». In pratica, quindi, tempi lunghissimi per avere in tasca i soldi.

Il 2019 è stato un po’ un anno di svolta, soprattutto per Creazzo che ormai già da sette anni faceva il tirocinante. Perché il suo è diventato un tirocinio di inclusione sociale. «Per l’ennesima volta, e sottolineo per certi aspetti fuori norma, veniamo quindi rinnovati e partiamo con questo percorso Tis
. Il tirocinio però dovrebbe avere al massimo una proroga e dopo dovrebbe darti un lavoro. Mentre qui la politica cambia il nome alle cose ma la sostanza è la stessa. E ci hanno nuovamente messo in questo percorso. Cambiano i nomi, le formule, ma siamo sempre le stesse persone. Il tirocinio dovrebbe introdurti nel mercato del lavoro altrimenti che utilità ha?» si chiede Creazzo: «È come se uno andasse a scuola e non ricevesse mai il diploma».  

Tre anni fa, si diceva, partono i Tis: «All’inizio dodici mesi, poi ci hanno bloccato perché c’era il Covid, dopo di che è arrivata la prima proroga sempre di un anno che stiamo concludendo adesso e in deroga, perché in realtà non avrebbero potuto farne altri visto che la legge non lo prevedeva, hanno fatto una nuova proroga di un anno come sostegno al reddito».

Anche Francesco Creazzo sottolinea l’ulteriore problema dei tempi di pagamento: «Quando finisce il secondo mese mentre non fanno i conteggi delle firme, poi passano alla Regione, poi all’Inps, che paga, a volte passano quasi tre mesi. Tutto questo incide sulla nostra qualità di vita. Per questo abbiamo chiesto con un’istanza ai sindacati, al presidente della Regione e alla vicepresidente che è anche assessore al lavoro, di ristrutturare la forma del pagamento mensilmente». Non solo: i tirocinanti hanno anche chiesto un’integrazione dovuta al caro vita «perché non siamo riconosciuti come lavoratori, o disoccupati e non rientriamo quindi in nessun decreto aiuti».

In tutti questi anni oltre 4mila tirocinanti hanno coperto i vuoti di organico negli enti pubblici calabresi in cui, specie ultimamente, c’è un forte spopolamento. «Tamponiamo tutte le figure: dalle maestranze fuori ai muratori, dai carpentieri agli impiegati». L’assurdità del progetto è che camuffa un lavoro vero con un tirocinio, senza prevedere contributi e prospettive di pensione, e spreca risorse perché non garantisce un reale inserimento lavorativo e spesso dà una “formazione” inutile perché negli anni gli stagisti vengono spostati di sedi e funzioni.

Creazzo, per esempio, è stato prima a Villa San Giovanni, poi a Campo Calabro e ora è a Scilla da tre anni: al momento svolge un tirocinio nella mansione di “organizzatore di fiere, esposizione, eventi culturali presso il comune”, mentre l’anno scorso era tirocinante nella “mansione di operatore amministrativo presso il Comune di Scilla”. Nei primi anni, invece, quelli per i quali ha anche un’attestato di formazione, la sua mansione era quella di “collaboratore di atti amministrativi e determine” per l’ufficio tecnico di Villa San Giovanni. Nel suo ufficio a Scilla c'erano ben venti tirocinanti – ora sono in diciannove, perché uno è morto.

Falleti, invece, ha svolto il tirocinio sempre al Comune di Scilla, ma nell’ufficio manutenzione. «Facciamo un po’ tutto: dalla manutenzione stradale agli edifici e parchi pubblici. Il primo anno ci siamo dedicati al verde, quindi potature degli alberi, rasature dei prati, pulizie di cunette, a livello di operai comunali». Figure per cui è evidente non sia adeguato un inquadramento in tirocinio. Ma evidentemente i comuni, non avendo soldi per coprire eventuali assunzioni o contratti, finiscono per utilizzare tirocinanti, sottopagati, in funzioni decisamente fuori dall’ambito di uno stage.

Eppure con l’inizio dei tirocini di inclusione sociale qualche speranza c’era: «Mi aspettavo che mi desse un vero lavoro» continua Falleti, che però arrivato a sessant'anni anni è ormai realista:  «Oggi bisogna accettare quello che c’è. Il nostro in fin dei conti è un part time, quattro ore al giorno. Non c’è nessun obbligo, all'inizio eravamo in trenta e oggi siamo rimasti in ventitré. È una scelta libera accettare. Certo il tirocinio è un escamotage per avere manodopera gratis. Ho un figlio, anche lui è tirocinante presso un’azienda e prende 800 euro. Capisco che lo stage sarebbe un modo per apprendere e che la Regione lo ha utilizzato per andare avanti spendendo poco o niente. Una formula studiata ad arte per dirti “se vuoi è così altrimenti te ne vai via”. Capisco i miei colleghi che non si sentono bene con questo tipo di lavoro. Io ho avuto dei problemi di salute importanti, l’età avanza, e tra una cosa e l’altra mi va bene così».

Sempre con l'auspicio, però, che prima o poi un contratto di lavoro vero salti fuori: «Ora facciamo questo nuovo anno e poi vediamo. I lavoratori socialmente utili, gli “Lsu”, hanno lavorato per vent'anni praticamente in nero per la Regione, e dopo una lunga battaglia sono riusciti ad entrare in un percorso di contrattualizzazione» ricorda Falleti: «La Regione ha tutto l’interesse di tenerci, perché nei comuni stanno facendo prepensionamenti continui e non c’è più nessuno. Dipende tutto dai fondi e per ora sembra che questa giunta regionale sia schierata dalla nostra parte».

Lo pensa anche Creazzo, che pur sentendosi «umiliato» a fare, dopo dieci anni, ancora il tirocinante, almeno non si sente più «anche abbandonato: dopo vari incontri fatti durante l’ultima campagna elettorale
», ritiene che «qualcosa forse è cambiato». Alla politica questi stagisti cinquanta-sessantenni chiedono «che si prenda carico seriamente di questa vicenda vergognosa. È come se fossimo dei lavoratori in nero, lo Stato li combatte e dovrebbe farlo anche al suo interno. Come ci hanno detto nell’ultima campagna elettorale, devono trasformare il tirocinio in un contratto serio di lavoro che poi nel tempo porti a un indeterminato e alla stabilizzazione, come è successo con altre forme di precariato che ci hanno preceduto».

Torna tutto in mano alla politica, nuovamente. Che ora ha un anno per studiare cosa fare. Non ci sono campagne elettorali all’orizzonte. Bisogna solo trovare una soluzione, che rispetti la legge e che dia a chi per un decennio ha consentito l’apertura degli uffici pubblici e lo svolgimento anche delle più elementari mansioni la giusta contrattualizzazione. Evitando, però, che tutto questo crei un precedente, per nuovi futuri stage sfruttamento.

Marianna Lepore

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