Garanzia Giovani, troppi tirocini e pochi sbocchi professionali: più della metà si ritrova al punto di partenza

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 29 Dic 2016 in Notizie

Cgil Crescere in digitale Garanzia giovani sindacato

I Neet sono oggi in Italia 2 milioni e 279mila. Quando partì Garanzia Giovani «erano 2 milioni e 250mila, quindi 20mila in più». A fornire il dato è Andrea Brunetti, responsabile Politiche giovanili del principale sindacato italiano, la Cgil [nella foto sotto], a un incontro convocato appena prima di Natale per riflettere sui tirocini in Italia e in Europa e il futuro di Garanzia giovani.

Presenti tanti esperti del mondo del lavoro: da Corrado Brachetti, coordinatore del mercato del lavoro della Cgil, a Cesare Damiano, già ministro del lavoro e oggi presidente della commissione Lavoro alla Camera; e poi Eleonora Voltolina, direttrice della Repubblica degli Stagisti, Anna Teselli, ricercatrice della Fondazione Di Vittorio, Diego Ciulli, policy manager di Google, e Claudio Treves del Nidil Cgil, solo per citarne alcuni.

Obiettivo: interrogarsi su cosa di questo programma abbia, o non abbia, funzionato. Perché è evidente che se dopo un tirocinio svolto nell'ambito di Garanzia Giovani più della metà dei partecipanti si ritrova allo stesso punto di partenza (come rilevato da un questionario promosso dalla Cgil su un campione casuale di quasi mille persone, presentato all'evento) forse l'obiettivo non è stato proprio centrato.

«Il quadro sarà più chiaro a marzo» riflette Gianna Gilardi, sindacalista, alludendo a una nuova indagine conoscitiva ufficiale sul programma che partirà a gennaio. Ma le fila si possono tirare sin da ora. «I mesi di tirocinio dei partecipanti non ne hanno cambiato la posizione, e ce li ritroveremo in carico nel nuovo programma». A tutte le perplessità sulla gestione del programma europeo dedicato ai Neet se ne aggiunge un'altra: e cioè che lo stage sia lo strumento su cui puntare tutto, come finora è stato. Il 'peso' dei tirocini nell'ambito del programma lo dà la percentuale di utilizzo, che è del 73% in media, secondo i dati Isfol di cui ha parlato la ricercatrice Giovanna Infante, con picchi «dell'88% nel Lazio».

I risultati dell'indagine presentati da Brunetti la dicono lunga: per il 35% è stata l'unica proposta arrivata dall'ente incaricato della presa in carico, oppure la «scelta migliore» per il 31% degli intervistati, nei casi in cui con tutta probabilità l'alternativa non era un posto di lavoro ma un corso di formazione. La stragrande maggioranza finisce insomma in un percorso di tirocinio dopo l'iscrizione.

E dopo cosa succede? Gli assunti con contratto a tempo determinato o indeterminato sono circa uno su dieci (secondo i dati Isfol invece chi trova un'occupazione dopo quattro mesi è un più soddisfacente 37%).
Quasi il 60% resta disoccupato, oppure – in piccolissima parte – ha iniziato un nuovo stage. Chi insomma ha beneficiato in modo concreto di Garanzia Giovani, o trovando un impiego direttamente nell'azienda che lo ha ospitato o contando sulle competenze acquisite tramite quell'esperienza, supera di poco il dieci per cento.

Ma almeno si sarà trattato di buona formazione? Niente affatto: per oltre la metà lo stage è stato vero e proprio lavoro mascherato, e solo per un ristretto 30% ha rappresentato una buona occasione di crescita professionale. Dunque bisogna lavorare anche sulla qualità dei tirocini, come ha ricordato Voltolina [nella foto a sinistra]. «Sul nostro forum non sono pochi gli interventi di chi racconta che sta facendo il tirocinio come cassiere in un supermercato». Se «utilizziamo fondi pubblici per regalare a un supermercato un addetto in più stiamo facendo una cosa contraria rispetto all'obiettivo di Garanzia Giovani». Quando è stato fatto presente, sottolinea, «Grazia Strano, direttore generale dei sistemi informativi del ministero del Lavoro, ha ammesso che non si fanno controlli a monte sulla qualità dei tirocini in Garanzia Giovani». 

L'altro grande problema resta, come osserva Damiano [nella foto sotto], «la mancanza di continuità: non basta il contatto tramite lo stage». Naturale che quei giovani resteranno «delusi e distanti dalle istituzioni», se conclusa l'esperienza «quella porta viene subito richiusa». O meglio, «si apre un po' e poi la si richiude subito» come aggiunge Anna Teselli, che sul tema dell'efficacia dello stage ha da poco pubblicato il volume Formazione professionale e politiche attive del lavoro (Carocci editore). Non è detto che il tirocinio non possa valere come misura temporanea, ma per evitare che presti il fianco a distorsioni «deve essere utilizzato in tempi strettissimi». Questa tipologia di inquadramento deve valere come «l'anello di una catena». Sono tre i contratti attorno a cui si gioca la partita dopo lo stage: «altro tirocinio, una collaborazione, oppure l'apprendistato». Se nei 36 mesi non arriva il consolidamento però, «si è espulsi dalla carriera».

In sostanza il tirocinio va ripensato come misura di politica attiva – specie in Garanzia giovani
perché nel 40% dei casi «chi partecipa non accede poi al mercato del lavoro dipendente». Treves propone anche un ripensamento dei criteri di profilazione, «rivedendoli attraverso una operazione di trasparenza che tenga conto delle prospettive economiche del territorio di riferimento». Senza sottovalutare l'aspetto da sempre troppo trascurato, che è il matching delle aziende con i candidati giusti.

Lo ha ricordato Ciulli, responsabile di un progetto speciale all'interno di Garanzia Giovani,
Crescere in digitale, che a differenza di quello generale non passa per le regioni. Crescere in digitale, gestito da Google in collaborazione con Unioncamere, organizza formazione e tirocini in ambito digital allocando ragazzi in aziende che hanno bisogno di aggiornarsi sulle nuove tecnologie. «Facciamo due call, una ai ragazzi interessati e una alle imprese, di cui molte sono nostri clienti». Ma queste «faticano a trovare ragazzi con le competenze giuste». Se non si interverrà eliminando le storture del mercato di oggi «pagheranno i nostri figli, cui si rischia di consegnare un futuro che tale non ha diritto di definirsi» paventa Brachetti. Assicura che il sindacato non si arroccherà in difesa: «è pronto a fare la sua parte».

Ilaria Mariotti 

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