Tribook, la startup che aiuta le librerie indipendenti

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 29 Giu 2015 in Approfondimenti

stage lavoro startupperCostruire grazie al connubio tra rete internet e iniziative offline una «tribù» intorno alle librerie di quartiere: nasce da questa idea Tribook, la start up milanese di Michela Gualtieri e Brian Suarez, 30 e 28 anni, che la Repubblica degli Stagisti ha avuto modo di incontrare durante l’ultimo Salone del libro, a Torino, nell’area dedicata alle start up, Book to the future

Una start up che crea iniziative social e che sensibilizza verso la scelta dei servizi offerti dalle librerie indipendenti, ma che non dimentica di creare anche una serie di iniziative per riportare – fisicamente – i clienti in libreria. «Tribook è un progetto a cui stiamo lavorando da un anno: è stato sviluppato nell’ambito del percorso Dr. Startupper, promosso dall’università Cattolica e dalla Camera di commercio di Milano tra il novembre 2013 e il marzo 2014, risultando tra i tre progetti premiati come i più promettenti dalla giuria finale. All’epoca stavo sviluppando da sola l’idea», spiega Michela Gualtieri alla Repubblica degli Stagisti, «e mi ero rivolta a Brian, che conoscevo già, per avere una consulenza tecnica. A lui il progetto è piaciuto e abbiamo cominciato a lavorarci insieme. Poi nel settembre 2014 è stata costituita la società e ora stiamo mettendo online la versione beta». E recentemente ai due co-founder si è aggiunta la collaborazione di Samuele Macchi, anche lui sviluppatore.

«È una piattaforma per le librerie indipendenti di Milano, ma stiamo studiando un modello che sarà poi esportabile anche in altri contesti urbani. Al momento ne fanno parte sette librerie che pagano a Tribook una percentuale sulle vendite effettuate tramite la piattaforma». Materialmente il lettore che si registra sul portale può consultare il catalogo online di tutte le librerie aderenti al circuito, «localizzare sulla mappa quella più vicina che dispone del libro di suo interesse, acquistarlo online» e poi ritirarlo direttamente in libreria o se preferisce, «farselo recapitare da un corriere in bicicletta, della società Milan Bike. Quindi è una soluzione rapida, ecologica, a sostegno delle realtà locali che un po’ ridisegna il modello dell’ecommerce del libro», spiega entusiasta Michela Gualtieri, che è arrivata a sviluppare una startup in questo settore innanzitutto perché è un’appassionata lettrice. In secondo luogo, aveva competenze in ambito editoriale dopo aver frequentato un master in editoria all’università Cattolica. E infine perché sentiva in prima persona il bisogno di trovare facilmente sul territorio i libri che cercava e grazie al master per startupper ha acquisito una serie di competenze manageriali e di business che sono stati necessari proprio per creare Tribook.

Tribook vorrebbe anche riportare in auge le librerie indipendenti: «Sono realtà spesso storiche con decenni di esperienza alle spalle, con un’attenta costruzione del catalogo, che decidono di coltivare determinate nicchie e restano un po’ indietro rispetto ai nuovi bisogni dei lettori che vengono invece soddisfatti dai grandi megastore o dalle librerie online», spiega la startupper. Che sottolinea come, però, ci sia negli ultimi tempi una tendenza a rivalutare proprio queste realtà locali. Un esempio viene dal Regno Unito, dove le grandi catene stanno affidando «la gestione di singoli punti vendita a dei librai che hanno un’esperienza di libreria indipendente e stanno diventando sempre più caratterizzate rispetto al territorio, perché è questo che vuole il lettore oggi».

A Salone del libro concluso, l’obiettivo di Tribook è quello di crescere sia a livello di circuito di librerie che di utenti, magari trovando tra i tanti contatti avviati in quell’occasione anche nuovi finanziatori. Perché pur essendo una srl semplificata e usufruendo di un regime agevolato rispetto alle società più grandi «sosteniamo comunque delle spese che secondo me sono un po’ sproporzionate rispetto a quello che è effettivamente l’impegno necessario a gestire le nostre finanze. Se dovessimo chiedere qualcosa al governo, sarebbe allora cercare di ridurre ulteriormente queste spese di amministrazione per società a capitali ridotti come la nostra», dice la Gualtieri: «Le tasse che una srls deve pagare sono le stesse di una srl normale e questo mi sembra un paradosso» spiega la startupper, «considerando che il capitale sociale necessario a costituirla va da 1 a 9.999 euro. L'unica agevolazione è data dall'abbattimento dei costi di apertura della società: non è poco, ma poi se deve pagare tutte quelle tasse è difficile sopravvivere».

Certo, c'è anche l'alternativa di iscriversi al registro delle startup innovative, che hanno altre agevolazioni ma anche molti vincoli forti come quello di non dividere gli utili per quattro anni. Una soluzione che la startupper definisce praticabile «solo per quanti hanno trovato finanziatori e i cui fondatori possono ritagliarsi uno stipendio».

Adesso la priorità per Tribook è tutta per la versione beta, operativa da pochi giorni, che consente di avere informazioni che aiutano a migliorare il servizio. E si porta a casa un altro traguardo importante: la selezione per la seconda fase del progetto Innovazione culturale della Fondazione Cariplo che sostiene «quelle pratiche utili e replicabili in grado di generare un impatto significativo nei modi di vivere e condividere cultura e valorizzare il patrimonio storico artistico del nostro Paese». 

Nei prossimi tre mesi «saremo impegnati in un laboratorio residenziale che ci aiuterà a mettere a punto il progetto per renderlo efficace sul mercato», dice Michela Gualteri sottolineando con una punta di orgoglio che «i progetti selezionati per la fase di accompagnamento sono 12 su un totale di 259 candidature: una bella soddisfazione!». Anche perché la terza fase prevede l’erogazione di un finanziamento a fondo perduto per un valore massimo di 150mila euro.

Se al momento Tribook impegna il 50% del tempo di Suarez, Macchi e Gualtieri, permettendo loro di affiancare a questo altri lavori, l’obiettivo è farlo diventare in futuro l’unico propria fonte di reddito. Rimanendo però con i piedi per terra, perché da queste parti alla «retorica delle start up come soluzione alla disoccupazione» non ci si crede. «Non tutti possono fare gli imprenditori ed è giusto che sia così. Certo in un momento di crisi come questo è intelligente non stare con le mani in mano e diventare imprenditori di se stessi, reinventandosi tutti i giorni e guardando al mondo del lavoro in maniera creativa. Ma bisogna analizzare le proprie competenze e le proprie aspettative anche lavorative e saperle interpretare sulla base di quello che il mercato offre».

Non è così facile. Michela Gualtieri offre un suo suggerimento: analizzare le aziende, cercare quelle che fanno qualcosa che «ci piace», individuare i bisogni di questa impresa e proporsi in maniera da soddisfarlo. Ricordandosi che «alla fine le aziende cercano persone innamorate di quello che loro fanno».  Su un punto è sicura: «Diffondere l’idea che bisogna fare lo startupper per forza è sbagliato perché poi si vanno a creare delle bolle che scoppiano e tutte queste realtà che vengono finanziate falliscono senza produrre valore».

Marianna Lepore

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