È stato pubblicato a metà dicembre un testo prezioso per tutti quelli che si occupano di stage e mondo del lavoro: il primo Rapporto di monitoraggio nazionale in materia di tirocini extracurriculari realizzato da Anpal (Agenzia nazionale per le politiche del lavoro) e Inapp (Istituto nazionale per le analisi delle politiche pubbliche). Il testo analizza le caratteristiche e gli esiti dei tirocini extracurriculari realizzati tra il 2014 e il 2017 e i contenuti delle linee guida sulla qualità degli stage, partendo dalle prime pubblicate nel 2013 e poi aggiornate nel 2017 e sul loro recepimento da parte delle singole regioni.
Ed ecco i numeri: nei quattro anni analizzati sono stati attivati oltre 1milione e 263mila tirocini extracurriculari, che hanno coinvolto 1milione e 57mila soggetti, il che significa che alcuni di questi hanno svolto più di uno stage, e quasi 402mila aziende. Nello stesso periodo il numero di tirocini è aumentato considerevolmente visto che in questi quattro anni «il volume dei tirocini attivati risulta incrementato di 141.449 unità» con un aumento di oltre 72mila imprese che hanno deciso di attivare almeno uno stage.
Crescite dovute sia alle normative regionali e provinciali sul tema entrate in vigore proprio in quegli anni, sia all’avvio del programma Garanzia Giovani che in particolare nel 2015 ha sostenuto l’aumento del numero di stage. Con una regione a distinguersi particolarmente, la Sicilia, dove, nota il Rapporto, «i tirocini attivati e rientranti all’interno del Programma rappresentano ben oltre la metà dei tirocini avviati nel quadriennio e, nel 2015, raccoglievano l’89,3% del totale dei tirocini ospitati in regione». È proprio in questa fase, nota il rapporto, che il tirocinio passa dall’essere solo una pratica formativa e di orientamento a essere una vera e propria politica attiva con l’obiettivo di aumentare l’occupabilità. A quattro anni dall’adozione delle prime linee guida, nel 2017, la Conferenza Stato Regioni ha rivisto e aggiornato il testo, cercando di migliorare la qualità dei percorsi formativi e fermare l’utilizzo distorto di alcuni. Con questa rivisitazione lo stage extracurriculare si sposta di più nella direzione dell’inserimento lavorativo piuttosto che nella formazione post curriculare e si stabilisce la durata massima per tutti i destinatari in 12 mesi, ad eccezione dei disabili per i quali si arriva a 24 mesi.
Ma quello su cui il Rapporto pone l’accento sono le innumerevoli differenze «fra le normative emanate dalle 19 Regioni italiane e dalle due Province autonome dopo le linee guida del 2013 e i relativi aggiornamenti che hanno fatto seguito a quelle del 2017, e fra queste ultime e le stesse discipline regionali e provinciali che le hanno recepite». Così oggi si ritrovano ben sei regioni, Veneto, Liguria, Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia e Toscana, che non hanno modificato le proprie normative del 2013 lasciando la distinzione – ormai superata – tra tirocini formativi e di inserimento e solo tre, Molise, Calabria e Sardegna, che hanno previsto limiti di durata massima conformi alle ultime linee guida. In pratica «oltre un terzo delle regioni, avendo mantenuto in parte lo stesso abbinamento fra tipologie, destinatari e durata massima stabilito dalla legge del 2013 non hanno voluto recepire appieno l’invito della legge 2017 a considerare il tirocinio uno strumento di inserimento reinserimento lavorativo piuttosto che di orientamento e formazione».
Qui link all’elenco delle discordanze tra le linee guida 2017 e tutte le 21 normative regionali.
Qualche dato positivo però c’è: solo Molise, Sicilia e la Provincia di Trento hanno stabilito un’indennità corrispondente alla soglia minima prevista dalle leggi del 2013 e 2017, 300 euro mensili lordi, mentre tutte le altre prevedono indennità minime dai 400 agli 800 euro. E rispondendo anche a una Raccomandazione europea, Lazio, Basilicata, Liguria, Abruzzo e Campania hanno stabilito che nel caso il soggetto ospitante sia un ente pubblico sarà necessario effettuare una pubblica selezione. Diverso, invece, il caso della Lombardia che ha previsto una indennità minima più bassa per i tirocini presso gli enti pubblici, 300 euro contro i 500 negli enti privati, anche se il report non dedica alcun approfondimento a questa novità e inserisce semplicemente il dato in tabella.
Analizzando, invece, i risultati dei tirocini extracurriculari nel periodo intercorso tra il 2014 e il 2017, sono ancora una volta i numeri a parlare. Se questo tipo di stage servisse realmente a facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, allora i tirocini extracurriculari dovrebbero portare a uno sbocco lavorativo dovuto all’ampliamento delle conoscenze e competenze dell’individuo. Per questo nel Rapporto si prendono in esame i dati delle Comunicazioni obbligatorie per l’attivazione appunto di uno stage seguente o nuovo rapporto di lavoro. E sul totale di oltre 1milione 260mila tirocini attivati nel quadriennio, ben sei su dieci hanno portato entro sei mesi dal termine a una nuova occupazione: di cui ben cinque (quasi 585mila tirocini) a un vero e proprio rapporto di lavoro.
Il tirocinio, dunque produce effetti positivi a ridosso dell’esperienza: più passano i mesi più il numero di nuove comunicazioni obbligatorie attivate scende drasticamente. Il rapporto mette in luce due aspetti principali: l’evidenza che i maggiori risultati di inserimento si ottengono a ridosso della fine dello stage specie con lo stesso datore di lavoro e il progressivo incremento degli esiti nel lungo periodo dovuto all’aumento dei tempi di ricerca di una nuova occupazione da parte degli ex stagisti.
Il vero dato positivo è «la significatività dell’esperienza di tirocinio soprattutto nell’ottica dell’ampliamento della rete di contatti», punto su cui da sempre sono tutti d’accordo. Ma a incidere sono anche altri due fattori: la durata del tirocinio e la professione in cui questo viene svolto. «Al crescere della durata del tirocinio corrisponde un tasso di inserimento sempre superiore in tutti gli intervalli considerati», spiega il Rapporto che evidenzia anche tre grandi gruppi professionali nei quali gli esiti sono positivi qualsiasi sia il periodo dello stage: le professioni intellettuali, scientifiche e di alta specializzazione, quelle tecniche e quelle dei conduttori di impianti, operai di macchinari fissi e mobili. Mentre i minori passaggi dallo stage all’occupazione si verificano nelle professioni non qualificate, quindi personale addetto allo spostamento e alla consegna merci e ai servizi di pulizia o, come riportato nella Classificazione delle professioni Istat 2011, “le professioni che richiedono lo svolgimento di attività semplici e ripetitive, per le quali non è necessario il completamento di un particolare percorso di istruzione e che possono comportare l’impiego di utensili manuali, l’uso della forza fisica e una limitata autonomia di giudizio e di iniziativa nell’esecuzione dei compiti”.
Per quanto riguarda, invece, le regioni con più inserimenti non ci sono grosse novità: i tassi più alti sono al nord, con il Friuli Venezia Giulia che raggiunge quasi il sessanta per cento, e la ripresa delle Marche che si posizionano in settima posizione precedendo di poco la Lombardia.
Altro dato interessante è quello relativo al titolo di studio. Perché la spinta fornita da una laurea alla ricerca di un lavoro diminuisce con il passare del tempo. Il che vuol dire che con il passare dei mesi la differenza della probabilità di essere assunti post stage tra la categoria dei laureati e di chi ha solo la licenza media si riduce sempre di più. E questo probabilmente perché, sottolinea il Rapporto, «la quota di tirocini extracurricolari promossi dalle Università e dagli istituti di alta formazione risulta numericamente contenuta rispetto ad altri soggetti a vocazione formativa». Il numero di tirocini promossi tra il 2014 e il 2017 da Atenei e istituti di Alta formazione, infatti, è pari a 59.804 contro i quasi 396mila dei Centri per l’impiego, i 181mila dei Centri di formazione professionale e i 157mila dei Soggetti dedicati all’intermediazione. Anche altri soggetti regionali fanno meglio delle Università con 105mila stage promossi nel quadriennio.
C’è, infine, un ultimo dato analizzato che è quello della reiterazione del tirocinio. Se, infatti, un nuovo contratto di stage non ha lo stesso valore di un vero e proprio contratto di lavoro, rappresenta «comunque un risultato importante». Nel quadriennio esaminato più di un tirocinante su dieci ha avviato un nuovo stage nei sei mesi seguenti al primo. Una scelta in parte dettata dalla volontà di fare qualcosa mentre si cerca un inserimento migliore o più remunerativo e in parte accettata da quegli «individui con uno svantaggio maggiore sia per titolo di studio sia in termini di svantaggio certificato dalla natura del tirocinio svolto».
Il Rapporto, quindi, mette in luce alcune tematiche – il boom dei tirocini, la loro ripetizione nel tempo, le normative regionali non completamente aggiornate - più volte affrontate dalla Repubblica degli Stagisti e potrebbe servire come sprono a fare di meglio nel corso del 2020 sul tema stage. Magari convincendo tutte le Regioni ad adeguarsi alle ultime linee guida e cercando di uniformare le relative normative per non creare stage di serie a e b anche a seconda del territorio in cui si svolgono.
Marianna Lepore
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