Giulio Monga
Scritto il 28 Giu 2019 in Approfondimenti
Gig economy lavoro sottopagato logistica Precariato Riders
Lo scorso 31 maggio è stato il primo anniversario della cosiddetta Carta di Bologna (la “Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano”), ossia il primo accordo in Europa tra riders – i fattorini che consegnano pranzi a domicilio in bici o motorino per conto di diverse e popolari app come Deliveroo, Glovo e Just Eat – sindacati, istituzioni e piattaforme digitali. Un documento nato dall’iniziativa del sindaco PD di Bologna Virginio Merola e sottoscritto dai sindacati Riders Union – protagonista della trattativa – Cgil, Cisl e Uil. La Repubblica degli Stagisti aveva nei mesi scorsi dedicato un approfondimento alla Carta di Bologna, così come ad altre iniziative nate sul territorio come lo sportello d’ascolto di Milano. Un anno dopo, è il momento di stilare un bilancio sull’attuale situazione dei riders.
I dati della Fondazione Debenedetti parlano di circa 10mila riders in Italia, di cui un 78% di under 30. Le stime dicono che nel 50% dei casi sono studenti; il 33% ha un secondo lavoro mentre per il 17% è l’unica occupazione. Una categoria in realtà poco numerosa – basti pensare che gli stagisti sono mezzo milione all'anno, giusto per fare un confronto di ordini di grandezza! – ma spesso indicata come simbolo del precariato delle nuove generazioni, e al centro dei riflettori mediatici e di annunci politici. Si veda, ad esempio, il caso di qualche settimana fa della lista di vip che non lascerebbero la mancia ai fattorini.
Ma qual è la situazione di questo segmento di «gig economy» (letteralmente: economia dei lavoretti) dal punto di vista giuslavoristico? Negli ultimi mesi qualche piccolo progresso è stato fatto.
Prima in ordine di tempo è stata l’intesa relativa al trattamento economico e dei riders, raggiunta nel luglio 2018 tra da Confetra, Fedit, Assologistica, Federspedi, Confartigianato trasporti, Cna, Cgil, Cisl e Uiltrasporti ed è stata inserita all’interno del contratto nazionale di lavoro (il cosiddetto Ccnl) della Logistica. Grazie a questo accordo i riders sono stati inseriti tra i lavoratori dell’area C del Ccnl, dedicata al “personale viaggiante cui non spetta l’indennità di trasferta”. Ciò significa che i rider possono adesso essere qualificati come lavoratori subordinati a tutti gli effetti – è stato stabilito un orario di lavoro di 39 ore a settimana, spalmabili su un massimo sei giorni e conguagliabile in quattro settimane, e un orario massimo di 48 ore, straordinari inclusi – con tutte le tutele previdenziali ed assicurative previste dal Ccnl della Logistica, compresa l’assistenza sanitaria integrativa, la bilateralità contrattuale e l’assicurazione per danni verso terzi. Ma attenzione, non devono essere qualificati così: possono esserlo. A discrezione del datore di lavoro. Pur essendo da salutare con favore, questo riconoscimento dunque non sembra sufficiente. Il Ccnl infatti non ha forza di legge: la sua applicazione è subordinata alla discrezionalità delle piattaforme digitali.
Anche la sentenza della Corte d’Appello di Torino dello scorso gennaio a proposito del caso Foodora ha riconosciuto applicabile ai riders l’art. 2 del «Jobs Act». La norma in questione prevede che la disciplina sul rapporto di lavoro subordinato si applichi alle collaborazioni «esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». Questo tuttavia non significa un’equiparazione totale dei riders ai lavoratori subordinati, ma soltanto l’applicabilità di alcune delle tutele riconosciute dal Ccnl ai dipendenti della Logistica e soltanto per il periodo in cui i riders sono, effettivamente, al lavoro. In altre parole la sentenza, pur positiva dal punto di vista dei diritti sociali, ha fotografato quella che è la situazione di fatto dei riders: una figura ibrida tra il lavoratore autonomo e il dipendente e che, per questo, si può prestare a diversi abusi.
Ciò che occorrerebbe per colmare un oggettivo buco normativo è l’intervento del legislatore – quindi della politica. Da questo punto di vista va segnalata una stasi. Nonostante gli annunci, gli incontri simbolici e l’inizio delle trattative tra sindacati e governo, infatti, poco o niente sembra – ad oggi – essere stato fatto. Le trattative sono ferme allo scorso 7 novembre. Nel frattempo le intenzioni proclamate di inserire maggiori tutele ai riders nel decretone su Quota 100 e Reddito di Cittadinanza sono state disattese. «Non c’è la dignità di questo governo che ha promesso delle cose e che non le ha mantenute, che non ha fatto il suo dovere, ma che ha fatto solamente un miserabile teatrino sulla pelle dei riders» aveva commentato amaramente Riders Union Bologna con un post su Facebook nel giorno del decretone: «Pretendiamo a gran voce che l'estensione delle tutele dei lavoratori subordinati ai riders sia fatta subito per decreto legge» il rilancio del sindacato di base.
Attacchi duri, a cui era seguito – in piena campagna elettorale per le europee – un nuovo annuncio del ministro del lavoro Luigi Di Maio. «La norma sui rider è pronta. Sarà inserita nella legge sul salario minimo che è in discussione in questi giorni al Senato – aveva scritto il vicepremier su Facebook a fine aprile – Se potremo, proveremo a farla diventare legge anche prima, inserendola nella fase di conversione del “decreto crescita”, ma su questo ci sarà bisogno dell'autorizzazione dei presidenti delle Camere». Copertura Inail per gli infortuni, migliore contribuzione Inps che supera la gestione separata e divieto di retribuzione a cottimo i punti cardine che – stando all’annuncio di Di Maio – dovrebbero caratterizzare la riforma. «Potevamo fare prima forse, era anche il nostro obiettivo, ma una norma molto specifica e innovativa va approntata con attenzione. Quindi sebbene non andato a buon fine, il tavolo di concertazione era doveroso per provare a mediare tra le parti in campo» il commento del vicepremier, con una chiara allusione alla stasi delle trattative con i sindacati.
Ad oggi, tuttavia, non è ancora stata approvata nessuna legge né decreto e l’unico testo organico – un anno dopo – rimane la Carta di Bologna.
Giulio Monga
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