Marianna Lepore
Scritto il 07 Mag 2020 in Notizie
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Maria esce dall’ospedale San Raffaele di Milano dopo un turno di 9 ore. È una specializzanda in farmacia ospedaliera e ogni giorno entra in ospedale e svolge il suo lavoro: prestando assistenza farmaceutica, dispensando dispositivi di protezione individuale o farmaci in modalità specifiche a seconda delle esigenze dei malati. Solo per elencare alcuni dei suoi compiti. Eppure Maria non viene pagata per questo lavoro. Nemmeno in un momento in cui passare tante ore al giorno in un ospedale è così pericoloso ed essenziale per garantire la salute pubblica ed evitare o limitare che i virus in circolazione si diffondano in tutto il territorio.
Maria è un nome di fantasia. Rappresenta uno dei 500 specializzandi in Farmacia ospedaliera. Potrebbe entrare e uscire dal Niguarda o dal San Camillo. Essere a Venezia, Bologna, Roma. Se fosse specializzanda in medicina riceverebbe uno stipendio di 1.800 euro al mese. Invece è una specializzanda di “serie B”.
Non sono tanti e forse per questo fanno meno notizia. Eppure gli specializzandi in Farmacia ospedaliera in questi mesi di emergenza Coronavirus hanno svolto compiti ugualmente importanti all’interno degli ospedali, specie delle regioni più colpite, garantendo un servizio pubblico di qualità ed esponendosi al rischio di contagio. Tutto senza alcuna tutela.
Farmacisti ospedalieri che svolgono presso il Servizio sanitario nazionale la propria specializzazione al pari dei colleghi medici, quattro anni e 1.500 ore annuali di tirocinio a cui si affiancano ovviamente i corsi universitari e gli esami. E pur avendo diritto come i medici ai contratti di formazione specialistica, alla fine fanno tutto senza alcun rimborso perché le risorse, previste, in realtà non ci sono.
Non è la prima volta che la Repubblica degli Stagisti racconta il duro percorso di formazione di queste figure, il problema è che in questa fase in cui nell’emergenza tutti gli appartenenti alla cosidetta area sanitaria si sono rivelati fondamentali per il funzionamento delle terapie, fa certamente più scalpore pensare che c’è chi l’ha fatto gratis. L’allarme l’aveva lanciato Antonio Pirrone, 30 anni, Presidente ReNaSFO, la rete nazionale degli specializzandi in farmacia ospedaliera, e specializzando presso l’Università di Milano, a inizio marzo quando la carenza di professionisti sanitari era ormai palese e il Consiglio dei Ministri aveva appena approvato un maxi Decreto giustizia e sanità per assumere 20mila professionisti tra medici, infermieri e operatori sanitari. Prevedendo anche di aumentare il numero dei contratti di formazione specialistica dei medici stanziando un’ulteriore spesa di 125 milioni di euro per il biennio 2020-21 e di 130milioni di euro per il triennio 2022-2024.
Anche questa volta, però, il Governo si è dimenticato di qualcuno. «Gli specializzandi impegnati nella gestione dell’emergenza COVID-19 non sono soltanto iscritti alle scuole di specializzazione mediche. Sono anche farmacisti, biologi, biotecnologi, veterinari, psicologi, chimici, fisici», raccontava Antonio Pirrone a inizio marzo, e «lavorano per tutti gli anni della formazione a tempo pieno, gratuitamente, senza tutele, senza diritti». Per questo motivo hanno alzato la voce, partendo con una petizione online indirizzata al ministro della Salute, Roberto Speranza. «Forse la richiesta è arrivata in un momento poco felice, nel pieno dell’emergenza virus», riflette Pirrone, e serve per chiedere che tutti gli specializzandi di area sanitaria possano beneficiare delle stesse tutele economico-contrattuali, della stessa dignità e degli stessi diritti di cui godono i colleghi medici. Una volta raggiunte le 1.500 firme, ne mancano scarse 200, «proveremo a risentire il ministro per vedere se questa volta qualcosa cambia».
Per ora c’è stato un cambiamento di strategia da parte dei farmacisti ospedalieri, visto che «dopo anni in cui ci muoviamo singolarmente, nell’emergenza è arrivato il momento di unirsi, perché non vogliamo tornare alla situazione di prima». Per questo motivo parallelamente alla propria battaglia, gli specializzandi farmacisti ospedalieri ne stanno portando avanti un’altra con le associazioni di biologi e fisici. Insieme hanno inviato una lettera al Presidente del Consiglio per ricordare l’importanza di investire nella formazione delle specializzazioni non mediche e scongiurare il rischio «che spariscano professioni importanti come quella dei veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi». Per farlo basta applicare una legge, la 401 del 29 dicembre 2000, e ripristinare l’articolo 8, ovvero di investire anche sulla formazione di queste figure.
Il dibattito su questo tema si è sviluppato molto negli anni, ma Pirrone ancora non riesce a dare una spiegazione valida sul perché esista una disparità di trattamento tra specializzandi medici e di area sanitaria. «Sono due anni che rappresento gli specializzandi e ancora me lo chiedo. Abbiamo provato a ragionare insieme al Consiglio direttivo ma non ne veniamo a capo. Certo, i medici sono in prima linea e sono numericamente molti di più, ma non riesco a capire questa disparità. All’interno degli ospedali noi siamo fianco a fianco a infermieri, medici, biologi, biotecnologi».
Una boccata d’aria sembrava essere arrivata con il decreto 68/2015 «che finalmente garantiva un contratto di formazione specialistica e quindi una dignità retributiva uguale a quella dei colleghi medici, con cui condividiamo lo stesso percorso formativo in termini di impegno orario e didattico», racconta Pirrone, «ci sembrava una vittoria essere stati ricompresi nell’area sanitaria, che in quel decreto viene denominata area clinica». Ma la gioia dura poco perché «nelle more di una ricerca di risorse veniva abolito il diritto di biologi, fisici, farmacisti a ottenere un’equiparazione economica. Quindi i doveri sì, ma i diritti no, nell’attesa di non si sa che cosa».
Eppure le cifre non sarebbero altissime: in totale al momento gli specializzandi in farmacia ospedaliera sono 450-500 in tutta Italia e «per finanziare i nostri contratti di formazione basterebbero 10-15 milioni annui, ovvero il 3% dei contributi per i colleghi medici» spiegava già due anni fa Pirrone alla RdS.
L’appoggio alle loro rivendicazioni è arrivato anche dal Sindacato nazionale Farmacisti ospedalieri, SINAFO, che con una nota del 12 marzo del segretario generale, Roberta di Turi, invitava a «autorizzare il reclutamento di personale farmacista dirigente, con inclusione anche dei farmacisti specializzati e specializzandi, attraverso assunzioni a tempo determinato, ovvero con istituti contrattuali flessibili quali collaborazione coordinata e continuativa o, in via residuale, attraverso contratti libero professionali, così come espressamente previsto per i medici».
Ed è in questa nota che si chiarisce bene, per chi non lo sapesse, cosa fanno i farmacisti ospedalieri che hanno garantito in particolare nel periodo dell’emergenza «l’assistenza farmaceutica correlata al costante incremento delle attività delle terapie intensive e subintesive, assicurando la dispensazione di tutti i dispositivi medici necessari, dei farmaci utilizzati nei protocolli off label nel trattamento dei pazienti e la dispensazione dei farmaci per le terapie di supporto». Non solo, garantiscono «la dispensazione di tutti i dispositivi di protezione individuale e mascherine chirurgiche che sono strumenti nevralgici per ridurre il contagio». In più garantiscono la preparazione di farmaci antiretrovirali per pazienti non in grado di deglutire. «Si pensi a tutti i pazienti intubati» spiega meglio Pirrone, «per loro è necessario creare il farmaco, quindi prendere una compressa e permettere di somministrarla sotto altra forma», solo per fare un esempio.
Gli appelli a riconoscere il diritto a un rimborso economico non arrivano solo da ReNaSFO o da SINAFO, ma anche dalla Conferenza dei direttori delle scuole di specializzazione, che una volta visto il dpcm del 4 marzo, ha scritto al Presidente del Consiglio, chiedendo «un’urgente interpretazione autentica». Perché in quel decreto legge si impone l’applicabilità delle disposizioni ai farmacisti ma, se consente di conferire incarichi di lavoro ai medici specializzandi, omette «a parere degli scriventi, i farmacisti specializzandi in Farmacia Ospedaliera (….). Tale dubbio interpretativo sembra creare un certo disorientamento delle Università, delle Regioni e Province autonome e della stessa professione, nel dare corso a tale disposizione». La nota, datata 30 marzo, e firmata dal professor Nicola Realdon, Presidente della Conferenza, chiede informazioni su come interpretare la legge e «nonostante possa apparire sgradevole nel contingente stato di emergenza» ricorda «che gli specializzandi in Farmacia ospedaliera operano in tale contesto formativo-assistenziale a tempo pieno come i colleghi specializzandi medici ma a titolo gratuito». Per questo l’opportunità di conferimento di incarichi di lavoro autonomo costituirebbe una «minimale quanto meritata gratifica».
La protesta dunque va avanti, ma è bene ricordare che in tutto questo nessuno degli specializzandi si è tirato indietro. «Almeno qui in Lombardia l’impegno è aumentato» spiega Pirrone, «se prima lavoravi 6-7 ore al giorno, adesso arrivi sicuramente a 10. Personalmente sono arrivato ad almeno 11 ore, e poi ci sono le lezioni telematiche da seguire».
Una volta finita la specializzazione, poi, il futuro non è necessariamente roseo. Nel novembre 2019 l’Area giovani SIFO con il contributo di SINAFO ha presentato i risultati di una survey dal titolo “Situazione lavorativa e contrattuale dei farmacisti specializzati con meno di 45 anni”, in cui i dati testimoniano come la condizione di precarietà protratta nel tempo influisca negativamente sulla percezione della propria condizione lavorativa.
«Abbiamo ricevuto diverse critiche per la nostra richiesta, perché qualcuno ha pensato non fosse opportuna in una situazione di emergenza», osserva Pirrone, «ma nessuno pensa al rischio che corriamo, anche un domani quando l’emergenza sarà finita. Non chiediamo solo soldi, perché forse è questo l’unico messaggio che passa. Chiediamo di fermarsi, sedersi a un tavolo e ascoltare le nostre rischieste. Di raccontare ai nostri interlocutori cosa facciamo dentro un ospedale, perché il vero nodo è che molti non lo sanno». La richiesta immediata, oggi, è l’accesso a incarichi straordinari per la gestione della pandemia e in futuro la tutela contrattuale del percorso di specializzazione, «con l’equiparazione di diritti e doveri con gli specializzandi medici per tutta l’area sanitaria».
Ora non è il momento per altre forme di protesta, «abbiamo sempre preferito canali diplomatici e cercato il dialogo», conclude Antonio Pirrone, «ma in un dialogo devono esserci due interlocutori. Mentre ad oggi abbiamo parlato solo noi e non abbiamo sentito nessuna voce dal Governo. Passata l’emergenza, però, valuteremo in quale altro modo agire».
Marianna Lepore
L'immagine di apertura è di Marco Verch, tratta da Flickr in modalità CreativeCommons
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