Scritto il 31 Mag 2024 in Approfondimenti
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La società in cui viviamo, dal punto di vista dell’utilizzo e della distribuzione delle risorse, dei prodotti e dei servizi, è… “giusta”? È sostenibile? Le aziende offrono prodotti e servizi utili e/o di qualità, oppure si preoccupano solo di fare profitto? I cittadini sono tutelati quando vestono i panni dei clienti? E i lavoratori, vengono rispettati dai datori di lavoro?
Anche se “capitale”, “proletariato”, “classe dirigente” sono ormai termini desueti, la riflessione su questi temi è più viva che mai. Da anni ormai è in corso una revisione critica del modello capitalistico, e uno dei risultati più concreti di questa linea di pensiero è l’idea delle “società benefit”, e/o “B-corporation”. Si tratta di «un’evoluzione del concetto stesso di azienda» si legge su Societabenefit.net, sito di informazione su questo movimento (curato da Nativa, che a sua volta è una società benefit attiva in Italia): le aziende che aderiscono a questa filosofia «integrano nel proprio oggetto sociale, oltre agli obiettivi di profitto, lo scopo di avere un impatto positivo sulla società e sulla biosfera».
«Le società benefit possono essere considerate parte di un capitalismo “consapevole”, o “sociale”» conferma alla Repubblica degli Stagisti Elena Crotti, responsabile Relazioni esterne, ESG e impatto di Bene Assicurazioni: «Un modello di business che riflette una crescente consapevolezza delle imprese e degli investitori riguardo all'importanza di considerare non solo gli interessi finanziari, ma anche quelli sociali e ambientali».
Le aziende sono parte di un ecosistema; non possono (continuare a) comportarsi come se quello che fanno, e sopratutto come lo fanno, non avesse un impatto sul mondo circostante – sull’ambiente, sulle persone, sulla società. «Questo nuovo approccio affronta la questione della responsabilità sociale delle imprese in modo più diretto e integrato nel modello di business stesso. Le società benefit infatti vanno oltre il semplice perseguimento del profitto e includono nel loro scopo sociale anche l’obiettivo di avere un impatto positivo sulla società e sull’ambiente, integrando quindi principi di sostenibilità e responsabilità sociale nel loro operato» riflette ancora Crotti: «Ciò significa che, oltre a generare profitti per gli azionisti, le società benefit si impegnano attivamente per affrontare sfide sociali e ambientali e per contribuire al benessere delle comunità in cui operano coinvolgendo tutti gli stakeholder».
Nello specifico, Bene Assicurazioni “nasce” già come società benefit in pectore. «In Bene abbiamo scelto di diventarlo prima ancora di avviare la compagnia» racconta Elena Crotti. Correva l’anno 2016 ed erano in corso gli incontri con l’Organo di Vigilanza IVASS «per discutere le modalità con cui presentare un piano industriale per la nascita della compagnia assicurativa che avevamo intenzione di creare». E proprio in quel periodo il fondatore e attuale amministratore delegato, Andrea Sabìa, aveva letto un articolo sul dorso “Norme&Tributi” del Sole 24 Ore sull’introduzione in Italia di un nuovo statuto societario sancito dalla nuova legge di stabilità: «Quel giorno abbiamo deciso che Bene e le società controllate, che sarebbero diventate poi Fit srl SB e bService scarl SB, avrebbero recepito tutte la denominazione di società benefit».
In concreto, questo vuol dire che la qualifica “SB” è stata inserita da subito negli statuti e nelle ragioni sociali di Fit e bService, ed è stata approvata nell’assemblea dei soci di Bene Assicurazioni qualche anno più tardi, nel 2022: questo perché «in quanto compagnia di assicurazioni, Bene è una realtà vincolata ad assolvere maggiori adempimenti normativi delle altre due società» spiega Crotti: «Abbiamo però lavorato fin da subito ispirandoci ai valori e all’intento che soggiace a questa denominazione, dando priorità all’assolvimento degli obblighi di legge».
Bene impiega in Italia oltre 150 dipendenti, distribuiti appunto sulle sue tre società. Il gruppo fa parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti, offre una generosa indennità mensile a tutti i tirocinanti e, oltre ad assumerne ogni anno oltre tre quarti, ha anche una consistente quota di assunzioni dirette di giovani senza il passaggio intermedio del tirocinio; nel 2023 ha anche vinto l'AwaRdS speciale per il miglior utilizzo del contratto di apprendistato. L’impegno per offrire occupazione di qualità è parte integrante della piattaforma valoriale che Bene persegue, e quindi del suo impegno come società benefit.
Il fenomeno però resta di nicchia: le società benefit italiane sono ad oggi solo 3mila. «Si tratta di un tema ancora poco conosciuto» si rammarica Elena Crotti, ragionando sul fatto che ci sono aziende che ancora non hanno chiare «le peculiarità e gli obblighi di una società benefit». Tra loro, ve ne potrebbero essere alcune che magari stanno valutando la possibilità di divenire società benefit, ma che non hanno «ancora preso una decisione definitiva in merito: diventarlo significa intraprendere un percorso che invita l’azienda a porsi domande e obiettivi sul proprio ruolo e sulla consapevolezza dell’inscindibile legame tra il proprio sviluppo e quello della società, fondando su di esso le proprie strategie».
Tecnicamente, come spiega di nuovo Societabenefit.net, possono diventare società benefit sia le nuove imprese, sia quelle già costituite modificando il proprio statuto. «La modifica dello statuto richiede di norma un voto a maggioranza qualificata di tutti gli azionisti» specifica il sito: «La procedura è identica a quello adottata per qualsiasi altra analoga operazione aziendale con l’aggiunta di una dichiarazione all’oggetto sociale che la società è una società benefit e altre modifiche specificate dalla legge».
Per esempio, nel 2022 Bene Assicurazioni spa ha proceduto a modificare il suo statuto appunto per sancire il passaggio a SB, arricchendolo di una nuova sezione che racchiude le finalità di beneficio comune, suddivise in tre macro aree. «La prima riguarda il nostro core business: il servizio assicurativo» spiega Elena Crotti: «Ci impegniamo a realizzare ottimi prodotti e servizi, completi ma semplici da comprendere, e a sensibilizzare tutti i nostri stakeholder in merito alla cultura assicurativa e al senso etico del fare assicurazione». La seconda macro area raccoglie gli impegni verso i collaboratori, che in Bene sono chiamati “Benefitter”: «In particolare alla cura che intendiamo avere ogni giorno, a 360 gradi, verso ogni persona e verso gli ambienti lavorativi, dalla formazione alla crescita professionale, alla disponibilità di strumenti e uffici che favoriscano la valorizzazione personale e l’inclusione» specifica la manager. Infine la terza macroarea descrive l’interazione di Bene con la “comunità” a partire dalla gestione del Fondo filantropico FarBene «che sostiene progetti di micro-imprenditorialità e formazione in Africa».
Passando dalle dichiarazioni programmatiche alle azioni, questi impegni si trasformano in attività concrete. Per esempio quest’anno, nell'ambito della macro area relativa al servizio assicurativo, Bene ha allargato la sua offerta di prodotti («per assolvere a richieste di protezione specifiche dei nostri clienti») con una polizza viaggi e una polizza animali, e ha avviato sui social un’attività di comunicazione per rendere più chiara verso i clienti finali la terminologia assicurativa, «con l’obiettivo di aumentare la trasparenza dei nostri servizi». Nella seconda macro area trovano posto diversi programmi di formazione dedicati ai dipendenti ma anche iniziative culturali all’interno degli uffici, come il progetto “Arte in Bene” «che promuove ogni anno, ormai da sette anni, l’esposizione temporanea delle opere di artisti contemporanei ed emergenti». Infine con il Fondo FarBene l’azienda supporta iniziative di emancipazione giovanile in Africa: «Quest’anno abbiamo in cantiere l’avvio un nuovo progetto, che va a sommarsi ai nove già in corso» avviati dal 2017 a oggi.
Ma a dire il vero Bene è una delle pochissime società benefit del mondo assicurativo italiano: dalla lista (seppur non integrale) mancano completamente tutti i grandi player. Perché? Probabilmente perché non sono molte in questo campo «le strutture organizzative “snelle”, che permettono rapide approvazioni di nuove disposizioni» risponde Elena Crotti: «difficoltà e lungaggini burocratiche» sono all’ordine del giorno quando le organizzazioni contano molte centinaia o magari migliaia di dipendenti. «Sia l’analisi preliminare alla procedura di modifica dello statuto sia il rispetto e il raggiungimento degli obiettivi definiti per assolvere alle finalità di beneficio comune possono risultare molto onerosi in termini di tempo e di organizzazione della macchina operativa», continua Crotti, «poiché coinvolgono tutte le funzioni aziendali e necessitano di un coordinamento ad hoc che parte dall’individuazione di un responsabile della redazione della relazione di impatto e richiede un allineamento costante con l’alta direzione e le funzioni di comunicazione».
Fresca di approvazione della sua ultima relazione di impatto, Bene è sempre più convinta della scelta fatta: «Siamo ben consapevoli dell’effort che comporta tale impegno, ma siamo altresì convinti e certi della capitale importanza di questo lavoro» chiude Elena Crotti: «È parte della nostra stessa concezione di far impresa».
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