Si è riaperto il dibattito sul reddito minimo garantito (attenzione a non confonderlo con il reddito di cittadinanza!) e ora spunta un'ulteriore ipotesi: un sussidio universale di disoccupazione – "Eubs", da European Unemployment Benefit Scheme – che potrebbe essere realizzato in tutti i paesi Ue nelle stesse modalità. Ne hanno discusso in un recente seminario i giuristi della Scuola europea di relazioni industriali (Seri), riuniti per l'occasione in un think tank sulle politiche di governo, la Fondazione Giacomo Brodolini.
L'idea di fondo è sempre la stessa: restituire potere d'acquisto ai cittadini, fiaccati da anni di crisi economica, disoccupazione e remunerazioni sempre più basse. Per Michele Faioli [nella foto a destra], ricercatore di diritto del lavoro e membro della Seri, è urgente «costruire un sistema pan-europeo aromonizzato di sostegno», come scrive in uno dei paper presentato all'incontro. «Una comune prestazione previdenziale sia nella fase di accesso che in quella di beneficio a carico dei datori di lavoro in parti uguali» per quello che può essere considerato un «Jobs Compact europeo».
Rispetto ai dati sui posti di lavoro il quadro europeo non è certo florido: Eurostat rilevava a dicembre 2015 «quasi 22 milioni di disoccupati nell'Unione, di cui circa 17 nell'Eurozona, con un tasso di disoccupazione che si aggira attorno al 10%, in rialzo di circa un punto rispetto al 2000» ricorda Elena Monticelli, giuslavorista della Sapienza. Per lei uno dei problemi chiave per l'Unione è proprio la mancanza di un coordinamento fiscale e di una reale applicazione del principio di solidarietà, da tenere in conto «specie nei riguardi di quella flexsecurity verso cui si sta virando». Sarebbe bene che questo parametro guidasse anche il funzionamento dell'Eubs, che «dovrebbe configurarsi come strumento flessibile, capace di modellarsi sulle performance dei singoli stati».
Un fondo sopranazionale, in sostanza, «che trasferisca risorse ai paesi colpiti dalla recessione, e a cui gli stati contribuiscano allo stesso costo dei sussidi di disoccupazione di loro competenza ma in questo caso basandosi su linee guida europee» chiarisce la studiosa. Ne verrebbe fuori un meccanismo per cui «si andrebbero a sanare solo i periodi di breve disoccupazione» prosegue la Monticelli, «e che scatterebbe solo in caso di forti shock macroeconomici». Del resto una proposta simile, racconta nel suo paper, è già stata studiata qualche tempo fa dal Centro europeo di studi politici di Bruxelles, sotto forma di «assicurazione per la perdita del lavoro».
Il vero nodo è però un altro. Se i costi – come i diversi studi condotti finora hanno ipotizzato – dovessero attestarsi attorno all'1% del prodotto interno lordo europeo, «la proposta diventerebbe difficile da accettare per molti Paesi» ragiona Monticelli, «perché non si manterrebbe la proporzione tra quanto sborsato da ciascuno e quanto poi effettivamente beneficiato».
Si apre anche una questione parallela. Nel preliminary research paper discusso alla fondazione si parla di un rischio conosciuto come «azzardo morale», fenomeno sociale per cui «se un soggetto sa di poter contare su una qualche garanzia di fronte a un rischio, si comporterà in modo diverso da come farebbe non potendo invece usufruirne». I potenziali beneficiari – un po' come si obietta nei confronti di tutte le tipologie di reddito a carico dello Stato – potrebbero cioè tendere a adagiarsi, smettendo di sforzarsi di uscire dalla propria condizione di svantaggio. E a lungo andare i risultati sarebbero controproducenti.
Ma gli ostacoli non finiscono certo qui, perché «anche armonizzare i sistemi di sicurezza sociale di 28 paesi diversi è un'operazione estremamente complessa, che richiederebbe probabilmente interventi preliminari in campo politico e giuridico» riflettono Simone D'Ascola e Fabio Ferrari dell'università di Verona nel loro studio.
Secondo Tiziano Treu [nella foto a sinistra], ex ministro al Lavoro e ai Trasporti intervenuto alla conclusione del dibattito, al di là delle basi giuridiche che «già esistono per uno strumento simile», la misura è da apprezzare «come stabilizzatore anticiclico e di sostegno ai consumi».
Resta il macigno dei costi («quanto investire di risorse europee») e il problema della «platea dei beneficiari da determinare insieme alla verifica delle condizioni di accesso». Sarebbe un peccato quindi non approfondire questo nuovo abbozzo di policy di welfare, che «potrebbe facilitare la ripresa, trattandosi di fondi già disponibili e spendibili subito» secondo l'analisi di Silvio Bologna dell'università di Palermo. Specie per l'Italia, dove varrebbero come «garanzia per quei lavoratori occasionali che oggi si dividono tra Naspi e Discoll».
Ilaria Mariotti
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