Diritti degli stagisti in discussione all'Europarlamento, Zingaretti ottimista: “A luglio il voto in plenaria”

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 31 Mar 2025 in Interviste

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Da anni la Repubblica degli Stagisti segue le decisioni dell'Europa sul tema stage. In questo momento ci sta particolarmente a cuore che la cosiddetta "Direttiva Tirocini", promessa l'anno scorso, veda la luce. Dopo il naturale assestamento dovuto al rinnovo del Parlamento europeo, a giugno 2024, e all'insediamento dei nuovi eurodeputati, a metà dicembre il neoeletto Nicola Zingaretti è stato nominato rapporteur dei lavori parlamentari su questa Direttiva all'interno della Commissione Cultura. Due settimane prima di questa sua nomina, i giornali italiani avevano suonato le campane a morto per la direttiva, dando conto di una bocciatura di un testo di compromesso che era stato proposto dalla presidenza di turno ungherese, e rigettato. (Interpellata dal quotidiano Repubblica, io avevo commentato come fosse meglio aspettare qualche mese in più piuttosto che accettare un testo al ribasso). Dal 1° gennaio la presidenza ungherese ha ceduto il passo a quella polacca, e i lavori sulla Direttiva stanno proseguendo.

nicola Zingaretti parlamento europeo stage lavoroNicola Zingaretti, come Commissione Cultura siete chiamati a dare un parere sulla bozza di direttiva. Avete raccolto oltre 300 emendamenti: come procede il lavoro di scrematura e di compromesso politico?

Stiamo tentando di costruire all'interno della Commissione Cultura una maggioranza che dovrà poi proiettarsi nella commissione Lavoro, e dopo ancora nell'Aula. Uno dei problemi più grandi in passato è che purtroppo non si è riusciti a costruire una maggioranza che garantisse l'approvazione di un testo. Quindi stiamo lavorando affinché non si creino camere stagne: inutile far passare una cosa in Commissione Cultura se poi abbiamo la certezza che in Commissione Lavoro o in Aula verrà bocciata.

Quali sono i problemi principali? Immagino che il primo sia dribblare le resistenze basate sull’assunto che non si può legiferare in materia di tirocini a livello europeo, perché il mercato del lavoro non è di competenza europea.

Esatto, è un problema di ordine istituzionale. Viene utilizzato per motivi politici da chi non vuole una forte legislazione su questo, però purtroppo è suffragato dai Trattati. Basti vedere in queste ore il dibattito sulla difesa europea: alcuni dicono “Non si può fare una difesa comune perché non è nei Trattati” – cioè, alcuni aspetti della difesa non sono nei Trattati. Tendenzialmente questi temi vengono tirati fuori quando dietro si celano delle perplessità politiche. Se però hanno un fondamento [come nel caso dei tirocini, ndr], bisogna essere molto prudenti perché altrimenti si fa un grande lavoro, si passa in Aula... e si ritorna a capo. Qui la problematica è legata alle tematiche del lavoro.

Questo perché ogni Paese è sovrano sul suo mercato del lavoro, sulla sua normativa sul diritto del lavoro.

Il problema è esattamente questo. Ogni volta che tentiamo di codificare di più alcuni aspetti, viene fuori il tema delle competenze e della necessità di restare “generali”. Poi c'è un altro problema, più politico, che io confido potremo superare: c'è una parte del Parlamento che è più a tutela di chi offre i tirocini che non di chi li svolge. Ci sono parti politiche che dicono: “in fondo chi fa il tirocinio beneficia di un trasferimento di competenze, per un'impresa è un sacrificio, perché insistere nella sfera dei diritti?”. Io su questo sono ottimista: si possono costruire delle alleanze. Il nostro obiettivo è quello di spingere gli Stati membri, sulla base di alcune forti indicazioni, a legiferare. La prima indicazione è l'obbligo della forma scritta.

Quello noi in Italia già ce l'abbiamo, ma ci sono dei Paesi dove non c’è.

E alcuni non lo vogliono. Peraltro, le forze del sindacato hanno paura a utilizzare la parola “contratto”. Quindi io non a caso ho usato la parola “rapporto scritto” – perché se si usa la parola “contratto” il sindacato teme che si ritorni all'equivoco di un lavoro mascherato. Il secondo tema è la remunerazione. Anche qui: non uno stipendio, ma una forma di indennità economica.

E anche in questo caso in Italia noi siamo, anche grazie alla Repubblica degli Stagisti, un Paese abbastanza avanti rispetto ad altri: imponiamo che si sia un compenso, un'indennità. Ma purtroppo per ora solo agli extracurriculari.

Sì, però non è una norma nazionale, dipende dalle Regioni. Introdurre questo principio a livello europeo sarebbe la giusta occasione per porre a livello nazionale una legge che omogenizzi questo aspetto. Certo, mettere anche dei minimi sarà difficile, non ce la facciamo nemmeno con i salari... vedremo. Il terzo tema, più complesso ma secondo me importante, è la qualità dei tirocini, la trasmissione di conoscenza, e anche le forme di controllo: confidiamo che si possa fare un sano passo in avanti. L'ultimo punto, il quarto, è quello dei tempi: individuare un periodo massimo e un rapporto tra il numero di dipendenti e il numero massimo possibile di tirocinanti. Questo doppio indice può disincentivare forme di lavoro mascherato da tirocinio. Se uno studio di avvocati ha 40 tirocinanti da due anni, è evidente che qualcosa non va. Però questo è un altro punto che io credo abbiamo buona possibilità di far passare.

Quali sono i passi per formalizzare queste quattro indicazioni?

Noi stiamo facendo un lavoro emendativo in Commissione Cultura. Concluderemo poi un accordo con la maggioranza della Commissione Lavoro, e se necessario io con una lettera formale privata farò una raccomandazione alla relatrice della Commissione Lavoro affinché nella sua Commissione vengano affrontati i temi che noi in Commissione Cultura non saremo riusciti a far passare. Con le attuali maggioranze, e con l'attuale Consiglio, la cosa importante è, questa volta, riuscire ad approvare un testo. Come tutte le cose in Europa, poi affronteremo il problema di migliorare la direttiva... Se ci sarà.

Ci sono due grandi temi che possono essere critici. Il primo è quello che l'attuale testo della direttiva molto spesso chiama i tirocinanti lavoratori, “workers”, basandosi su un'interpretazione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea che effettivamente dice che i tirocinanti sono assimilabili ai lavoratori. Però questo fa saltare sulla sedia molti – anche in Italia, perché la prima riga della normativa in Italia dice che il tirocinio non è un contratto di lavoro. Nell'attuale draft della Commissione Lavoro il lavoratore viene ritrasformato in stagista, il che potrebbe forse aiutare a calmare i detrattori. L'altro punto è includere nel novero dei tirocinanti coperti dall'effetto protettivo di questa direttiva anche quelli che noi chiameremmo in Italia “curriculari”, cioè svolti all'interno di un percorso accademico o professionalizzante. Sono milioni i tirocini curriculari in tutta Europa, si calcola tra i 400 e i 500mila solo in Italia ogni anno: se questa Direttiva li proteggerà o non li proteggerà fa una differenza enorme. 
Parto dall'ultimo tema. È ovvio che l'arrivo della Direttiva, e soprattutto delle norme attuative della direttiva negli Stati membri, cambieranno tutto. Ci sarà il rischio di un crollo di questo strumento, all'inizio, nelle forme che abbiamo conosciuto finora. Però io credo che la fase di assestamento sarà anche una scrematura tra i tirocini fatti per far apprendere e i tirocini-sfruttamento, fatti per creare profitto per chi li offre. Il disboscamento non sarà indolore. Confido che sui grandi numeri noi andremo ad una forma di stabilizzazione di questo tipo di rapporto non solo a beneficio di chi fa i tirocini, ma del sistema Paese e della competitività europea. Perché sposteremo l'asse da un rapporto molto proiettato – se non per la buona volontà di alcuni – sullo sfruttamento del lavoro, verso un aumento delle capacità intellettuali, creative e di lavoro di una massa enorme di individui. La cosa più importante della Direttiva, se va, non è solo – e questo già basterebbe – evitare lo sfruttamento, ma aumentare la qualità della formazione dei giovani europei, che è un bene comune, no? E quindi sì, noi puliremo un po'. Questo lo dovremmo mettere in conto. Una collega francese dei Patrioti in un'audizione ha detto “Guardate che se voi regolate troppo nessuna azienda farà più i tirocini”. Io dico: il rischio c'è, ma in finale saranno regole positive. 

Sorprende che sia stata proprio una deputata francese a fare questa osservazione. La Francia quindici anni fa ha abolito del tutto gli stage extracurriculari, mantenendo solo i curriculari, che peraltro vanno obbligatoriamente pagati con un minimo che deriva da una percentuale dello Smic, il loro salario minimo. Ciò non toglie che in Francia si svolgano ogni anno centinaia di migliaia di tirocini. Quindi questo discorso che l'eurodeputata ha fatto viene smentito non solo dai fatti, ma dai fatti... nel suo stesso Paese!
Un po' tutto quello che dicono i Patrioti qui all’Europarlamento è smentito dai fatti. 

Tra l'altro queste erano le stesse identiche cose che io sentivo anche in Italia quando facevamo la battaglia per far pagare gli extracurriculari: “Non ci sarà più nessuno che vorrà stagisti se obbligate a pagarli!”. E poi in realtà negli anni successivi all'introduzione delle nuove regole c'è stato un aumento del numero degli stage. Quindi non è nemmeno così vero che si rischi una perdita così importante di opportunità a livello numerico. Passando al discorso dell'utilizzare o no la parola “worker”, qual è la sua posizione? 
Noi l'abbiamo messa, ora siamo nella fase delle trattative. Sarà una valutazione politica che faremo insieme, alla fine. Se diventa l'ostacolo, troveremo un altro modo. Nelle audizioni, i sindacati sono stati i primi a dire no. Nei nostri emendamenti c'è sempre apertura: quando si parla di “employment contract” noi diciamo sempre “traineeship agreement” o “traineeship relationship”. Però questo ci sta creando problemi con le destre – che dicono che possiamo normare, sulla base dell'articolo 153, solo i lavoratori. E che quindi i trainees per noi sono fuori scopo, un intervento su di loro non è supportato dai Trattati. Ma i Trattati possono essere interpretati in maniera estensiva o restrittiva. C'è scritto che l'Unione Europea può legiferare per un “miglioramento dell'ambiente di lavoro e delle condizioni di lavoro”: certo, “ad esclusione della retribuzione”, ma dentro il “miglioramento dell'ambiente di lavoro e delle condizioni di lavoro” ci può essere il mondo. 

Quali sono i prossimi step? 
Nella seconda settimana di aprile ci sarà la votazione da noi in Commissione Cultura; poi a giugno quella in Commissione Lavoro. Puntiamo, salvo problemi, a votare in Plenaria nell'ultima seduta prevista a Strasburgo, a luglio, e arrivarci con la votazione finale. A quel punto la Direttiva va al trilogo, cioè al Consiglio e alla Commissione: se l’accettano, durante l'estate diventerà una Direttiva europea. Se il Consiglio la impugna o la vuole modificare, uscirà un ulteriore testo. Se possiamo essere ottimisti, per settembre avremo una Direttiva. 

Come funzionerà la votazione in Plenaria a luglio?
Arriveremo con il testo base. Gli emendamenti saranno tutti stati concordati in Commissione Lavoro. I quattro gruppi maggiori – Ppe, Socialisti, Verdi e Liberali – avranno le proprie liste di voto. In plenaria arriveranno centinaia di altri emendamenti, delle destre e anche della sinistra. Noi in Plenaria – e questo lo voglio dire – voteremo contro anche a ipotesi migliorative rispetto al testo base. Perché se poi passano, si rompe l'accordo e la Direttiva affonda un'altra volta.

Il testo della Direttiva ad oggi, tra le quattro tipologie di tirocinio, indica anche quelli che noi chiamiamo “tirocini per l'accesso alle professioni regolamentate”, per esempio avvocati, notai, commercialisti. In Italia ogni Ordine ha poteri di competenza normativa enormi, e ciascuno si fa la sua legge sul suo tirocinio – il suo “praticantato”. Immagino che la platea italiana delle libere professioni premerà per una esenzione dalle prescrizioni della Direttiva. Però ovviamente questo vorrebbe dire fare questa battaglia e poi dire ai giovani praticanti avvocati, avvocati, commercialisti: a voi la Direttiva non vi protegge. Su questo avete fatto una riflessione? 
Un emendamento c'è, ma non sappiamo se passerà. Dice che gli Stati membri dovranno trasporre i principi di questa direttiva anche su altre tipologie di mercato del lavoro. Ad esempio: uno studio di avvocati non ha dipendenti, ha partite IVA. Quindi se vogliamo imporre delle percentuali massime nei rapporti tra il numero di tirocinanti e il numero di dipendenti, che così vengono identificati nella Direttiva, quella norma non si potrebbe applicare in uno studio di avvocati, che ha tutti collaboratori a partita IVA. Quello che dice il nostro emendamento è che gli Stati membri si dovranno impegnare a trasporre i principi. 

Un'altra domanda con un focus italiano: qualche giorno fa, a un evento di Italia Viva a Roma sugli stage, un segretario confederale della Cisl, Mattia Pirulli, si è espresso pubblicamente contro la Direttiva – per lui proprio non s'ha da fare. Fuoco amico?

Abbiamo audito la Cisl, e sono critici perché vedono il rischio che la regolamentazione di fatto metta il timbro a una forma di lavoro mascherato. Però io continuo a non credere che la soluzione a questo rischio sia la giungla, con conseguente sfruttamento. Consideriamo che la Cisl è anche contro il salario minimo in questo momento, perché lo reputa una cosa che deve andare nella contrattazione sindacale e basta. Ma ci sono delle forme di sfruttamento che non si possono affrontare con le buone intenzioni. L'obiettivo della Direttiva non è certo quello di mettere il timbro sulla precarizzazione del lavoro; è quello di introdurre dei criteri di rispetto e di dignità per questa forma di apprendimento. Devo dire comunque che nell'audizione formale i rappresentanti della Cisl non sono stati così radicali. Abbiamo ricevuto delle prescrizioni, delle indicazioni per andare avanti, come per esempio di non usare la parola “contratto”, o la parola “salario”. 

Ultima domanda: e la Raccomandazione? A marzo dell'anno scorso l'ex commissario Schmit aveva spiegato che alcune cose non potevano finire nella Direttiva e che sarebbero state recuperate nella Raccomandazione. Però negli ultimi quattro mesi tutta la discussione, e anche la nostra intervista di oggi, si basa sulla Direttiva. Che fine ha fatto la Raccomandazione? C'è qualcuno che ci sta lavorando?

Penso che i tempi siano talmente stretti che aspettano tutti la Direttiva. Inoltre la Raccomandazione è nelle mani del Consiglio, non nelle nostre. Questo Consiglio non lo vedo molto propenso ad affrontare questi temi, ma magari mi smentiranno.

intervista di Eleonora Voltolina

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