«Stage al Consiglio dell’Ue, durissimo entrarci per gli italiani: ma vale la pena tentare più volte»

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 14 Mar 2020 in Storie

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Il Consiglio dell'Unione europea offre ogni anno un centinaio di posti per tirocinanti europei con almeno la laurea di primo livello, con un buon rimborso spese: più di 1000 euro mensili. E mette a disposizione anche alcuni posti per studenti senza rimborso spese ma con assicurazione medica e rimborso spese di viaggio. L'avvio degli stage per chi farà domanda entro il 16 marzo, e verrà selezionato, è previsto per settembre 2020. Alessio Foderi, 25 anni, ha partecipato al progetto da febbraio a giugno 2019 e ha raccontato alla Repubblica degli Stagisti la sua esperienza a Bruxelles.

Vengo da un piccolo paese in provincia di Grosseto, dove le opportunità lavorative non sono molte. Finito il liceo linguistico, mi sono trasferito a Pisa per studiare mediazione linguistica, città dove mi sono poi laureato nel luglio 2016. Durante questi anni dedicati alla traduzione e all’interpretariato – in cui ho avuto modo di approfondire la conoscenza di inglese e francese e iniziare a studiare il russo – si è affiancata la passione per il giornalismo. Nata quasi per caso e in maniera molto artigianale fra i microfoni di RadioEco, una delle prime web-radio universitarie, molto conosciuta sul territorio pisano. Lì ho lavorato due anni in maniera volontaria: ho sia condotto come speaker un programma settimanale dedicato all’associazionismo che scritto per il sito di varie tematiche. Mi piaceva talmente tanto questo mondo che ho deciso, subito dopo la laurea triennale, di tentare l’accesso alle scuole di giornalismo. È andato bene il primo tentativo e ad ottobre 2016 ho cominciato il master biennale dell’università Lumsa di Roma,  riconosciuto dall’Ordine dei giornalisti.

A Bruxelles ci sono finito tre anni dopo. Se per molti un tirocinio nelle istituzioni europee è un punto di partenza, per me è stato una sorta di traguardo successivo. Ho sempre sognato di mettere piede nella bolla europea e capire dall’interno come funzionasse. Avevo mandato delle application per i tirocini curricolari in traduzione al momento della laurea triennale, ma non erano andate a buon fine. Così, anni più tardi, ho visto su internet il consueto bando del Consiglio dell’Unione europea e ho deciso di ritentare, questa volta nel settore comunicazione, mentre stavo preparando l’esame da giornalista professionista per l’iscrizione all’Albo. Non bisogna arrendersi, infatti, se la prima domanda non va a buon fine: il processo di selezione per questo tipo di stage è molto duro e soprattutto la competizione per noi italiani aumenta tantissimo, visto che fra gli stati membri siamo in cima alla lista per numero di candidature. Riprovarci è stato positivo perché due mesi dopo ho ricevuto la notizia della preselezione e poi, superato un colloquio telefonico, la conferma che rientravo fra i sessanta tirocinanti del periodo Febbraio-Giugno 2019. Così ho deciso di mollare tutto quello che stavo facendo e, superato lo scritto per l’ammissione all’Albo, sono partito per Bruxelles per questa nuova avventura.

Nonostante per me non fosse la prima esperienza all’estero – avevo già alle spalle un tirocinio a Londra in un’agenzia di traduzione e uno a Parigi nella redazione esteri del quotidiano Libération – e neanche la prima lavorativa, l’entusiasmo di varcare le porte dell’istituzione era moltissimo. Sono stato assegnato all’unità chiamata Organisational Development, relativamente nuova al Segretariato generale che include tre mini-nuclei di lavoro, fra cui l’attività editoriale di internal communication. Il mio ruolo infatti era la scrittura e l’editing di articoli in inglese e francese per l’intranet del Consiglio e la realizzazione di interviste e approfondimenti per un giornale cartaceo diffuso internamente. Ho anche creato e montato video per alcuni canali di comunicazione interni al Consiglio. E oggi  posso tranquillamente dire che questa esperienza è una delle più belle che ho avuto la fortuna di fare.

A Bruxelles, città che ho adorato, non è stato difficile trovare una stanza: la mia era a Botanique, 15 minuti di mezzi da Rue de la Loi, dove si trovano tutte le istituzioni. Né è stato complicato sopravvivere grazie all’assegno riservato ai tirocinanti, che consente tranquillamente di mantenersi senza gravare economicamente per quei mesi sulla famiglia, visto che un affitto medio è di 500-600 euro per una stanza e l’assegno mensile del tirocinio ammonta a 1.150 euro. Una somma che equivale di fatto a uno stipendio italiano. Ecco perché moltissimi connazionali fanno domanda per questi tirocini. L’ambiente del Consiglio, poi, è piccolo e gli stagisti sono molti di meno rispetto alle centinaia di Parlamento e Commissione europea: questo fa sì che ci si conosca tutti, si condividano esperienze e si faccia squadra.

Ricordo il mio primo giorno di stage: di solito viene fatta una presentazione generale di tutto il periodo e poi si viene accompagnati nell’ufficio di competenza. Nel mio caso sono stati tutti gentilissimi, facendomi trovare cartelli di benvenuto davanti al pc e spiegandomi gradualmente il lavoro che avrei fatto.

Ho trovato delle persone stupende, che fin dai primi giorni hanno capito le mie competenze e i miei punti deboli, valorizzato le mie capacità, consentendomi di sviluppare tutta una serie di social skills che in un contesto come quello brussellese sono fondamentali.

Tra i pregi dello stage c’è il fatto che il tirocinante può “modellare”, ed è incoraggiato a farlo, il suo tirocinio con tutta una serie di esperienze complementari, possibilità spesso negata anche da grandi aziende e enti pubblici italiani. Così i compiti assegnati possono essere integrati con esperienze volontarie all’interno del Consiglio: nel mio caso ho seguito i vertici europei sia lavorando per l’ufficio stampa che per i social media. Ho anche partecipato al comitato editoriale di una rivista di monitoraggio think tank su temi specifici. Altro pregio è il lavoro dell’ufficio tirocini che organizza per ogni gruppo di trainees visite in tutte le istituzioni e study trip anche a Strasburgo e Lussemburgo. Insomma, anche se nel mio caso non ero completamente privo di esperienza, ho imparato moltissimo: le persone che ho incontrato mi hanno sempre dato un feedback, un consiglio e un aiuto. Credo poi che ogni funzionario europeo ha la sua storia e questa possa essere un’ispirazione per il futuro di chiunque si affacci in quella bolla. È veramente difficile trovare un difetto a questa esperienza.

Finito il tirocinio sono tornato in Italia e sono stato richiamato da Skytg24, testata dove avevo svolto i due stage obbligatori della mia scuola di giornalismo. Qui ho avuto un tempo determinato durante i mesi estivi e dopo ho deciso di restare a Milano, dove al momento lavoro come giornalista freelance, collaborando con varie testate online. Sono in contatto con vari colleghi rimasti a Bruxelles che adesso lavorano quasi tutti, anche perché il programma è molto orientato alla ricerca di un lavoro successivo. Quello che ho tratto dall’esperienza europea è sicuramente la flessibilità di adattarsi, la capacità di reinventarsi e la necessità di condividere.

Tutte queste nozioni state utili anche alla mia professione e soprattutto a un giornalista in erba. Chi vuole fare questo mestiere oggi spesso non si rende conto di due aspetti: i cambiamenti velocissimi della società (con relativi rischi e opportunità) e le infinite applicazioni di questa professione in altri ambiti. Non bisogna cristallizzarsi alla figura nuda e cruda che si ha in testa, ma essere mentalmente aperti ad adattarsi e sfruttare le applicazioni delle proprie competenze. Stando nella bolla ho visto molti giornalisti lavorare in contesti molto stimolanti e sicuramente diversi da quelli dell’immaginario collettivo. Il giornalismo è profondamente in evoluzione e solo cercando di accompagnare questo movimento si può riuscire a raggiungere i propri obiettivi.

Avendo fatto molti stage in Italia credo che la maggior differenza con l’estero sia la considerazione dello stagista: fuori dai nostri confini chi svolge uno stage di qualsiasi tipo viene visto come una risorsa, apprezzato, integrato e valorizzato. Spesso da noi, invece, non è così e lo stagista viene confinato a mansioni per le quali è svalutato, sottopagato (quando è pagato) e sovra-qualificato. Insomma la fiducia è forse la parola chiave e il più grande vulnus italiano. Sono consapevole che un tirocinio nelle istituzioni è forse un’esperienza talmente bella che può esser considerata un’eccezione, ma la regola dovrebbe essere cercare di cogliere nella persona –nuova risorsa che raggiunge una squadra già esistente – tutte le sue qualità, migliorarle e farla crescere professionalmente.

Quindi se uno stage al Consiglio Ue è tra i vostri desideri, continuate a provare a far domanda. E ricordate che è fondamentale parlare bene inglese, meglio anche il francese, sapersi mettere in gioco e in discussione e avere un ottimo spirito di iniziativa. Sarete poi avvantaggiati se avete già studiato o lavorato all’estero.

Questa esperienza ha arricchito il mio bagaglio dal punto di vista umano: ho imparato come bisogna muoversi in un contesto pubblico, istituzionale e multiculturale. Per questo raccontarla su la Repubblica degli Stagisti, testata che conosco da molto tempo e dove ho letto varie storie ed esperienze, è un vero piacere. Credo che la sua utilità sia appunto lo scambio di informazioni e l’ispirazione che ognuno può trarre da storie altrui.

Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

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