Editoria, contrattacco dei precari sfruttati: con le richieste di risarcimento «cash'n'crash»

Riccardo Saporiti

Riccardo Saporiti

Scritto il 25 Mar 2014 in Articolo 36

«Quando tutto sembra perduto, chiedi indietro i tuoi soldi». Quello della Rete dei redattori precari è molto più di uno slogan: solo lo scorso anno a Milano 15 lavoratori si sono rivolti ai legali di Re.re.pre. dopo che il loro contratto era scaduto e non era stato rinnovato. Risultati? Un'assunzione e parecchi indennizzi.
In gergo giuridico si chiama conciliazione economica, una sorta di valorizzazione del capitale umano. Anche se «noi preferiamo l'espressione Cash'n'crash», spiega Massimo Laratro, uno dei legali della Rete dei redattori precari. «È un concetto che abbiamo coniato negli anni: siccome ci troviamo di fronte ad un'organizzazione del lavoro che non è più permanente, la monetizzazione del rapporto è uno dei modi attraverso i quali una persona sfruttata ed impiegata in maniera legittima va a recuperare quella forma di welfare che non è garantita dallo Stato».
Detto in altre parole: ai collaboratori esterni, quale che sia la formula contrattuale, non vengono versati i contributi nella stessa misura in cui vengono versati ai dipendenti assunti. E magari anche la retribuzione è minore. Così che quando il contratto si interrompe, questa l'idea di Re.re.pre., bisogna «chiedere indietro i soldi». Ovvero dar vita ad una battaglia legale: se si dimostra che, di fatto, l'attività svolta non era diversa da quella delle persone assunte, allora un giudice può ordinare l'inserimento a tempo indeterminato oppure le parti possono concordare il versamento della differenza retributiva e contributiva. In altre parole, «è una sorta di welfare fai da te».
Solo lo scorso anno sono 15 i collaboratori editoriali che hanno sposato la filosofia del “Cash'n'crash”. Persone, 13 donne e due uomini, «che hanno tra i 30 e i 50 anni. E che magari ha lavorato per più di un decennio nel settore dell'editoria, acquisendo così una professionalità. Fino a che non viene sputata fuori». Mondadori, Rcs e Gems: queste le aziende nei confronti delle quali è stato avviato il meccanismo di conciliazione economica. Una persona è arrivata all'assunzione, due hanno la vertenza ancora in corso, dodici hanno ottenuto un indennizzo pari a circa 20 mensilità.
Ora, non esistono regole fisse: «se si arriva all'accordo, lo si fa in via stragiudiziale», ovvero prima di andare a processo. «I canoni di interpretazione sono vari, non esiste una norma che stabilisca un risarcimento». Ma qual è l'interesse delle aziende nel trovare un accordo economico invece di andare di fronte a un giudice? «Perdendo la causa, si troverebbero con un tempo indeterminato in più in organico, un costo per un numero indefinito di anni», spiega Laratro, «ma soprattutto si creerebbe un precedente: se il lavoratore in questione rientrasse, anche gli altri precari capirebbero che il loro contratto è illegittimo». E questo andrebbe a generare due diversi tipi di problemi per la società: «intanto ci sarebbe una cattiva pubblicità. E poi rischierebbero una vera e propria emorragia di cause». L'interesse del lavoratore a trovare un accordo stragiudiziale «c'è se il valore economico della buonuscita è sufficiente a garantire almeno 
un anno di tranquillità». Anche perché «per arrivare a una sentenza a Milano ci vogliono tra i sei e i dieci mesi. E durante questo periodo, a meno che non abbia trovato un'altra occupazione, il lavoratore non vede una lira».

Secondo una stima del collettivo San Precario, prosegue il legale, «a Milano tra Rcs e Mondadori sono circa 300 i lavoratori precari oggetto di espulsione negli ultimi tre anni, persone che sono state costrette a trovare un'altra occupazione oppure ad aprire una partita Iva dopo la scadenza del contratto a progetto». Ma una volta avviata la conciliazione, è possibile trovare lavoro nell'editoria? «Diciamo intanto che stiamo parlando di un settore in profonda crisi, quindi è difficile. Ma il pregiudizio verso chi ha fatto causa è localizzato». Nel senso che «se l'azione è rivolta verso una determinata casa editrice, difficilmente si troverà un impiego nella stessa azienda. Per quanto si tratta di realtà talmente grandi che magari si può lavorare come collaboratore esterno per un'altra realtà dello stesso gruppo. Se invece si va in un'azienda totalmente diversa, non c'è problema». Tutti motivi, sostiene Laratro, per i quali vale la pena di «chiedere indietro i soldi».

L'immagine quadrata è di Andy Ciordia in modalità Creative Commons

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