Su cosa sia stage e cosa sia lavoro sembra che ancora ci sia poca chiarezza. In particolare quando si tratta di analizzare i dati sul placement universitario, ovvero su quanti laureati a distanza di un anno, o sei mesi, lavorano. Il placement infatti indica la percentuale di "collocati" (dall'inglese to place, collocare) rispetto al totale dei laureati (o diplomati, nel caso dei master). Numeri di grande valore, visto che il collocamento nel mondo del lavoro è una delle priorità dei giovani al momento di scegliere quale facoltà intraprendere o a quale ateneo iscriversi. E le cifre descrivono solitamente futuri più che rosei: 93-95% dei laureati in economia in Bocconi e Cattolica, per esempio, che a tre mesi dalla discussione della tesi già lavorano, 87% dei dottori in scienze della comunicazione dell'università di Urbino che trovano un'occupazione entro dodici mesi... Percentuali che si avvicinano al 100% per Mba e master. Percentuali che spingono molti giovani a spendere cifre anche importanti, convinti che dopo quel determinato percorso formativo le porte del mondo del lavoro saranno spalancate. Ma c'è da fidarsi?
Sì e no. È bene tener presente infatti che talvolta nella percentuale di "collocati" vengono ricompresi anche coloro che non hanno un lavoro, ma solo uno stage (magari perfino gratuito). La Repubblica degli Stagisti ha contattato alcuni importanti atenei e ha chiesto loro se nella percentuale di placement includono anche gli stage: le risposte non sono omogenee.
Nella maggior parte dei casi lavoro e stage sono tenuti separati: «Anche quando è retribuito, come avviene spesso per il periodo post-laurea, lo stage non può essere considerato lavoro» spiega Gilda Rota, responsabile dell'ufficio Servizio stage e mondo del lavoro dell'università di Padova «quindi nei nostri calcoli sul placement non lo consideriamo». Si comportano diversamente altre università, come ad esempio la Bocconi di Milano: «Stage curriculari e stage di lavoro, sia in Italia sia nel resto del mondo, sono inclusi nella percentuale», dichiarano dall'ateneo. Perché a ben guardare il dato sul placement spesso riporta il numero di studenti che "risultano inseriti nel mondo del lavoro" e non quelli con un contratto. Non si tratta, quindi, di chi ha ottenuto un rapporto di lavoro vero e proprio, ma semplicemente di chi è stato "inserito". Un po' la stessa differenza che c'è tra disoccupati e inoccupati: i primi non hanno un lavoro, gli altri sono impegnati in un percorso di studio post laurea oppure svolgono attività nel mondo del lavoro ma senza essere assunti (come gli stagisti!).
I criteri cambiano da un'università all'altra anche perchè spesso i calcoli sono affidati a uffici studi esterni: nel valutare la voce placement, quindi, bisogna fare molta attenzione e cercare di capire a cosa si riferiscono. Magari in maniera diretta, scrivendo una email ai responsabili e chiedendo se nel dato percentuale che pubblicano sul sito o sulla brochure contano anche gli stage o no.
Come nota finale la Repubblica degli Stagisti riporta l'interpretazione in materia di placement dell'Isfol, l'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, che conferma la netta differenza tra stage e lavoro: nel suo monitoraggio annuale sull'esito dei tirocini attivati dai centri per l'impiego, per esempio, non considera come "esito positivo" le proroghe degli stage, ma soltanto le assunzioni vere e proprie.
Eleonora Della Ratta
Per saperne di più vedi anche:
- Un anno di Soul, il servizio di placement pubblico delle università del Lazio
- Stage attivati dai centri per l'impiego: ecco la radiografia annuale dell'Isfol
- Video curriculum per andare all'estero, un nuovo strumento al servizio degli studenti dell'università di Padova
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