Entro il prossimo 28 giugno il Parlamento potrebbe dare il via libero definitivo alla riforma del mercato lavoro. La nuova deadline è stata resa nota da Gianfranco Fini, presidente della Camera - dove il disegno di legge è arrivato a fine maggio dopo essere stato approvato dal Senato. Rispetto al testo originario presentato dal ministro Fornero lo scorso 4 aprile, quello giunto a Montecitorio contiene tuttavia novità importanti (e non sempre positive) anche per quanto riguarda le partite Iva, gli associati in partecipazione e i lavoratori in somministrazione. Tipologie utilizzate nella maggior parte dei casi per inquadrare i lavoratori più giovani.
Autonomi. Per quanto riguarda il variegato universo degli autonomi, nelle scorse settimane la Repubblica degli Stagisti aveva calcolato in circa 350mila i potenziali destinatari della riforma. Un esercito di “false partite Iva” che a distanza di un anno dall’entrata in vigore della legge avrebbero potuto o trasformarsi in collaboratori coordinati e continuativi per i rispettivi committenti o, nelle ipotesi peggiori, vedere interrotti molti degli attuali rapporti di lavoro. Ma nella nuova formulazione il ddl Fornero propone una versione assai depotenziata dell’originario art. 9. Intanto perché restringe - seppure di poco - due dei tre requisiti necessari per individuare il falso autonomo. Ferma restando la condizione della postazione fissa presso la sede del committente, la durata massima della collaborazione per uno stesso datore di lavoro si allunga infatti da 6 a 8 mesi nel corso dell’anno solare. Anche il tetto delle fatture emesse dal collaboratore ad uno stesso soggetto viene ritoccata al rialzo, passando dal 75% all’80% del totale dei corrispettivi annuali. Le novità più significative si leggono tuttavia ai commi 2 e 3 del nuovo articolo 69bis della legge 276/2003 introdotto dal ddl, dove si elencano tutta una serie di casi di esclusione dal campo di applicazione della norma. Anzitutto si stabilisce una nuova soglia di reddito, fissata in circa 18mila euro lordi annuali (circa 800 euro netti mensili), al di sopra dei quali l’autonomo sarà in ogni caso considerato “autentico” per la legge. Insieme a questi professionisti, considerati autenticamente liberi benché sulla soglia della povertà, si ribadisce poi la parziale esenzione degli appartenenti agli ordini professionali per quanto riguarda lo svolgimento delle prestazioni per le quali è indispensabile essere iscritti «ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali». Un passaggio che aveva già suscitato le critiche di molte associazioni di professionisti, che lamentavano l’oggettiva difficoltà nel distinguere tra attività svolte in qualità iscritti o di non iscritti ad un determinato ordine professionale. Il governo sembra in effetti aver preso atto del problema, affidando ad un decreto del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali l’arduo compito di definire - entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge - un elenco puntuale delle attività soggette alle nuove disposizioni.
In attesa di capire in quanti e quali casi le professioni regolamente saranno esentate, il perimetro della riforma si restringe ulteriormente se si considera il passaggio relativo a quelle prestazioni connotate «da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività». Con questa generica formula il dispositivo lascia presupporre un'esclusione dal nuovo regime della totalità dei prestatori di lavoro intellettuale, dal momento che una "formazione significativa” e una "esperienza rilevante” rappresentano due requisiti basilari per avviare qualsiasi collaborazione di questo tipo. Se, com’è possibile, il testo verrà approvato in questa forma anche dalla Camera sarà dunque piuttosto difficile parlare di un'autentica riforma del lavoro autonomo. In questo ambito la legge Fornero si limiterebbe di fatto a sanare la posizione di alcune migliaia di lavoratori inquadrati come autonomi per svolgere mansioni meramente esecutive e ripetitive, come nei casi limite dell’edilizia e del commercio.
Associati in partecipazione. Proprio sul fronte del commercio il testo uscito da palazzo Madama conferma le modifiche peggiorative già apportate alla disciplina del contratto di associazione in partecipazione nella traduzione delle linee guida in ddl. Diffuso soprattutto tra commesse e commessi impiegati nelle attività commerciali, l’istituto è oggi uno dei più convenienti per la parte datoriale e in assoluto uno dei più rischiosi per il lavoratore. Che con questa formula partecipa agli utili ma anche alle eventuali perdite dell’impresa, pur svolgendo il lavoro tipico di un dipendente, per il quale percepisce mediamente anche un compenso inferiore. Dall’iniziale volontà di abolire l’istituto, si è infine optato per una restrizione ad un massimo di tre associati per impresa, esclusi i coniugi, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado dell’imprenditore. A vantaggio del lavoratore il ddl introduce tuttavia una sanzione più severa per il datore che utilizza impropriamente questo contratto: in caso sia accertata la violazione, l’associato si trasformerà d’ora in avanti in un dipendente a tempo indeterminato.
Lavoratori in somministrazione. Sul fronte della somministrazione, la prima novità introdotta al Senato riguarda il raddoppio, da sei mesi ad un anno, della durata del primo contratto a tempo determinato stipulato in assenza di causale, senza cioè la necessità di indicare le ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive con cui l'impresa è sempre tenuta a giustificare l’apposizione di un termine al rapporto di lavoro. La norma riguarda anche la prima missione (a termine) svolta dal lavoratore in somministrazione, incentivando così imprese e agenzie per il lavoro a stipulare nuovi contratti a tempo. Il governo non ha invece fatto sconti sulla richiesta avanzata da Assolavoro di esentare gli interinali dal costo aggiuntivo dell'1,4% che a partire dal 2013 si applicherà a tutti i contratti di durata prefissata, somministrati inclusi. Nulla di fatto anche per quanto riguarda la richiesta dell'associazione che riunisce le agenzie interinali di non computare i rapporti a tempo svolti in somministrazione nella somma dei 36 mesi oltre i quali il contratto a termine stipulato con lo stesso datore di lavoro si trasforma automaticamente in tempo indeterminato. L'ultima importante novità riguarda infine l'apprendistato in somministrazione: una tipologia contrattuale molto discussa, che nei mesi scorsi aveva spaccato il sindacato tra favorevoli (Cisl e Uil) e contrari (Cgil) alla possibilità di svolgere in questa forma i tre anni formazione-lavoro. Con una modifica dell'ultim'ora, la riforma blocca sul nascere la possibilità di impiegare apprendisti in somministrazione a tempo determinato.
Ilaria Costantini
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