White jobs, uno dei (pochi) settori in cui l'occupazione è in crescita

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 08 Gen 2015 in Approfondimenti

In tempi di forte crisi occupazionale ci sono dei lavori che negli ultimi anni sono cresciuti in termini di nuovi occupati e che promettono di farlo anche per i prossimi anni. Si tratta dei così detti white jobs, cioè tutti quei lavori che rientrano in questa grande macro categoria che comprende i lavoratori nei servizi sanitari, sociali e alla persona. Non necessariamente quindi solo medici, ma soprattutto figure di assistenza alle persone, dalla cura dei bambini a quella degli anziani e dei disabili.

Un recente rapporto di Italia Lavoro intitolato «Le prospettive di sviluppo dei white jobs in Italia» ha messo in evidenza i numeri di questo settore. E per una volta si può dire che siano dati “impressionanti” - ma in positivo. Dal 2000 ad oggi c’è stata una crescita degli occupati in questo settore di oltre il 70% con 2 milioni e mezzo di persone che oggi lavorano in questo campo e che hanno, nove su dieci, un contratto a tempo indeterminato. E tra questi lavoratori il livello d’istruzione è decisamente superiore a quello complessivo visto che quattro su dieci sono diplomati e poco meno hanno la laurea.

«I white jobs rappresentano una componente importante del nostro sistema economico: producono 98 miliardi di valore aggiunto che è cresciuto dal 2000 al 2011 del 21%, a fronte del 4,5 della media di tutti i settori economici» spiega Paolo Reboani, presidente di Italia Lavoro, illustrando il rapporto. E i valori positivi ci sono anche nel periodo della crisi iniziato nel 2008, quando in confronto a una flessione delle attività economiche, questo settore vede un aumento poco al di sotto del 4%.

«Negli ultimi dieci anni il numero delle cooperative sociali è raddoppiato passando da meno di 6mila a quasi 12mila imprese attive, così come il numero dei lavoratori occupati che ha registrato un aumento del 17,3% in quattro anni» spiega alla Repubblica degli Stagisti Cristina Bazzini, presidente del gruppo cooperativo Colser-Auroradomus, con una lunga carriera nel campo delle cooperative - è diventata presidente del gruppo Colser a soli 27 anni e oggi guida oltre 5mila tra soci e dipendenti con un fatturato di 130 milioni di euro. La Bazzini sottolinea che i dati sulle possibilità occupazionali del settore sono «assolutamente in controtendenza rispetto a quelli che siamo abituati a registrare in questi lunghi anni di crisi», e il trend continuerà così: «è una crescita che non ha espresso ancora tutto il suo potenziale».

Il totale occupati italiano in questo settore è in effetti ancora lontano dai numeri di Francia e Regno Unito, tanto che anche il rapporto di Italia Lavoro assicura che il numero dei lavoratori nel settore dei white jobs «potrebbe aumentare da 2,5 milioni del 2012 a circa  tre milioni del 2020, grazie soprattutto alla componente femminile, che inizia a diventare maggioritaria anche nella professione tradizionalmente più maschilizzata dei medici», come scrive Reboani nell’introduzione al rapporto. Dunque non solo più occupazione ma più opportunità anche per le donne, spesso e volentieri ai margini del mercato del lavoro.

Ma per far ripartire il mercato del lavoro e soprattutto questo settore servono delle risorse aggiuntive a quelle pubbliche. «Il riconoscimento legislativo delle cooperative sociali di una specificità giuridica propria che conferisce “dignità d’impresa” alle attività di solidarietà sociale ha rappresentato un passaggio fondamentale. A questo si sono accompagnate agevolazioni di carattere fiscale e contributivo che fanno interagire la natura di ente senza scopo di lucro e la natura mutualistica e cooperativa» spiega alla Repubblica degli Stagisti Cristina Bazzini. «Ma l’economia sociale potrà liberare il proprio potenziale solo a condizione che ci sia uno scatto in avanti sul potenziamento delle politiche di welfare e delle politiche attive per l’occupazione». In questo senso l’auspicio è che il Governo e l’Europa cambino il ruolo dei finanziamenti destinati alle politiche sociali «considerandoli investimenti, non spesa».

Nel campo delle risorse aggiuntive all’estero, specie in Francia, si è deciso di affidarsi ai voucher, un’ipotesi che è stata presa in considerazione anche in Italia. E infatti sia al Senato sia alla Camera è stata presentata da parlamentari di differenti gruppi politici una proposta di legge per l’istituzione del voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia, che si ispira proprio al modello francese. Il voucher avrebbe lo scopo di raggiungere contemporaneamente tre obiettivi: «La riduzione del costo dei servizi, la loro qualificazione e l’emersione del lavoro nero, così diffuso in questo settore, anche per recuperare risorse aggiuntive e maggior gettito fiscale e contributivo» riassume Reboani. La proposta di legge ha poi anche l’obiettivo di costruire un sistema di servizi alla persona di qualità e con costi sostenibili proprio per facilitare la conciliazione tra vita privata e lavoro e soprattutto contribuire alla crescita dell’occupazione femminile.

A chi sostiene che un provvedimento del genere andrebbe a gravare troppo sulle spalle dello Stato è il rapporto a snocciolare numeri per dimostrare la compatibilità finanziaria di queste misure, riportando le conclusioni di una ricerca condotta dal Censis che mostra come l’impatto economico dell’istituzione del voucher universale – valutando tutti i benefici dell’emersione del lavoro nero e dell’occupazione aggiuntiva – sarebbe sostenibile con un saldo per lo Stato al di sotto di 300 milioni di euro. Una cifra che sembra alta ma che consentirebbe «315mila nuovi occupati, emersione del lavoro nero per 326mila unità e il passaggio dei lavoratori beneficiari del welfare aziendale da 127mila a 858mila».

Sul voucher, però, la Bazzini è prudente: «Va meglio strutturato e combinato con un’adeguata politica fiscale di detrazioni e deduzioni che premino le famiglie che curano: potrebbe dimostrarsi uno strumento interessante e utile se venisse promosso il legame tra il denaro assegnato, il bisogno effettivo e la prestazione del servizio in modo da superare la tendenza tutta italiana di risolvere in forma individualistica i problemi, vivendo la formula del voucher come compensazione o elemento risarcitorio della sofferenza».

I white jobs, dunque, portano occupazione e danno un contributo al sistema economico generale non indifferente, di quasi 98 milioni di euro solo in Italia, pari al 7% del prodotto complessivo del Paese. «Con il coinvolgimento di oltre 40mila soci volontari le imprese sociali contribuiscono per il 38% al saldo occupazionale complessivo in Italia» ricorda Cristina Bazzini, ma il settore ha anche le sue ombre, come il problema dei finanziamenti sempre più esigui. «Ci troviamo di fronte a una cooperazione sociale capace di fare impresa con risorse marginali e con investimenti sobri, impiegando prevalentemente le donne con contratti a tempo indeterminato e con una base sociale mediamente giovane e che investe in formazione per aumentare la propria competitività». Certo non sono tempi facilissimi nemmeno per il terzo settore, soprattutto perché non si può fare perno su quello che spesso viene definito il “terzo pagatore”, ovvero lo Stato. Perciò la cooperazione sociale deve investire in innovazione e cercare nuove relazioni e collaborazioni.

Ma nonostante i tempi non semplici, quello della cooperazione sembra essere un campo in cui ancora trovare lavoro e riuscire a realizzarsi. «La mia è stata una vera e propria avventura imprenditoriale nel mondo della cooperazione, sia nel settore dei servizi alle imprese sia in quello social» ricorda la Bazzini, «ma era un periodo storico molto distante da quello che stiamo vivendo. Questa però è un’avventura che qualsiasi giovane può intraprendere se alla base c’è passione, un’ampia visione, molta curiosità e la condivisione di una mission».

Insomma, se si hanno queste caratteristiche conviene provarci, non solo perché come dice la presidente Colser «il futuro è tutto da conquistare», ma anche perché il futuro è ricco di problematiche, di assistenza, educazione, sostegno, che in qualche modo riguarderanno soprattutto i giovani di oggi. E il modo migliore per rispondere potrebbe essere proprio dal di dentro, facendo parte di questo settore.

Marianna Lepore

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