Cause di lavoro, col rito speciale durata ridotta da 6 anni a uno e mezzo. Basterà?

Andrea Curiat

Andrea Curiat

Scritto il 09 Mag 2012 in Approfondimenti

Il disegno di legge Fornero prevede un nuovo rito speciale per le cause riguardanti i licenziamenti. L’obiettivo è fornire un canale “rapido” per risolvere le controversie sul tema. stage lavoroNella versione attuale della norma la procedura sarebbe costituita da quattro gradi di giudizio scanditi da scadenze accelerate per le prime udienze, e caratterizzati da un'elevata discrezionalità del giudice nell'eliminare tutti gli elementi non essenziali alla formulazione del giudizio. Secondo le prime stime, la nuova procedura potrebbe tagliare i tempi sulle cause per licenziamento dalla media attuale di 6 anni (Cassazione inclusa) a un anno e mezzo. Ma c'è già chi si dice scettico sulle reali possibilità di funzionamento del rito speciale. E non solo perché, al termine, una sentenza favorevole ai lavoratori potrebbe portare al pagamento da parte del datore di lavoro di un'indennità compresa tra 12 e 24 mensilità nonché al reintegro nel posto di lavoro nella maggior parte dei casi.
Ecco in dettaglio come funzionerebbe il procedimento. Nel caso dei licenziamenti per cause economiche (ovvero, per giustificato motivo oggettivo e quindi motivati da ragioni inerenti l'attività produttiva, l'organizzazione del lavoro e il suo regolare funzionamento) il primo passo è la conciliazione obbligatoria, in cui le parti, con il supporto degli avvocati, cercano di raggiungere un accordo preliminare alleggerendo il lavoro dei giudici e riducendo il numero delle cause. Il secondo step, o il primo per i licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, è la fase del ricorso vero e proprio al Tribunale del Lavoro, attraverso il quale il lavoratore può opporsi alla decisione dell’azienda. In questo caso il giudice sarebbe tenuto a fissare l’udienza preliminare entro 30 giorni dal deposito del ricorso.
stage lavoroSevero il giudizio di Franco Toffoletto [foto a fianco], avvocato attivo esclusivamente nel campo del diritto del lavoro e socio dello studio legale Toffoletto De Luca Tamajo e soci: «Questo è il passaggio più importante del rito speciale che invece, nei gradi successivi, torna ad essere simile al rito normale con alcune semplificazioni. Il problema è che non è nemmeno previsto un termine per la costituzione del datore di lavoro, ma viene stabilito solo il termine massimo di 30 giorni per la fissazione dell’udienza. In questo modo il giudice può fissarla anche, ad esempio, dopo 48 ore dal deposito del ricorso rendendo praticamente impossibile la difesa del datore». Che secondo l'attuale normativa, invece, ha come minimo 20 giorni per redigere la propria difesa perchè l'udienza non può essere fissata prima di trenta giorni dalla notifica del ricorso.
Secondo Toffoletto la conseguenza diretta è una disparità inammissibile di trattamento tra le parti (lavoratore e datore di lavoro) che mina i principi del contraddittorio: «È chiaro che non si dà materialmente il tempo di preparare la difesa; è difficile capire come può svolgersi una seria istruttoria in tempi così rapidi. Non si considera minimamente che le cause di licenziamento possono essere anche molto complesse. Nessun tribunale, in Italia, è in grado di gestire un rito del genere».
La volontà di snellire le procedure è evidente dal modo in cui è formulato il passaggio nel ddl: il giudice, di fatto, ha un alto grado di discrezionalità nel decidere quali siano le formalità essenziali al contraddittorio (numero di testimonianze, di prove, ecc.) e può omettere tutte le altre. «Ma le formalità, in un processo, sono sostanza. Come si fa a determinare quelle non essenziali? Più che un processo civile sembra un processo incivile» decreta Toffoletto.
Anche Maurizio Santori, giuslavorista e docente presso l’università Luiss di Roma, individua degli elementi anomali nell’articolo 17 del ddl: «Non è prevista per il datore di lavoro la possibilità di difendersi con un atto scritto, contrariamente a quanto accade per il lavoratore. Manca la tutela del diritto di difesa del soggetto datoriale. Per il resto c’è poco di nuovo: questo rito urgente è modellato sul procedimento di urgenza per i casi di condotta antisindacale del datore di lavoro. Già l’articolo 700 del codice di procedura civile comprime gli spazi di difesa del datore di lavoro in favore della rapidità del procedimento. Ma compressione non può significare azzeramento».
La fase successiva è quella di opposizione all’accoglimento o al rigetto del ricorso, sempre presso il medesimo Tribunale del lavoro, da depositare entro 30 giorni dalla comunicazione della decisione. Il termine perché il giudice fissi l’udienza di discussione, questa volta, è di 60 giorni. Come rileva Santori, «qui si cita espressamente la difesa scritta,
il che fa pensare che nel passaggio precedente del ddl sia stata esclusa non per svista, come sarebbe auspicabile, ma volontariamente».
Dopodichè si passa al reclamo davanti alla Corte d’Appello («termine bizzarro, perché di solito il reclamo si fa allo stesso giudice», nota ancora Santori), ancora da depositare entro trenta giorni dalla comunicazione della decisione, con udienza di discussione entro 30 giorni, e infine si passa alla Corte di Cassazione, entro 60 giorni dalla decisione d'appello con udienza fissata entro sei mesi. In totale, quindi, il rito prevede quattro gradi di giudizio. Il ddl ad ogni modo non fissa i termini entro i quali possono essere fissate le udienze successive alla prima, il che non esclude che i tempi di ogni fase si dilatino ugualmente di diversi mesi, «se non di anni», come teme Toffoletto.
Se il giudice appura che non sussistono gli estremi per il licenziamento per giusta causa, perché il fatto non esiste o il lavoratore non lo ha commesso, condanna il datore di lavoro alla reintegrazione e a pagare al lavoratore un’indennità non superiore a 12 mensilità di stipendio. Quando il giudice decide che non sussista una motivazione valida per il licenziamento, ma per altre ipotesi, dichiara terminato il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro a pagare un'indennità compresa tra le 12 e le 24 mensilità. Per i licenziamenti di natura economica, è il giudice a decidere se disporre la reintegrazione o meno nel caso in cui le cause economiche siano manifestatamente inesistenti, altrimenti condanna a un'indennità risarcitoria. «Cosa vuol dire “manifesta” insussistenza? O le cause esistono o non esistono. Comunque è evidente che qui i sindacati hanno fatto bene il loro lavoro, e che i lavoratori sono ben tutelati», commenta Santori.
Quale sarà, in concreto, l’effetto del rito abbreviato per i lavoratori? Toffoletto si dice scettico sui risultati finali del ddl nella sua forma attuale: «Francamente non so come funzionerà questo rito speciale. Probabilmente, come già accade, ogni giudice si comporterà in maniera diversa e aumenteranno l’incertezza, i costi e l’inefficienza dei processi». Santori, perplessità a parte, dà invece un giudizio complessivamente positivo: «Sicuramente si accelera molto rispetto alle procedure attuali. I tempi perché le sentenze passino in giudicato, cassazione inclusa, potrebbero ridursi da sei anni a un anno e mezzo circa. E a beneficiarne saranno sia i datori di lavoro sia i lavoratori, perché per entrambi è bene avere la certezza del diritto il più rapidamente possibile».

di Andrea Curiat

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