Sulla gravità della violazione del codice deontologico forense da parte degli enti pubblici: l'editoriale di Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 05 Nov 2010 in Editoriali

Perché è talmente grave che un ente pubblico come l'Inps non eroghi alcun compenso ai suoi praticanti avvocati, contravvenendo così un dovere deontologico? Perché la Repubblica degli Stagisti ha deciso di occuparsene, perché sollevare un polverone, perché arrivare a discuterne perfino in Parlamento attraverso l'interrogazione del deputato Enzo Raisi? Tanti studi legali, specialmente da Roma in giù, violano quotidianamente l'articolo 26 del Codice deontologico forense e fanno sgobbare i propri praticanti senza sognarsi di dar loro un euro. Lo denuncia sul Forum di questo sito una giovane avvocatessa pugliese:  «É contrario al Codice deontologico non retribuire i praticanti. Tutti i praticanti. [...] L'interrogazione parlamentare dovrebbe riguardare il problema in generale e non solo in particolare».
Invece - fermo restando che è vero che ogni avvocato dovrebbe rispettare integralmente il  codice deontologico, e quindi i praticantati gratuiti non dovrebbero esistere né nel pubblico né nel privato -  una differenza c'é, anzi due. E sono enormi. La prima è che l'Inps, così come l'Avvocatura dello Stato e tutti gli altri enti pubblici, è finanziato con i soldi della collettività. I soldi di tutti noi, le tasse che quotidianamente paghiamo per contribuire all'interesse generale. Pertanto nessun ente dovrebbe sentirsi autorizzato a negare a qualcuno (in questo caso, a un praticante avvocato) quell'emolumento che gli spetta di diritto, dato che il suo bilancio lo paghiamo noi cittadini. Ricevere una retribuzione durante il praticantato è un diritto - sancito non da una legge ma pur sempre da un Codice deontologico, vincolante per ogni avvocato che esercita in Italia. E questo diritto non può essere calpestato dicendo semplicemente «Scusate, di soldi non ce ne sono molti, dobbiamo fare economia» - obiettivo naturalmente encomiabile, ma non se scaricato sulle spalle dei più giovani. Vi sono certamente sprechi, superstipendi, consulenze e spese di rappresentanza che potrebbero essere limati per poter permettere all'Inps e a tutti gli altri enti pubblici di
«fare economia» e trovare i fondi per pagare adeguatamente i praticanti.
E arriviamo al secondo aspetto che rende il comportamento antideontologico dell'Inps più grave del comportamento antideontologico dei tanti singoli avvocati che non pagano i loro praticanti: e cioè il fatto che si tratti di un ente pubblico, cioè dello Stato. Se lo Stato è il primo a infischiarsene delle leggi, dei regolamenti, dei codici deontologici, delle raccomandazioni e risoluzioni europee, perché mai i cittadini dovrebbero invece rispettarli? Lo Stato, e di conseguenza ciascun ente pubblico, ciascun ufficio sul territorio, ciascun singolo dipendente di questa o quella pubblica amministrazione, dovrebbero essere i primi a rispettare rigorosamente ogni norma. Per dare il buon esempio. Per dimostrare a tutti gli altri come bisogna comportarsi.
Il dramma dell'autodifesa che in questi giorni ha messo in campo l'Inps - più o meno: non li paghiamo perché non abbiamo soldi, ma li prendiamo perché ci servono ad affrontare la mole abnorme del contenzioso - è che ogni singolo ufficio legale privato, d'ora in poi, potrà sentirsi in diritto di fare lo stesso ragionamento: ho tanto lavoro, prendo un praticante che mi aiuti, ma i guadagni sono scarsi e quindi non gli dò un euro, tanto anche nel pubblico è uguale.
Questa deriva va scongiurata. Gli enti pubblici devono tornare il più velocemente possibile alla legalità, e garantire a chiunque ospitino un trattamento adeguato, guardandosi bene dallo sfruttare i giovani - oggi i praticanti avvocati nei loro uffici legali, domani chissà. Uno stato debole crea una società debole, uno stato rispettoso della legalità e dei diritti di ciascuno crea una società rispettosa della legalità e dei diritti di ciascuno.

Eleonora Voltolina

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