La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Daniele Barnaba.
Ho 26 anni, sono nato a Roma e cresciuto a Fiumicino, dove vivo tuttora con i miei genitori. Ho frequentato il Liceo scientifico pni a Maccarese per poi proseguire con gli studi universitari a Roma, all’Università degli Studi di Tor Vergata, dove mi sono laureato alla triennale in Economia europea e ho poi svolto il Master of Science in Economics. La mia scelta dell’università è stata dettata da motivi "pratici": ciò che volevo fare era infatti il Dams musicale ma poi, pensando che il futuro sarebbe stato troppo travagliato, ho fatto un altro tipo di scelta. Nonostante ciò, devo dire che non mi pento affatto della strada presa: questa facoltà mi ha insegnato molto e mi ha dato la possibilità di svolgere un Erasmus studio a Stoccolma e un Erasmus traineeship di quattro mesi in Scozia.
L’azienda ospitante era la Global Voices Ltd, un'impresa internazionale di traduzione e interpretariato che hasede a Stirling, nel Regno Unito, dove mi occupavo del controllo del credito e delle principali funzioni amministrative dell’azienda verso il mercato italiano. Economicamente non ho avuto problemi, grazie alla borsa di studio Erasmus traineeship, e anche il rapporto con i colleghi era abbastanza buono. L’ambiente di lavoro risultava invece molto stressante e disorganizzato, con responsabili veramente poco sensibili ai problemi e alle esigenze dei dipendenti. Nonostante ciò, ho portato a termine lo stage, imparando molto e centrando quelli che erano i miei obiettivi.
Queste esperienze all’estero mi hanno fatto capire che mi piacerebbe lavorare in un’azienda o compagnia a livello internazionale. Per questo mi trovo ora a quello che considero un “punto di svolta”, in cui vorrei trovare un lavoro gratificante e ben pagato ma anche in linea con il mio livello d’istruzione e le mie esperienze.
L’idea di fare lo Sve non mi aveva inizialmente convinto. Ho saputo dell’esistenza di questo programma al ritorno in Italia dopo il mio primo Erasmus, ma non avevo mai preso seriamente in considerazione l’idea di farlo. Le cose sono però cambiate quando, nel dicembre scorso, dopo essere tornato dalla Scozia convinto di iniziare un nuovo lavoro, sono venuto a sapere, a una settimana dall’inizio previsto, che non avrei più potuto svolgerlo. A quel punto, trovatomi improvvisamente libero, ho iniziato a valutare la cosa e a pensare che fosse il momento giusto per intraprendere quest’esperienza. Ho cominciato ad inviare qualche richiesta e, nel giro di una settimana, sono stato contattato per due progetti. Ho svolto così vari colloqui, ma il progetto che più mi aveva convinto era da subito quello che prevedeva la partenza immediata (a marzo) e la permanenza di quattro mesi in Romania. La mia sending organization era l'associazione Link di Altamura, mentre l'hosting organization era la Ofensiva Tinerilor di Arad.
Così sono partito alla volta di Arad. La situazione che ho trovato era abbastanza problematica: alloggiavo in un monolocale con un ragazzo armeno e uno spagnolo; la casa era decisamente fatiscente e per questo ero costretto a dormire su un divano letto nel soggiorno. Ho cambiato casa per bene due volte ma, alla fine, mi sono trovato bene. Il mio Sve prevedeva attività con persone ipovedenti e bambini con problemi fisici e comportamentali: collaboravo infatti con un’associazione di persone cieche, che seguivo e aiutavo nelle attività quotidiane, e andavo quattro giorno giorni alla settimana per un’ora e mezza in una scuola speciale per bambini ipovedenti e con altri tipi di problemi, svolgendo con loro attività ricreative.
La principale difficoltà che ho incontrato in questi quattro mesi è stata abituarmi allo stile di vita rumeno. Essendo tuttavia abituato a viaggiare e avendo una capacità di adattamento molto alta, dopo due settimane dall’arrivo avevo già iniziato ad ambientarmi. Se rifletto però su ciò che mi è piaciuto meno di quest’esperienza, penso soprattutto al comportamento delle associazioni: pur di risparmiare sull’affitto, facevano alloggiare nello stesso appartamento 5/6 persone. Inoltre non è stata fatta, secondo me, un’adeguata selezione dei volontari: vi erano ragazzi che non riuscivano a comunicare per nulla in inglese e altri con poca voglia di fare; le regole erano state spiegate in modo chiaro ma, essendoci scarsi controlli e nessuna conseguenza per le varie infrazioni, tanti volontari non rispettavano gli orari e i giorni liberi o non partecipavano agli eventi a cui la presenza era, in teoria, obbligatoria.
Nonostante ciò, posso dire che l’esperienza che ho vissuto è stata positiva. Ho accresciuto la mia conoscenza della cultura rumena, ho imparato le basi della lingua e migliorato la mia conoscenza dello spagnolo. Infine ho conosciuto persone da ogni parte d’Europa. Per questo, consiglierei a chiunque sia curioso e voglia fare un’esperienza che apra mente e orizzonti, di cogliere quest’opportunità.
Trovo inoltre che lo Sve sia un’importante esperienza anche dal punto di vista delle competenze professionali. Oltre ad aver potenziato le mie conoscenze linguistiche, ho incrementato le mie capacità di organizzazione e di gestione di un gruppo, ho approfondito la mia conoscenza delle problematiche inerenti le persone ipovedenti e imparato come relazionarmi con loro. Penso che ciò che ho imparato mi sarà utile sia a livello personale che professionale per lavorare poi in Italia.
Anche dal punto di vista economico, infine, il progetto è assolutamente vantaggioso, visto che è tutto coperto: viaggio, alloggio e pocket money mensile, fino ai soldi dell’assicurazione medica.
Consiglio ai giovani di provare un’esperienza come lo Sve. All’inizio sono necessarie pazienza e capacità di adattamento, ma poi vengono ripagate. Questo tipo di esperienze inizia con le lacrime, quando si arriva, e finisce con le lacrime, quando si riparte. Quello che si impara vivendo in un paese straniero a contatto con persone provenienti da tutto il mondo è qualcosa che nessuna università potrà mai insegnare.
Testo raccolto da Giada Scotto
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