Investimenti angel in crescita del dieci per cento rispetto all’anno scorso, per un totale di 26,6 milioni di euro – un milione e mezzo di euro in più rispetto al 2016 – suddivisi in 117 operazioni; un investimento angel su cinque realizzato da donne. Sono questi i dati più interessanti della Survey Iban 2017, l’analisi annuale sul mercato italiano dell’angel investing condotta dall’associazione Iban – Italian Business Angel Network con il professor Vincenzo Capizzi della SDA Bocconi.
L’indagine è svolta nei primi mesi del 2018 con l’obiettivo di analizzare il mercato italiano sotto un duplice punto di vista: quello degli investimenti effettuati l’anno precedente e quello delle caratteristiche dei business angel.
Bisogna fare un passo indietro e capire prima chi siano questi soggetti. Per business angel si intende un investitore informale in capitale di rischio, in pratica una persona che si appassiona a una start up e decide di aiutarla e finanziarla. In genere ex titolari di impresa, manager in attività o in pensione, soggetti che hanno mezzi finanziari, una buona rete di conoscenze, esperienza e l’obiettivo di contribuire alla riuscita economica di un’azienda e alla conseguente creazione di nuova occupazione. La prima associazione nata in Italia per diffondere questa cultura è stata proprio Iban, l’associazione italiana degli investitori informali, che annualmente si dedica a questo report.
Leggendolo si scopre che i settori che hanno beneficiato maggiormente dei finanziamenti sono l’ICT, con 500mila euro dati per esempio alla startup Frind – che ha creato un’applicazione a metà tra Facebook e Whatsapp che permette di connettersi con gli amici intorno e organizzare con loro delle attività – e 400mila euro a App Quality, piattaforma di crowd testing che offre soluzioni di testing della qualità dei servizi digitali e permette alle aziende e alle startup di rilasciare app e siti web molto più efficaci e usabili su qualsiasi dispositivo mobile. A seguire, tra i settori più finanziati –ma ben oltre venti punti percentuali in meno rispetto all'ICT – ci sono l’eCommerce e i servizi.
«Nel 2017 sono stati censiti 117 investimenti, per cui l’ammontare medio è di 227mila euro e sono più che raddoppiate le operazioni, solo 52 nel 2016, ma è quasi dimezzato il taglio medio: probabilmente» spiega Paolo Anselmo, presidente Iban, alla Repubblica degli Stagisti «perché c’è una maggiore attenzione a suddividere su più investimenti lo stock di denaro che si è deciso di investire. Anche per diversificare il rischio».
In questo quadro, solo tre business angel su dieci hanno investito individualmente, perché la grande maggioranza ha preferito logiche di coinvestimento. Non solo: anche in questo settore si è fatto largo il crowdfunding, che è diventata una innovativa modalità di investimento. infatti la survey Iban per la prima volta quest’anno ha preso in considerazione la parte di investimenti fatta dai business angel attraverso le piattaforme di crowdfunding, anche grazie al supporto dell’osservatorio Crowd-Investing coordinato da Giancarlo Giudici, docente del Politecnico di Milano. Così si scopre che questa modalità di raccolta fondi è stata utilizzata dagli angels per finanziare ben il ventidue per cento di imprese totali lo scorso anno.
Ed ecco l'identikit dell'investitore più comune: uomo, tra i trenta e i cinquant'anni, del Nord Italia, laureato, ha un passato come manager. Sei su dieci sono dirigenti o imprenditori e investono meno del venti per cento del proprio patrimonio in operazioni di angel investment.
La raccolta dei dati è fatta tramite questionario online su SurveyMonkey e ha coinvolto un campione di 229 business angel. Le domande sono state inoltrate a un ampio numero di operatori dell’ecosistema delle startup, in particolare a soci individuali associati a Iban e a soci appartenenti a Club e Ban associati a Iban, ma anche a incubatori e family office individuate da Iban in quanto notoriamente attivi nell’ecosistema delle startup e a quelle iscritte al registro delle imprese innovative. In pratica la survey è rivolta a una popolazione di soggetti ritenuta altamente rappresentativa dell’universo dei Business angel in Italia proprio per tracciare un quadro esaustivo delle operazioni di investimento da parte di investitori informali.
Per diventare angel innanzitutto bisogna essere coscienti che esistono due categorie, gli aderenti – persone fisiche o giuridiche che si qualificano come investitori – e gli affiliati – studi professionali, banche, università che vogliono interagire con l’associazione. Una volta dichiarato di aver preso visione dello Statuto, del codice di comportamento e di condividere gli scopi istituzionali dell’associazione, bisogna compilare un form e versare la quota di adesione che va dai 250 euro dei business angel individuali ai 2.300 per i Ban, i club di investitori e le istituzioni finanziarie.
Cosa succede, dunque, una volta che l’angel investing ha deciso di finanziare la startup? Oltre all’investimento in equity il business angel di riferimento apporta soprattutto competenze strategiche e contatti per lo sviluppo dell’attività sociale. Il suo stato di coinvolgimento nelle imprese finanziate, in tre quarti dei casi, è medio o alto e l’exit per il business angel è di solito dopo i cinque o anche otto anni.
In altri paesi però la propensione a finanziare start-up è decisamente più significativa. Secondo i dati relativi agli investimenti nel 2016 dell’European Business Angels Network, il Regno Unito era leader del mercato angel con 98 milioni di investimenti, seguito dai 66 milioni della Spagna e da Finlandia e Germania con cinquantatré e cinquantuno milioni, tutti in crescita rispetto alle annate precedenti. Di fronte a questi numeri, i neanche 27 milioni dell'Italia sembrano davvero poco.
Uno dei dati decisamente più interessanti è il ruolo delle donne in questo campo. Nel corso dell’anno passato, secondo i dati Iban, soltanto un’operazione su cinque è stata realizzata da un business angel donna. La componente femminile è in aumento rispetto al passato, con un incremento quasi costante che le ha portate dall’undici per cento del 2013 al venti sul totale del campione dell’anno scorso, ma è ancora davvero troppo bassa: è la fotografia che emerge anche dalla ricerca «Ostacoli e opportunità per le donne angel investing in Europa», condotta su 640 donne in sei nazioni, il dieci per cento in Italia, nel contesto del programma Women business angels for european enterpreneurs WA4E, di cui anche Iban fa parte.
Da questa indagine si scopre che metà del campione di investitrici è business angel da più di tre anni e ha finanziato più di tre imprese innovative, ma soprattutto investe preferibilmente in un’impresa fondata da un’altra donna. Questo probabilmente perché ha vissuto sulla propria pelle la difficoltà di affermarsi in un settore molto maschile come quello imprenditoriale. Per quanto la survey Iban 2017 mostri che gli investimenti angel donna in Italia siano cresciuti, i dati del progetto coordinato da Business angel europe fotografano una situazione in Europa per le angel investor ancora difficile, con forti barriere all’ingresso e mancanza di modelli femminili di riferimento. E in aggiunta la stragrande maggioranza sottolinea come il proprio consulente finanziario non abbia mai accennato questa possibilità tra le opzioni di investimento: alle donne ancora oggi vengono consigliati principalmente investimenti a basso profilo di rischio. Ma proprio a testimonianza del ruolo sempre più importante delle donne in questo settore, nel 2017 è stato assegnato il premio italiano business angel a una donna, Paola Bonomo.
C’è un altro dato interessante che merita di essere menzionato, ed è quello relativo alle preferenze di investimeno dei ba sul territorio: se ben il trentatré per cento degli investitori dichiara l’intenzione di investire solo nella stessa provincia di residenza, quattro su dieci non hanno preferenze geografiche, il che dimostra una potenziale apertura a investire anche in progetti territorialmente distanti. «Oggi il 14% delle imprese finanziate è localizzato all’estero» conferma Anselmo: «Dobbiamo ragionare sempre più con una prospettiva europea di investimenti crossborder che facciano circolare gli investimenti italiani ma anche e soprattutto che attirino quelli esteri da Paesi più evoluti da un punto di vista di cultura del rischio».
Marianna Lepore
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