Abolizione del numero chiuso a Medicina, parte la discussione alla Camera

Rossella Nocca

Rossella Nocca

Scritto il 13 Nov 2018 in Approfondimenti

Medicina università a numero chiuso

Il primo step c'è stato: è partito ieri presso le commissioni congiunte Istruzione e Affari sociali della Camera l’esame delle proposte di legge sull’abolizione del numero chiuso a Medicina. Dunque quello che è rimasto a lungo solo uno slogan potrebbe cominciare a concretizzarsi. E i primi cambiamenti potrebbero entrare a regime già per l’anno accademico 2019/2020.  

Attualmente il 40% dei corsi universitari in Italia – circa 2mila su 4.800 totali – è ad accesso programmato. Resta ora da capire quanto e come cambierà il sistema di accesso all'università e se il nuovo modello sarà applicabile ad altri campi con un giusto equilibrio tra diritto allo studio e diritto al lavoro. 

Diverse le proposte depositate. Tra queste, due – quelle presentate da Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera e del Consiglio regionale del Veneto –  si limitano ad abrogare la legge 264/1999. Le altre due – del capogruppo alla Camera del Movimento 5 stelle Francesco D’Uva e del deputato leghista Paolo Tiramani – sono più articolate e si ispirano al modello “alla francese”.

La proposta di D’Uva stabilisce che l’ammissione al secondo anno sia «disposta dagli atenei previo superamento di un'apposita prova di verifica, unica per tutti i corsi e di contenuto identico nel territorio nazionale, sulla base dei programmi degli studi effettuati durante il primo anno accademico, per accertare la predisposizione alle discipline oggetto dei corsi medesimi». L'ammissione a tale prova sarebbe condizionata al superamento di tutti gli esami previsti nel primo anno. 

Tiramani propone invece che «entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sono stabiliti meccanismi selettivi per gli studenti iscritti a corsi universitari, consistenti nell'individuazione di quote minime di esami di profitto da superare durante il primo anno di corso, prevedendo la decadenza dall'iscrizione dello studente inadempiente, fatte salve apposite deroghe».

Pier Luigi Gallo, presidente M5s della Commissione Cultura di Montecitorio, ha promesso delle audizioni con le parti interessate, associazioni accademiche e studentesche, ma per il momento non sono ancora arrivate convocazioni. «Siamo pronti a discutere in modo costruttivo» commenta Giuseppe Novelli, rettore dell’università Tor Vergata di Roma e coordinatore della Commissione Medicina della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) «con un approccio capace di tener conto delle sinergie con gli altri corsi di laurea che includono ai primi anni materie affini». Ma l’accesso programmato secondo il rettore va preservato: «Questo impianto ha dato sinora ottimi risultati. Ovviamente deve avere come finalità prima, anzi esclusiva, il miglioramento della qualità della didattica e la riduzione degli abbandoni». 

«Attualmente nessuno ci ha contattato. Se accadrà» precisa Enrico Gulluni, coordinatore nazionale dell’Unione degli universitari «porteremo la nostra posizione, favorevole a una graduale apertura dell’università, ma con riserva». Diversi i punti critici evidenziati: «Il primo è che si parla solo di Medicina quando la legge 264/1999 regola ad esempio anche le professioni sanitarie come Infermieristica, di cui pure c’è carenza nelle strutture sanitarie, e il corso di laurea in Architettura, dove ci sono meno candidati che posti disponibili, quindi il numero chiuso potrebbe essere abolito subito», spiega alla Repubblica degli Stagisti Gulluni: «Inoltre per introdurre l’accesso libero bisogna prima fare investimenti per l’ampliamento delle strutture, per un piano straordinario di reclutamento dei docenti e per una migliore efficienza dell’orientamento alle scuole superiori, dove non c’è la contezza di quello che si va a studiare e degli sbocchi occupazionali».

A proposito di orientamento, alcune esperienze sperimentali sono già state avviate. Come il corso di Biomedicina attivato in una trentina di istituti scolastici, dal terzo anno delle superiori, e consistente in cinquanta ore l’anno fra teoria e “pratica”, per aiutare gli studenti a capire la propria predisposizione o meno agli studi in Medicina. Il coordinatore Udu è critico invece rispetto alla proposta di prendere in prestito il modello “alla francese”. «Escludere uno studente da Medicina se non supera per due volte un test significherebbe infrangere il diritto allo studio e quindi anche la Costituzione».

Ma se il numero chiuso viene messo in discussione per Medicina, c’è chi lo ritiene adeguato per corsi di laurea "tradizionalmente" ad accesso libero. Qualche mese fa il ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva dichiarato: «A Medicina c’è bisogno di ossigeno. Abbiamo bisogno di medici e di ingegneri. Ma metterei il numero chiuso nelle facoltà umanistiche, da dove ne sono usciti tanti di laureati».

Prima di Salvini ci aveva già pensato qualcun altro. La Statale di Milano nel 2017 aveva introdotto l’accesso programmato nei corsi laurea in Filosofia, Lettere, Lingue e letterature straniere, Scienze dei beni culturali, Scienze umane dell'ambiente, del territorio e del paesaggio e Storia, ma ha dovuto riaprirlo a seguito di un ricorso accolto dal Tar del Lazio. «I tentativi della Statale non sono altro che modi per nascondere il sottofinanziamento da parte dello Stato» sostiene Giuseppe Ingoglia, coordinatore dell’Udu Milano «e di eliminare i problemi di spazio, di carenza di docenti etc. Noi ci siamo attivati per garantire il diritto allo studio e abbiamo vinto la prima battaglia». La legge prevede infatti che l’accesso programmato sia vincolato ad alcune requisiti, ad esempio la necessità di laboratori altamente qualificati, che nel caso della Statale non sussisteva, e l’obbligo di tirocini. «Quest’anno il tentativo si è ripetuto con il corso di laurea in Mediazione linguistica e culturale e con quello di Lingue e letterature straniere» aggiunge Ingoglia: «Nel primo caso abbiamo presentato un nuovo ricorso, nel secondo abbiamo rinunciato in quanto alla fine le domande si sono dimostrate inferiori rispetto ai posti disponibili». 

Secondo il rettore Novelli «nel nostro Paese c’è un gran bisogno anche di figure di tipo umanistico: pensiamo ai beni culturali, alla gestione e conservazione degli stessi, all'utilizzo delle nuove tecnologie digitali, della comunicazione e dei nuovi media. Solo pochi esempi che ci confermano la necessità di impegnarci ulteriormente per indirizzare meglio anche chi sceglie questi percorsi, per allineare i fabbisogni del mercato all’offerta formativa»

Rossella Nocca

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