Rimborso spese al «netto» o al «lordo»? Come funziona la trattenuta Irpef per gli stagisti

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 05 Ott 2012 in Interviste

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A luglio di quest’anno il comune di Napoli ha finalmente pagato il rimborso spese agli stagisti del programma Tirocini formativi per l’occupazione 2010-2011. La Repubblica degli Stagisti da tempo seguiva la vicenda di questi 49 ex tirocinanti che, secondo bando, avrebbero dovuto ricevere 2mila euro per i cinque mesi di training on the job passati negli uffici comunali. E che per ottenere quel che gli spettava hanno dovuto pazientare oltre un anno. Tutto è bene quel che finisce bene? Non proprio. Perché è sopraggiunto un altro problema: come segnalato sul forum della RdS, il rimborso spese è stato tassato al 23% e quindi i ragazzi hanno ricevuto solo 1540 euro nonostante molti di loro fossero privi di altri redditi, e dunque pienamente nella "no tax area".

La Repubblica degli Stagisti ha quindi contattato l’Agenzia delle entrate  per capire se la procedura applicata, non solo a questo tirocinio ma a molti altri, è giusta. Purtroppo non è stato possibile parlare direttamente con un funzionario: l'intervista che segue dunque è il risultato dei quesiti inviati all'ufficio stampa, che a sua volta li ha girati internamente per ottenere risposte, e della rielaborazione di queste risposte con integrazioni scaturite da successive richieste di chiarimento, sempre mediate dalla portavoce Antonella Gorret. Una modalità di approfondimento giornalistico non proprio ottimale: ma il risultato contiene comunque informazioni rilevanti per tutti coloro che fanno o faranno uno stage, percependo un emolumento, e che sono interessati a capire come esso funziona dal punto di vista fiscale.  

Innanzi tutto qual è la soglia limite di reddito sotto la quale non c’è la trattenuta Irpef?

In linea generale, in mancanza di altri redditi, non è dovuta l’Irpef sui redditi da lavoro dipendente e assimilato, tra cui le borse di studio, qualora non si superi la soglia di 8mila euro: quel che si dice la "no tax area". Poiché un datore di lavoro non può sapere se il contribuente ha altri redditi, il sostituto d’imposta è tenuto a operare e a versare le ritenute a titolo di acconto dell’Irpef dovuta. La ritenuta è calcolata applicando l’aliquota più bassa, il 23%, qualora la retribuzione annua non superi 15mila euro e tenendo conto delle previste detrazioni per lavoro dipendente.

Partiamo da un caso specifico: alcuni ex tirocinanti del Comune di Napoli hanno ricevuto – peraltro con un anno e mezzo di ritardo – un rimborso spese decurtato del 23% per ritenute Irpef, per un tirocinio per il quale era prevista una indennità forfettaria di 2mila euro, malgrado molti di questi ex stagisti fossero neolaureati, quindi senza reddito. Il Comune si è comportato in maniera corretta?
Allora: all'interno del territorio comunale indennità e rimborsi spese sono tassabili per intero . Il trattamento fiscale delle trasferte invece è il seguente: il rimborso forfettario è imponibile solo per la parte eccedente 46,48 euro, al netto delle spese di viaggio e trasporto e il limite è ridotto di un terzo o due terzi se alloggio e vitto sono forniti gratuitamente; il rimborso analitico, quindi delle spese di viaggio, trasporto, vitto e alloggio documentate, non è imponibile. Il datore di lavoro dovrebbe applicare le ritenute solo se gli emolumenti sono imponibili, mentre, in caso di “rimborso spese” non imponibili, le ritenute non andrebbero proprio fatte. In quest’ultimo caso, datore di lavoro che per errore applica le ritenute, in presenza di soli redditi esenti, per il recupero delle ritenute erroneamente subite si deve necessariamente presentare istanza cartacea di rimborso all'Agenzia delle Entrate.

Ma nella terminologia ormai comunemente usata il rimborso forfettario è usato come sinonimo di “compenso”, “emolumento”, “indennità” e i commercialisti sostengono che a livello fiscale esso sia assimilabile a una borsa di studio/lavoro. Mentre dalla risposta sembrerebbe quasi che il rimborso forfettario sia un ibrido tra il rimborso a piè di lista e la borsa di studio, indicata nella riforma Fornero come "indennità". È così? Esistono quindi tre tipi di rimborsi e tre comportamenti diversi da attuare?

È vero, nel linguaggio comune spesso si parla di “rimborso spese” anche in presenza di “borsa di studio/lavoro”, utilizzando le due espressioni per identificare il medesimo fenomeno. I rimborsi in senso stretto, invece, danno luogo a diversi trattamenti fiscali: per le trasferte nel territorio comunale l’indennità e i rimborsi spese sono tassabili per intero, salvo i rimborsi per le spese di trasporto documentate, come ricevute di taxi e biglietti di autobus; per le trasferte fuori dal territorio comunale è necessario operare un’altra distinzione tra il rimborso forfettario e il rimborso analitico o a piè di lista.

Come si spiega la differenza tra lordo e netto, e in particolare, che molte aziende private effettuando i calcoli corrispondano ai propri stagisti un rimborso mensile forfettario netto pari al lordo, poiché già sanno con ragionevole certezza che lo stagista si terrà sotto il limite della "no tax area" rispetto al reddito, mentre le amministrazioni pubbliche decurtano anche le indennità più basse, pur sapendo che al 99,9% i beneficiari non supereranno il limite e dunque andranno a credito?

Premesso che normativamente non vi sono, sul punto, diversità di trattamento tra aziende private e amministrazioni pubbliche, non è da escludere che taluni soggetti applichino erroneamente la normativa tributaria, conteggiando le ritenute anche quando non dovrebbero.

Come vengono gestiti i rimborsi dell’Irpef destinati ai tirocinanti? E cosa si deve fare per ottenere il riaccredito delle somme erroneamente detratte?

I rimborsi Irpef destinati ai tirocinanti non vengono, né potrebbero, essere gestiti con modalità diverse rispetto a quelle previste per la generalità dei contribuenti. Il rimborso può essere richiesto presentando il modello 730, l'Unico o con un’istanza cartacea all’Agenzia delle Entrate. Il modello 730 è il modo più semplice e veloce, ma è riservato solo a chi ha un reddito imponibile di lavoro dipendente o assimilato. Si presenta al datore di lavoro entro il 30 aprile o al CAF o a un professionista abilitato, entro il 31 maggio. Nel caso in cui non esista un datore di lavoro, in presenza di altri redditi tassabili, occorre presentare il modello Unico. Si può utilizzare il modello reso disponibile gratuitamente sul sito dell’Agenzia oppure utilizzare software e pubblicazioni in commercio. Deve essere trasmesso telematicamente all’Agenzia delle Entrate, entro il 30 settembre, direttamente dal contribuente o avvalendosi d’intermediari abilitati, professionisti o CAF. Entro l’anno successivo, l’Agenzia delle Entrate esegue il controllo automatizzato delle dichiarazioni e se le somme non eccedono un certo limite d’importo, dispone automaticamente il rimborso a favore del contribuente. Se, invece, l’importo del rimborso supera i 5mila euro, la richiesta di rimborso viene controllata dalle strutture territoriali dell’Agenzia.

Per chi non abbia reddito, perché ancora in cerca di lavoro, c’è un modo per recuperare le trattenute Irpef che non erano dovute?

L’unico modo è presentare una domanda cartacea all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente, in base alla propria residenza. La domanda, in carta semplice, va presentata entro 48 mesi dalla data in cui sono state subite. Non serve un modello specifico, ma è necessario spiegare con precisione i motivi della domanda e quantificare il rimborso richiesto. È utile allegare i documenti che dimostrano la bontà delle ragioni esposte nella domanda stessa. Il rimborso può essere erogato in tre modi: attraverso accredito sul conto corrente, ma il contribuente deve fornire in tempo utile all’Agenzia delle Entrate le proprie coordinate IBAN; in contanti presso gli uffici postali nel caso in cui il contribuente non fornisca le coordinate bancarie e il rimborso sia inferiore a mille euro; con un vaglia cambiario spedito dalla Banca d’Italia con una raccomandata nel caso in cui il rimborso sia pari o superiore a mille euro.

Perché deve essere il richiedente a quantificare il rimborso? È danneggiato, in quanto ha subito una trattenuta maggiore del dovuto: non sarebbe corretto che fosse l’Agenzia delle Entrate, che ha i dati dei redditi di ciascuno, a quantificare la somma evitando che il richiedente sbagli i calcoli o si scoraggi e non richieda quanto gli spetta?

I rimborsi tributari sono disciplinati specificamente dalle singole normative delle diverse imposte, che regolano le modalità e i termini per le procedure di rimborso. Nel nostro sistema tributario, di norma, è il creditore d’imposta-soggetto passivo a dover attivare, entro termini decadenziali, la procedura di rimborso, specificando l’importo richiesto. In tali ipotesi l’Agenzia non può procedere d’ufficio, di propria iniziativa.

Quali sono in media i tempi di recupero della somma versata?

Molto brevi se si usa il modello 730, se ci sono i presupposti. Le altre due modalità, modello Unico o istanza all’ufficio, richiedono tempi più lunghi, anche se negli ultimi anni siamo riusciti a ridurli: ora bisogna aspettare al massimo un anno e mezzo, necessario per verificare che effettivamente il rimborso sia dovuto. Si tratta di soldi pubblici per cui va prestata la massima attenzione.

Ma per evitare a monte tutti questi problemi, un giovane che inizi uno stage non potrebbe fare un'autocertificazione al suo datore di lavoro attestando di non aver percepito altri redditi nei mesi precedenti e di non prevedere di averne fino alla fine dell'anno?

No, la normativa non prevede tale possibilità.

Marianna Lepore


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