Contributo minimo garantito, chiarezza su orari, mansioni e modalità di accesso, durata massima di sei mesi: queste sono alcune delle norme che regolano la vita degli stagisti d'oltralpe e ne tutelano i diritti. Ma non è stato sempre così.
Con la Carta degli stage di formazione nelle imprese del 26 aprile 2006, dopo mesi di lotte, rivendicazioni e azioni di lobbing da parte del movimento Génération Précaire, si è aperto un percorso legislativo di riconoscimento e di tutela che, da allora fino all'ultima legge per la stabilità del percorso professionale del 28 luglio del 2011, ha cercato di contrastare il più possibile gli usi indebiti dello stage. L'obiettivo, almeno sulla carta, era di trasformare quello che fino ad allora era troppo spesso una forma di sfruttamento del lavoro giovanile, in uno strumento utile sia alle imprese che agli studenti. Obiettivo raggiunto? In parte certamente sì.
Con la Carta del 2006 è stato fissato per legge che qualsiasi esperienza di stage in Francia debba obbligatoriamente essere regolamentata da una "convenzione di stage", un documento nel quale i firmatari - il candidato, l'azienda ospitante e l'istituto scolastico superiore di provenienza del candidato - sono tenuti a mettere nero su bianco ogni aspetto del rapporto. Tra le altre cose è obbligatorio definire le mansioni del candidato all'interno dell'azienda, determinare esattamente la durata della sua permanenza (per legge non superiore ai 6 mesi), stabilire l'orario settimanale (massimo 35 ore), prevedere le condizioni per le quali lo stagista può assentarsi, nonché fissare l'ammontare della sua gratificazione, obbligatoria per gli stage di durata superiore ai due mesi.
Per il 2012 la gratificazione minima è fissata a circa 436 euro al mese. Come si calcola questa cifra? Il punto di riferimento è il Plafond della Sécurité Sociale, un valore che ogni anno viene adeguato al mercato del lavoro e all'inflazione e che per l'anno 2012 è stato fissato a 23 euro all'ora. La legge francese impone che le attività di stage che superano i due mesi abbiamo una remunerazione oraria minima che superi o che sia almeno equivalente al 12,5 % di questa cifra, vale a dire, per il 2012, a 2,875 euro all'ora. Calcolando che in Francia un mese di lavoro comporta mediamente 151,67 ore, si ottiene dunque, per uno stage full-time, un contributo di 436,05 euro. Può sembrare un po' poco, ma non lo è: bisogna infatti tenere a mente che lo stage in Francia ha una durata massima di sei mesi e, soprattutto, che non è considerato come un lavoro, ma come un'esperienza temporanea che fa parte del percorso formativo di uno studente.
Questa separazione netta tra esperienza di stage e lavoro rappresenta uno degli aspetti fondamentali della regolamentazione francese. Per tutelare questa distinzione, già a partire dalla Carta del 2006, sono stati fissati alcuni paletti: è stato vietato l'uso di uno stagista per sostituire temporaneamente un lavoratore salariato, per occupare una posizione lavorativa stagionale, per occupare un posto di lavoro che richiederebbe l'apertura di una posizione fissa o, ancora, per accrescere temporaneamente le attività dell'azienda.
Ma è soprattutto l'obbligo di avere alle spalle una struttura scolastica di riferimento, che firmi e approvi la convenzione, che rende questa distinzione realmente tutelata. Vietando infatti la possibilità di stipulare convenzioni di stage ai giovani che hanno terminato il proprio percorso formativo, lo statuto francese cerca di impedire l'innesco di una vera e propria asta al ribasso del mercato del lavoro, un'asta che trasformerebbe i giovani laureati in manodopera superspecializzata priva di diritti e di tutele, alla completa mercé del mercato.
Ma non basta, perché l'ultima legge, la 2011-893 del 28 luglio 2011, impone paletti ancora più solidi per rinforzare il controllo su ogni abuso. In particolare è stata inserita una interessante novità: è il delai de carence, una regola che impone alle aziende un intervallo di due mesi (o meglio, di un terzo della durata complessiva dello stage) prima di poter integrare nel proprio organico un nuovo stagista nella stessa posizione e con le stesse mansioni di quello precedente.
Per moltissimi stagisti italiani, costretti ad accettare rapporti di stage spesso fino a oltre trent'anni a fronte di rimborsi spese irrisori o spesso inesistenti e con prospettive di assunzione molto remote, questa regolamentazione può sembrare all'avanguardia. Purtroppo nel nostro paese è abbastanza usuale che dietro a uno stage non ci sia un reale interesse da parte del soggetto ospitante nell'investimento sulla formazione dello stagista e sulla sua futura assunzione. Anzi capita che l'obiettivo, spesso neppure celato, sia quello tappare falle di organico.
In Francia, grazie anche alla mobilitazione di movimenti come Génération Précaire, sembra esserci la volontà di prevenire questo rischio e di fare dello stage un momento di passaggio reale dal mondo dell'istruzione a quello del lavoro. Volontà condivisa dagli studenti e probabilmente anche dalla gran parte delle aziende, che effettivamente stanno iniziando a vedere lo stage come una reale opportunità per formare e selezionare i propri futuri dipendenti. Certo, il sistema di regolamentazione degli stage in Francia non è il migliore possibile, ma sembra essere un modello realistico e realizzabile a cui i nostri legislatori potrebbero ispirarsi.
Un esempio positivo in questo senso c'è, ed è quello della regione Toscana, che con il progetto Giovani Sì, lanciato lo scorso giugno, ha dimostrato di aver introiettato alcune delle linee guida del modello francese, in primis la necessità di stabilire una gratificazione minima per stage e tirocini alla soglia dei 400 euro. Un piccolo segnale del fatto che qualcosa si sta muovendo anche qui in Italia? La speranza è che il progetto toscano possa rappresentare la testa di ponte per una riforma efficace del settore; anche se l'impressione è che ci voglia ancora del tempo prima di assistere a concreti passi avanti a livello nazionale.
Attenzione però, il sistema francese non è il migliore dei sistemi possibili e qualche macchia ce l'ha: gli stage obbligatori durante gli studi si moltiplicano, mentre la percentuale di neolaureati occupati secondo i dati Apec del settembre 2010 è scesa in 2 anni (dal 2007 al 2009) dell'11%. Senza contare che una volta terminati gli stage moltissimi giovani restano legati per anni a contratti CDD, vale a dire a tempo determinato. Il modello francese non è dunque un paradiso, tant'è che molte battaglie sono ancora in corso. Una cosa però è certa per chi segue la situazione al di qua delle Alpi: anche soltanto il tentativo di avvicinarsi a quel modello sarebbe per l'Italia un grande passo in avanti.
Andrea Coccia
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