Tirocini negli uffici giudiziari, cento borse di studio bloccate da mesi: il ministero ammette l’errore ma non paga

Paolo Cocuroccia

Paolo Cocuroccia

Scritto il 20 Dic 2019 in Approfondimenti

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Quando la giustizia viene calpestata dal ministero che avrebbe invece il compito di tutelarla, qualcosa non torna. Un centinaio di stagisti, tutti laureati in legge, ha presentato ricorso al proprio Tar di competenza per la mancata erogazione di borse di studio relative al tirocinio formativo ex art. 73. Il caso è emblematico: nelle corti d'appello di Campobasso, Salerno e Potenza, si contano oltre cento violazioni. La responsabilità dell'errore è riconosciuta dal Ministero della giustizia stesso, eppure le borse non vengono erogate.

È di pochi giorni fa l'interrogazione del senatore Nicola Calandrini, di Fratelli d'Italia, che chiede al ministro della Giustizia e a quello dell'Economia e finanza di intervenire per porre rimedio al mancato rimborso: «I mesi del 2018 non sono ancora stati pagati e i tirocinanti sono pertanto costretti ad anticipare le spese per tutto l'anno e lavorare sostanzialmente a titolo gratuito, pur sommando tale impegno a quello già di per sé gravoso della preparazione ai concorsi pubblici».

L'ex art. 73 (anche detto ex. 50) è un tirocinio di affiancamento ai magistrati, della durata di 18 mesi, che permette a persone laureate in legge che sognano una carriera in Magistratura di fare un'esperienza utile e pratica: dà la possibilità di seguire un magistrato in ogni attività, dalla gestione della documentazione, fino alla scrittura delle sentenze. Per accedere serve una media del 27 e un voto di laurea superiore a 105; per ricevere l'indennità invece occorre dimostrare di avere un Isee inferiore ai 40mila euro – dunque solo una cerchia piuttosto ristretta ottiene il diritto a percepire il rimborso, che ammonta a 400 euro al mese.

L'ultima sentenza utile a comprendere la vicenda viene dal Tar del Lazio ed è datata 3 ottobre 2019. Il Tar ha dato totalmente ragione ai ricorrenti, obbligando il Guardasigilli al versamento delle borse e al pagamento delle spese legali. Come si legge nella sentenza infatti, il Tar «condanna il Ministero al pagamento, in favore dei ricorrenti, delle spese del giudizio, che si liquidano in euro 1.500,00».

La svista del ministero non è cosa da poco: c’è perfino la netta ammissione di aver sbagliato, in una circolare del 24 aprile 2018, che recita «la procedura di assegnazione delle borse di studio indetta nel 2018, si è svolta con grandi difficoltà operative, ha generato diversi contenziosi giudiziari e ha causato una grandissima complicazione nella complessa attività di gestione della procedura. Tutte le anomalie che sono emerse sono state la conseguenza di errori valutativi di validazione o di trasmissione delle domande da parte degli uffici giudiziari, errori denunciati anche a distanza di tempo dopo la definitiva approvazione della graduatoria. Per evitare conseguenze e responsabilità ulteriori, con un enorme impegno conservativo e in via del tutto eccezionale, questa Amministrazione ha preceduto, grazie allo stanziamento sopravvenuto di risorse aggiuntive, al recupero postumo delle posizioni di tutti gli aventi diritto».

Fin qui tutto bene, ma i fondi di quest'anno vengono bloccati nella circolare stessa: «Per esigenza di massima tutela di tutti i soggetti coinvolti, va qui segnalato che la soluzione di salvataggio indicata è stata adottata l'anno scorso in via assolutamente eccezionale e contingente. Sarà di conseguenza difficile poter replicare in futuro, in caso di nuove situazioni di errore provenienti dagli Uffici, analoghe soluzioni conservative adottate in sede centrale».

In pratica già dall'anno scorso si mettevano in guardia gli stagisti che, in caso di errore, non si sarebbe garantita l'erogazione della borsa. Viene da pensare a questo punto che l'errore sia voluto. «Ho contattato il ministero più volte con PEC, con diffide e con chiamate» spiega Jessica Proni, avvocata dei ricorrenti «ma senza ottenere alcuna risposta».

Anche la Repubblica degli Stagisti per oltre un mese ha tentato di contattare l'ufficio direzione magistrati, proprio all'interno del dipartimento che si occupa dei tirocini formativi, ma senza successo. La responsabile in materia di tirocini formativi, Annamaria Planitario, è risultata sempre occupata; la sua segretaria ha consigliato di rivolgersi direttamente alla direzione, con una mail, ma anche all'email inviata non è purtroppo mai arrivata una risposta.

Senza dubbio il ministero della giustizia soffre di una cronica penuria di personale, e i tirocini verrebbero incontro a questa mancanza di risorse; ma non c'è stata alcuna possibilità di capire il numerica dei tirocinanti ex 73 passati per gli uffici giudiziari in tutti questi anni: sul
sito del ministero non c'è modo di arrivare a questi dati, e nemmeno l'ufficio stampa del ministero, contattato telefonicamente, è stato in grado di trovare questi numeri.  «Il loro modo di agire è assolutamente poco collaborativo» commenta l'avvocata Proni: «ma non ci scoraggiamo, e continueremo a seguire la stessa linea».

Dello stesso parere è uno dei ricorrenti, appena trentenne, che ha scelto di mantenere l’anonimato per paura di subire conseguenze: «Siamo stati esclusi senza alcun apparente ragione. Molti di noi contavano su quei soldi per pagarsi la retta del corso di preparazione al concorso per magistrati». L'iter per accedere al concorso è molto complesso, ma ai più meritevoli viene data la possibilità di fare questo tirocinio che permette di accedere al concorso, dopo aver effettuato il corso. L’assurdità sta proprio nel paradosso del riconoscimento dell'errore e del rifiuto di versare le borse.
«Mi sento preso in giro» si sfoga il giovane neoavvocato, che ha cominciato il tirocinio in questione nel settembre 2016 e che ha appena superato l'esame per l'accesso alla professione forense «soprattutto perché il vizio viene direttamente dagli uffici del Ministero: hanno riconosciuto l'errore materiale, ma ci lasciano senza borse di studio pur avendone noi maturato il diritto».

Una proposta di rottura viene lanciata da una delle portavoci dei tirocinanti che non ricevono indennità, Serena Gentili, romana, neanche trentenne: «A questo punto diamolo a tutti il rimborso: del resto i tirocini nelle aziende vengono pagati!  Ho l’impressione che i giudici pensino che per noi sia sufficiente l’esperienza in sé, come se non considerassero il nostro apporto come lavoro reale». Gentili a partire dal luglio del 2017 ha lavorato diciotto mesi in corte d'appello a Roma e tre mesi al Tribunale di Roma, scrivendo sentenze e provvedimenti a tutti gli effetti – ma non ha visto un centesimo, perché non aveva un Isee sufficientemente basso da permetterle di accedere al compenso: «Il lavoro andrebbe sempre pagato. E noi siamo e siamo stati risorse preziose per il Ministero e per i nostri magistrati affidatari», conclude Gentili.

Serena Silvestri invece è una delle tirocinanti a cui hanno riconosciuto il diritto alla borsa di studio, una minoranza che ancora sta aspettando il rimborso vero e proprio: «Ho iniziato il tirocinio nel maggio del 2018. Mi è costato molto sacrifici perché mi sono trasferita a Pisa per farlo: ovviamente 400 euro non coprono tutto, ma aiuterebbe». Silvestri usa il condizionale, perché da allora non ha ricevuto un euro di rimborso.

Alcune Corti hanno recepito l'indicazione della sentenza di ottobre e si stanno già muovendo per erogare il dovuto agli ex tirocinanti, richiedendo loro di fornire gli estremi dell'Iban per procedere coi bonifici bancari; altre invece non hanno ancora chiesto gli iban e altre ancora hanno eccepito vizi di forma o ritardi ministeriali.


La soluzione migliore sarebbe quella di trovare subito i fondi ed erogarli – non si tratta certamente di cifre inavvicinabili: 400 euro al mese per diciotto mesi fa 7.200 euro per ogni tirocinante, dunque per saldare il debito nei confronti dei cento che non hanno ricevuto ciò che spettava loro basterebbero poco più di 700mila euro in tutto, su un bilancio annuale che per il 2019 ammonta a oltre 8 miliardi e mezzo di euro – ma si continua a prendere tempo, senza prendere una posizione chiara, mettendo questi ragazzi nella posizione più scomoda possibile, con la consapevolezza teorica di aver ragione su tutta la linea e senza la certezza di ottenerla nella pratica. C'è da sperare che non sia una metafora del settore professionale in cui si apprestano ad entrare – quello della giustizia.

Paolo Cocuroccia

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