«Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dov'è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi», la frase pronunciata qualche giorno fa dal ministro del lavoro Giuliano Poletti si cala nel dibattito molto acceso negli ultimi anni su quanti, per un motivo o per un altro, scelgono o subiscono un lavoro all'estero. Tematiche che di recente sono state al centro del MeeTalents 2016, l’appuntamento annuale organizzato da Italents, associazione che dal 2011 svolge attività per la promozione dei talenti entro e fuori i confini nazionali (a proposito: Italents ha pubblicato la lettera aperta di risposta di una expat al ministro Poletti, e ha lanciato una call dando la disponibilità a pubblicare altre risposta di expat!).
L'evento si è aperto con un video “sempreverde” in cui Renzo Piano, architetto e senatore a vita, dice una cosa molto diversa dal ministro Poletti: «Secondo me i giovani devono partire, devono andare via per curiosità, non per disperazione. E poi devono tornare. Devono andare per capire com’è il resto del mondo, ma anche una cosa più importante: capire se stessi».
Quest'anno il MeeTalents è stato organizzato per la prima volta fuori dall’Italia, a Bruxelles, un luogo che Eleonora Voltolina presidente di Italents dal 2016 definisce «città più rappresentativa per gli expat italiani», visto che proprio qui vivono molti nostri connazionali e qui passano, per un periodo più o meno lungo, tantissimi giovani impiegati negli stage presso le tante istituzioni europee.
La serata si è aperta sul tema dell’importanza di continuare a incidere sulle politiche italiane pur vivendo all’estero, con un panel moderato dal giornalista Roberto Bonzio che, prima di introdurre Francesco Cerasani, segretario PD Bruxelles, ha voluto raccontare la sua storia di rinascita. «Dopo 30 anni in redazione ho deciso di fare un investimento per la famiglia e i ragazzi e sono andato sei mesi in Silicon Valley». Un’esperienza che cambia la sua vita e gli fa scoprire due tratti caratteristici del talento italiano, che portano a sperperarlo: «La capacità di affrontare la complessità del mondo ma anche l’incapacità di fare squadra e l’invidia che ci fa giorire della sconfitta altrui». Da tutto questo Bonzio ha costruito un progetto multimediale, Italiani di Frontiera, in cui ancora oggi continua a raccontare la storia di italiani capaci di fare nuove imprese.
Tra i primi relatori a parlare, Cerasani sottolinea l’importanza di «investire a livello politico su questa comunità di nuovi migranti». E soprattutto sulla «necessità di fare rete, di incidere e fare politica dentro le amministrazioni politiche di riferimento e di comprendere realmente cos’è la cittadinanza europea». Senza dimenticare quella di provenienza, però, e ricordandosi di esercitare il proprio diritto al voto: dal 2001 infatti i residenti all'estero possono eleggere i propri rappresentanti in una apposita circoscrizione. Ma è altrettanto importante fare vita politica attiva, come dice Gianluca Cerri, del MeetUp Movimento 5 stelle Bruxelles, che emigrato in «età avanzata» è riuscito a dare una svolta alla sua vita. «Dall’estero ho avuto la possibilità di ricostruirla. E di continuare l’attività politica iniziata in Toscana».
Fare politica ma anche, e soprattutto, fare rete. Un concetto sottolineato da Maria Chiara Prodi, presidente della VII Commissione “Nuove migrazioni e generazioni nuove” del Consiglio generale italiani all’estero, l’organo consulente del governo e parlamento sui temi di interesse per chi non vive più nel nostro Paese. «La nostra emigrazione, oggi, è individuale ma è importante riunirsi» ha detto Prodi, ricordando come il crescente individualismo degli emigranti abbia portato sempre più italiani residenti all’estero a non iscriversi all’Aire. «E invece è importante abbandonare l’ottica pietista del cervello in fuga e pensare che se non ci si iscrive si sprecano risorse: solo per fare un esempio, circa 2mila euro l’anno alla voce sistema sanitario».
Fare rete, dunque, tra quanti vivono all’estero anche per rendere più semplice la fase di integrazione nel nuovo contesto sociale. È il lavoro che fa anche la Comune del Belgio, un’associazione che in un’ottica di mutuo soccorso mette insieme tutta una serie di conoscenze che possono aiutare chi arriva dall’Italia. Anche perché, ci tiene a sottolineare Pietro Lunetta – da sei anni a Bruxelles «nonostante fossi tra quelli che non volevano partire dall’Italia» – se «negli anni ’70 la rappresentazione all’estero era più forte, ora lo è di meno e questo comporta una debolezza estrema nella fase di integrazione». Soprattutto se si considera che moltissimi tra gli espatriati hanno un profilo professionale non qualificato e quindi ancora più difficoltà a integrarsi nel nuovo contesto.
Tra gli altri intervenuti al primo panel anche Alessandro Facchin, responsabile del comitato giovani nuove emigrazioni dell’associazione Trevisani nel Mondo, che oggi conta 10mila iscritti e cerca di mantenere un rapporto tra quanti già sono emigrati all’estero e quanti invece oggi vogliono emigrare. Anche se non è facile perché «abbiamo a che fare con chi è emigrato di recente come con quelli ormai di quarta o quinta generazione». A chiudere il primo panel, la ricercatrice Ilaria Maselli illustra il progetto “I vote where I live campaign” che cerca di convincere gli italiani da tempo residenti all’estero a partecipare attivamente alla vita politica anche attraverso il voto alle elezioni comunali nel Paese che li ha accolti.
Il secondo panel è stato invece dedicato alla circolazione dei talenti e a coloro che decidono di tornare in Italia. Qui ci si è soffermati sulla percentuale, altissima, di giovani convinti che per realizzarsi sia necessario andare all’estero. Situazione che ha favorito lo sviluppo di progetti come Eures o Erasmus, e la nuova idea di servizio civile europeo avanzato, come ha raccontato Federico Pancaldi, Policy officer alla DG occupazione Commissione europea. La storia di emigrazione di Pancaldi è cominciata già a 16 anni con un viaggio con Intercultura; oggi lui è più che mai convinto che «l’Europa non può parlare di brain drain, perché in realtà quello che noi facciamo è facilitare le opportunità degli individui di andare a cercarsi un futuro in un altro Paese».
Futuro cercato non solo dai giovani ma anche dagli imprenditori. Matteo Lazzarini, segretario generale della Camera di Commercio belgo italiana, racconta infatti la storia degli imprenditori espatriati e delle difficoltà che incontrano nel continuare ad avere rapporti con l’Italia vista, ad esempio, l’impossibilità di partecipare a molti bandi pubblici a causa di requisiti prettamente italiani. Ma alla Camera di commercio non vanno solo imprenditori, anche giovani appena emigrati che non sanno bene come cercare un lavoro. A loro è stato dedicato un nuovo sportello unico che prenderà il via nel 2017.
Emigrazione che spesso parte dal sud Italia: un dato che Bruno Cortese, funzionario della Regione Siciliana Bruxelles ricorda correlato alla percentuale di rischio povertà che se nella media italiana è del 18% al Sud sale fino al 39. Numeri «umilianti ed allarmanti».
E se emigrare non sempre significa rimanere all’estero, c’è però una soglia critica – citata da Paolo Balduzzi, professore di scienza delle finanze alla Cattolica di Milano e segretario di Italents – oltre la quale è molto difficile si torni indietro. Sono i tre anni: se si sta fuori dall'Italia olltre quella soglia, è probabile che si resti stabilmente lontano da casa. Ma come facilitare il rientro? In Italia nel 2010 è stata approvata la legge Controesodo, che ha introdotto incentivi fiscali molto vantaggiosi per rientrare, aperti agli italiani laureati che avessero un'esperienza di almeno due anni all'estero.. Tra chi ha scelto di usufruire della legge anche Cecilia Gozzoli, membro del gruppo informale Controesodo che racconta come la sua scelta di tornare fosse stata presa con un obiettivo “controcorrente”: far nascere i suoi figli in Italia. Gozzoli sottolinea che «l’incentivo aiuta, ma non è il driver principale: i motivi personali determinano la scelta di ciascuno». Oggi, dall’interno del gruppo Controesodo, Cecilia si batte perché questa misura da temporanea diventi un po’ più programmatica in modo da consentire a tanti come lei di decidere con calma se e quando tornare.
Nell’ultimo dibattito, moderato da Eleonora Voltolina, è stato affrontato un altro tassello, forse il più importante: quello inerente al mercato del lavoro. Partendo innanzitutto dai dati dell’ultimo Rapporto Giovani illustrati da Alessandro Rosina, responsabile del rapporto e professore di demografia all’università Cattolica nonché ex presidente di Italents. L’indagine, partita nel 2012 in Italia, è stata estesa dall’anno scorso in tutta Europa con l’obiettivo di capire quale idea abbiano i giovani proprio dell’Ue. E così si scopre che, un po’ a sorpresa visti i tempi, «hanno la consapevolezza che è meglio essere uniti piuttosto che tanti Paesi in ordine sparso». Questo nonostante la libera circolazione e la moneta unica non siano stati vissuti come veri vantaggi. Cosa vorrebbero quindi i giovani? «Una politica sociale comune, intesa come lavoro e welfare».
Ma oggi l’Europa fa fatica proprio sulla politica sociale, evidenzia Brando Benifei, europarlamentare PD e grande sostenitore del Meetalents 2016, che sottolinea come nell’attuale Europa a 28, molto eterogea, sia più difficile rispetto al passato trovare un unico sistema comune. «Proprio per questo serve un’Europa più avanzata, anche sul tema delle pensioni, visto che oggi si rischia che chi lavora in vari paesi europei perda i contributi accumulati in diversi luoghi. Senza dimenticare che anche il riconoscimento dei titoli non è automatico».
Proprio sul tema dei diritti sociali è Germana Viglietta, membro della Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione europea, a dire che «nessuno deve esserne escluso, perché sono collegati con la mobilità e rientrano tra i principi cardine della costituzione europea». E spiega che se «i giovani europei chiedono per il 77,2% un Europa più sociale, è perché effettivamente è la prima percezione quando si gira l’Europa per sentirsi parte integrante del sistema».
L’orizzonte, però, non sembra positivo ed è Eleonora Medda, Inca Cgil Belgique e membro del Consiglio Generale degli Italiani all'estero, a confermarlo: «Frans Timmermans, presidente del partito socialista europeo, ha dichiarato nel 2015 che l’accesso al mercato del lavoro non significa un accesso automatico alla previdenza sociale» e questo secondo Medda «significa tornare indietro di 60 anni». Un ritorno al passato che nei fatti si sta già concretizzando, con «paesi democratici come il Belgio in cui ci sono italiani o altri cittadini europei che ricevono l’ordine di lasciare il Paese perché hanno fatto la richiesta del sussidio sociale». Se i giovani dimostrano di voler credere nel progetto europeo, in realtà «i diritti civili vanno nell’altro senso».
Per tutti questi motivi, l’armonizzazione dei contributi per quanti hanno lavorato in più Paesi sarebbe necessaria, ribadisce Andrea Brunetti, responsabile politiche giovanili Cgil. Lanciando un allarme: il rischio che l’assenza di queste misure porti ad avere invece di un “brain drain”, uno “youth drain”, un calo demografico tale che andrebbe affrontato subito.
In chiusura un altro intervento di Ilaria Maselli, che ha voluto ricordare i due motivi principali per cui, oggi, il tema di un sussidio europeo di disoccupazione sia molto importante. Perché «permetterebbe di creare un piccolo budget per stabilizzare le economie quando una va su e una giù. Significa che se oggi c’è una disoccupazione al 4,5% in Germania e al 20 in Spagna, un sussidio comune permetterebbe di intervenire per pagare con i contributi di un paese i sussidi di un altro. E poi perché è un semplicissimo diritto dei lavoratori. Abbiamo un mercato unico per tantissime cose, perché non per il lavoro? Oggi c’è una mobilità incompleta e aggiungere un sussidio di disoccupazione europeo andrebbe a completarla». Nonostante di questa idea si parlasse già in un rapporto del lontano 1978, oggi nel 2016 sembra di nuovo tutto fermo. Perché dopo il referendum sulla Brexit del 23 giugno «tutti i sogni si sono infranti» e sembra molto difficile riuscire a trovare un accordo sul tema nonostante ci siano molti motivi per farlo.
Un vero peccato se si pensa alla partecipazione a questo MeeTalents fuorisede, che in una fredda sera a Bruxelles è riuscito a radunare un centinaio di persone in una sala per diverse ore. Tutti pronti a ragionare e interrogarsi. E a portare a tante riflessioni e spunti per il futuro, su un tema che, da vicino o da lontano, coinvolge ormai moltissimi italiani. Lavorare e vivere lontani dal proprio Paese, qualche volta per libera scelta, altre volte meno. Senza dimenticare, però, di provare a incidere sull’Italia, anche da lontano.
Marianna Lepore
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