Dal 1° luglio al 1° settembre è aperto il bando per candidarsi agli stage presso la Commissione europea. La Repubblica degli Stagisti raccoglie le testimonianze di chi ha già fatto questa esperienza: ecco quella di Pasquale D'Apice.
Sono nato nel 1981 a Modena e lì ho vissuto fino alla laurea, nel 2005. Al liceo le mie passioni, oltre ad organizzare autogestioni di massa e assemblee d’istituto, erano filosofia, storia e (forse…) matematica. Economia, inizialmente, non l’avevo neanche presa in considerazione. Ma ho fatto la maturità nel 2000, c’era la new economy, i telegiornali parlavano tutti i giorni di Piazza Affari, della storica introduzione dell’euro… Volevo finalmente capire di cosa stessero parlando, e volevo cambiare alcune cose, tra cui il sistema. Economia mi sembrava un buon compromesso tra materie scientifiche ed umanistiche, senza per questo rinunciare ad un percorso che potesse essere speso – se andava male con la rivoluzione – in quella moderna giungla metropolitana altresì nota come mercato del lavoro.
Durante gli studi mi sono mantenuto con lavoretti che andavano dal facchinaggio, al tutoraggio, al DJ di quella che di lì a un paio d’anni sarebbe diventata la più grande serata universitaria a Modena, Rockappello. Tutte cose che ho continuato a fare fino al terzo anno di università, quando ho fatto un Erasmus. Era il 2003, avevo ventun'anni e quei sei mesi passati ad Amsterdam, alla Vrije Universiteit, hanno cambiato tutto. Lì ho iniziato ad imparare l’inglese per davvero – non per finta come sui banchi di scuola – e a cavarmela da solo. Ma soprattutto a vedere le cose da una nuova prospettiva – me, gli altri, l’Italia, e soprattutto l’Europa – radicalmente diversa da quella che uno può avere stando sempre nello stesso posto, piccolo o grande che sia. Posso dire che è stato in Erasmus che ho scoperto che cos’è l’Europa oggi. Ragazzi come me che mai prima d’ora sono stati così simili e vicini. È stato in Erasmus che ho finalmente capito cosa diamine Fromm avesse in mente quando diceva di ‘sperimentare la pienezza e NON colmare un vuoto’, è lì che era come essere in una sorta di comune sull’isola di Saint-Pierre, anche se a tempo determinato, con il biglietto di ritorno già in tasca e – come è inevitabile che sia – con la data ben stampata sopra.
Dopo la laurea ho fatto un master in Economia di un anno in Canada, alla University of British Columbia di Vancouver. Saint-Pierre non l’ho trovata, ma ho trovato un’altra isola altrettanto unica (e di cui ho scritto in questo blog). In breve, è stato un anno molto intenso, spesso duro, dove ho scoperto la disciplina del lavoro, e che mi ha cambiato ancora. Ne è senz’altro valsa la pena: mi ha aperto possibilità lavorative in ambito internazionale, cosa che ormai - dall’Erasmus in poi – era diventata una sorta di pensiero fisso. Le spese sono state tante: oltre ai 7mila dollari canadesi di retta annuale, circa 1200 dollari al mese per stare lì. Grazie ad un premio di 3mila euro della Fondazione Masi per la mia tesi (consegnato dalle mani di Ciampi a quelle di mia madre, che mi rappresentava a Roma), a una borsa di studio di 10mila euro della Fondazione Luigi Einaudi, e a una borsa/deduzione sulle tasse dell’università canadese di 3mila dollari, sono riuscito a coprire la quasi totalità dei costi di questa esperienza. La consapevolezza di poter contare sula fiducia e l’appoggio di tutta la mia famiglia, poi, ha aiutato non poco.
Dopo il master ho lavorato come ricercatore per un anno all’università di Modena occupandomi di commercio internazionale. Avevo un contratto a progetto di tre anni – 900 euro al mese di stipendio – ma alla fine del primo anno l’ho abbandonato per fare lo stage alla Commissione europea, che, pur trattandosi di un tirocinio, era retribuito cento euro in più al mese.
Di questa opportunità mi aveva parlato per la prima volta un amico: «L’atmosfera a Bruxelles è molto Erasmus» mi aveva detto. E così io avevo fatto domanda, due volte a dir la verità: la prima non era stata accolta per un problema formale – mancava un documento valido su un'esperienza lavorativa – mentre la seconda, per fortuna, sono arrivato fino in fondo. Ho lavorato per sei mesi nella Direzione generale Impresa e industria, presso l’unità che si occupava della strategia di Lisbona: per cinque mesi mi sono occupato di valutazione di politiche economiche dei 27 Stati membri dando i voti alle varie azioni di governo, proprio come si fa a scuola, e facendo classifiche e ranking che possono lasciare un pò il tempo che trovano senza una visione d’insieme che – devo dire – a volte ho fatto fatica a vedere.
Ma in Commissione mi sono subito trovato a mio agio. La gente e l’ambiente sono straordinari e lo stage è organizzatissimo: i primi quattro giorni sono dedicati alla presentazione delle attività, con seminari e orari ridotti. Il primo mese c’è un calendario sociale con attività quasi tutti i giorni: visite guidate, riunioni per la gestione dello stage, cineforum, percorsi tipici brussellesi, feste… Conosco bene tutte queste attività perchè oltre ad aver partecipato ad un buon numero, sono rimasto un mese in più alla fine dello stage come membro della Liaison Committee e le ho organizzate per i nuovi 600 stagiaires. Un lavoro immane ma che mi ha anche dato molte soddisfazioni. Il calendario sociale è importantissimo: gli edifici delle istituzioni europee sono così tanti che sarebbe impossibile conoscere gli altri stagiaires altrimenti. Le persone che si incontrano e i rapporti umani che nascono rappresentano – a mio parere – quel valore aggiunto che pochissimi altri stage possono offrire.
Dal punto di vista pratico, a Bruxelles dividevo un appartamento con un amico che era già lì. Gli affitti sono piuttosto alti per chi cerca casa per soli cinque mesi (400/600 euro al mese), ma con mille euro al mese ci si sta dentro se si sta un minimo attenti.
Dopo lo stage, ho lavorato per un anno a Varsavia presso il Case - Centre for social and economic research, un think tank molto attivo in tema di politiche economiche. La Polonia è un Paese incredibilmente dinamico ma meno benestante dell’Italia, e il suo mercato del lavoro non è allettante in termini di remunerazione. Per di più, a causa della crisi, verso la fine del 2008 lo zloty – la valuta polacca, con cui venivo pagato - si è deprezzato di più di un terzo nel giro di due mesi… Anche per questo motivo nel 2009 mi sono spostato in Inghilterra, a Birmingham, dove tutt’ora lavoro presso Ecotec, società di consulenza di gestione indipendente specializzata nella valutazione delle politiche pubbliche. Ho valutato alcuni programmi dell’Unione europea – come il Programma Cultura 2007-2013 o l’Anno europeo per la creatività e l’innovazione – e sono tuttora impegnato in diversi progetti di respiro europeo, tra cui uno che riguarda proprio lo sviluppo di politiche giovanili basate sull’evidenza empirica e sull’uso di indicatori quantitativi.
In questo momento ho un contratto a tempo indeterminato: è la prima volta per me. Mi posso mantenere da solo e, finalmente, mettere da parte qualcosa. Guadagno più o meno nella media UK, che – col cambio attuale – equivale a circa un terzo in più di quanto mi avevano offerto per un primo impiego in una banca d’impresa a Bologna, poco prima che partissi per la Polonia. Mi sento fortunato e al tempo stesso preoccupato per la situazione dei miei coetanei: il lavoro precario cronico semplicemente non permette di fare progetti di vita di medio termine, progetti che richiedono un minimo di sicurezza e serenità. Purtroppo la lettura della teoria economica che si è venuta affermando dagli anni Ottanta non aiuta a capire questo tipo di discorsi. Anche se è la stessa teoria economica a dirci che sono proprio i lavoratori più vulnerabili e meno qualificati quelli che più andrebbero tutelati: sono loro infatti a rimetterci in prima persona quando si cerca di migliorare l’efficienza del sistema attraverso la deregolamentazione del mercato. Da un’altra prospettiva ancora, poi, c’è da dire che i giovani sono una categoria che non si è saputa fare sentire, o che non è stata ascoltata, a livello politico. E non si è neanche iscritta al sindacato – che così ha continuato a fare battaglie per i suoi iscritti e non per i non-iscritti.
Guardandomi indietro, io mi accorgo di averci messo tre anni dalla fine degli studi a trovare la mia strada, tre anni spesi per lo più all’estero. E penso di essere stato fortunato ma anche tenace. Ma che fine fa chi ha meno tenacia, o meno fortuna? L’idea del sogno americano, che se uno ha fiducia in sè stesso alla fine ce la fa, è il futuro – ma qui in Italia ora conta chi conosci, i favori che ti può fare e quelli che gli puoi fare tu.
Ma il sogno americano, quello vero, ultimamente non se la passa troppo bene. Nessuno certo si può aspettare che qualcun altro gli risolva i problemi, ma l’accesso alle opportunità dovrebbe essere garantito a tutti e non basato su cognome, rendita, aggiramento delle regole o cooptazione. In questo si misura quanto una società sia liberale (nel senso vero del termine), progressista e – per come la vedo io – giusta. In Italia le opportunità sono troppo poche rispetto al potenziale del Paese, e non tutti vengono messi in condizione di giocarsi quelle poche che ci sono. L’anomalia della ‘repubblica fondata sullo stage’, è solo la punta dell’iceberg: è quello che c’è sotto che andrebbe rinnovato. Nell’attesa, iniziare da una migliore regolamentazione dello stage e di altri rapporti di lavoro, guardando per esempio ai paesi scandinavi, può solo fare del bene a tutti: nel lungo periodo anche alle imprese e alla competitività stessa del mio Paese.
Un’ultima cosa. Grazie a questa intervista ho scoperto l’esistenza della Repubblica degli Stagisti, e trovo che l’idea del Bollino OK Stage sia geniale. I giovani devono fare la loro parte, e io credo molto nelle iniziative nate dal basso. C’è bisogno di punti di riferimento, di creare massa critica per far sentire la propria voce. Continuate così!
testo raccolto da Eleonora Voltolina
Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:
- Seicento stage da 1070 euro al mese alla Commissione europea: bando aperto fino al 1° settembre
E leggi anche le testimonianze degli altri ex stagisti della Commissione europea:
- Seicento stage da 1070 euro al mese alla Commissione europea: bando aperto fino al 1° settembre
- Mirko Armiento, ex stagista alla Commissione europea: «A Bruxelles i cinque mesi più intensi e belli della mia vita»
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