Stagisti giornalisti gratis nelle redazioni, un problema sempre più diffuso anche nel Regno Unito

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 02 Mar 2015 in Approfondimenti

È cominciato tutto qualche settimana fa, quando Il Guardian ha titolato: «Newsquest, il terzo più grande editore britannico, ha intenzione di far pagare gli studenti per pubblicare i loro servizi». L’articolo ha subito attirato l’attenzione dei media britannici perché affronta un tema, quello degli stage, che è molto sentito anche nel Regno Unito dove gli stagisti che lavorano senza ricevere alcuna indennità non sono affatto un’eccezione. Sul quotidiano inglese si affermava che i college con corsi di giornalismo avevano ricevuto varie lettere invitando gli studenti a scrivere articoli, gratis, in cambio di «un’opportunità unica ed eccitante per sperimentare il lavoro all’interno di un giornale locale».

Nella lettera scritta da Diana Jarvis, giornalista e coordinatrice dello “Young reporter scheme” di Newsquest, si spiega che gli studenti per un periodo di lavoro di otto mesi avrebbero avuto la possibilità di costruire il proprio portfolio, scrivendo un articolo al mese, e di ricevere alla fine una lettera di raccomandazione da usare come referenza nel proprio curriculum. Per prendere parte allo stage, però, c’era una sorta di registrazione che doveva fare l’istituto scolastico pagando 120 sterline, di cui 20 a carico dello studente.

Stagisti senza rimborso che devono anche pagare? La Repubblica degli Stagisti ha voluto vederci chiaro e ha parlato direttamente con Diana Jarvis, che ha subito messo le mani avanti: «Il sistema è partito sette anni fa ed è cominciato come un progetto pilota con due scuole. Ha avuto così tanto successo che molti altri istituti dell’area londinese hanno voluto aderire ed è cresciuto a tal punto da diventare un lavoro a tempo pieno» spiega la school coordinator. «È stato allora che ci siamo trovati di fronte a un bivio: abolire il progetto perché troppo costoso o introdurre un pagamento obbligatorio per le scuole come un’attività extracurriculare».

Da allora ogni istituto ha pagato una tariffa fissa di 100 sterline a cui ogni singolo studente che ha voluto partecipare al programma ha aggiunto 20 sterline. «Soldi che coprono a malapena i costi di gestione del sistema» dice Jarvis alla RdS. La school coordinator di Newsquest sostiene quindi che il Sindacato nazionale dei giornalisti inglesi (NUJ) che pure ha dedicato vari articoli al tema ha semplicemente frainteso il programma da loro offerto. «L’idea che stiamo sostituendo giornalisti con stagisti, alcuni di questi quattordicenni con nessuna esperienza giornalistica, a cui chiediamo anche di pagare qualcosa è assolutamente ridicola e senza senso» dice la giornalista inglese alla Repubblica degli Stagisti.

Arriva, quindi, la smentita ufficiale che nei giornali del gruppo editoriale Newsquest si utilizzino stagisti non pagati: «offriamo solo agli studenti la chance di vedere dal vivo cosa significa lavorare in una redazione giornalistica». Possibilità che finora hanno avuto migliaia di giovani e che non inciderà necessariamente nella loro vita professionale visto che alcuni di questi sono addirittura minorenni. Per questo Jarvis si scaglia contro il segretario generale del sindacato nazionale dei giornalisti inglesi (NUJ),  Michelle Stanistreet, che commentando questo caso ha definito la pratica degli stagisti non pagati «una delle ragioni del perché il mondo dei media è diventata una delle professioni più socialmente esclusive».

«Ovviamente Stanistreet non ha capito come funziona questo progetto e ha fatto molte dichiarazioni senza conoscere i fatti» taglia corto Jarvis, che tra l’altro invita a leggere anche alcuni articoli da lei scritti che dovrebbero raccontare meglio i fatti. Eppure, leggendoli, si scopre che questa opportunità finora offerta ai liceali è in fase di lancio anche per i giovani dai 18 anni in su, che frequentano un college o l’università. «È la prima volta che il programma si estende alla “tertiary education”» spiega Diana Jarvis a un’ulteriore richiesta di chiarimenti della Repubblica degli Stagisti, «È solo una work-experience. Quindi se i college o le università sono interessate a questa opportunità, allora lavoreranno alle stesse condizioni offerte agli studenti delle scuole. Non sono offerti soldi agli studenti perché è solamente un’attività extra curriculare».

Significa, quindi, che nemmeno ai giovani universitari verrà corrisposto per questa work-experience alcun rimborso spese. E non è una notizia da poco, perché nel Regno Unito sono anni che si dibatte sulla necessità di retribuire gli stagisti e di farlo anche per professioni abitualmente sfruttate, come quella dei giornalisti. Tanto che anche la cronista Beth Brewster, docente e responsabile del corso in giornalismo ed editoria alla Kingston University, ha commentato questo articolo su twitter confermando ai suoi studenti di giornalismo il consiglio «di non prestare le loro capacità, creatività e lavoro gratis».

Secondo un rapporto del 2013 del National Council for Training of Journalists, infatti, l’82 per cento dei giornalisti britannici ha iniziato negli ultimi tre anni la propria carriera con uno stage e di questi ben 9 su 10 senza un rimborso spese. Numeri che evidenziano come per ognuno di questi singoli neo giornalisti fosse stata importantissima la situazione finanziaria pre stage. Perché se la lunghezza media di questi tirocini è all’incirca di due mesi, a volte ripetuti dopo un breve periodo di pausa, alcuni stage sono arrivati addirittura a 52 settimane - cioè un anno intero.

«I tirocini non pagati sono illegali, se si sta lavorando con degli specifici compiti assegnati allora si dovrebbe ricevere almeno il salario minimo. Il vero problema» spiega alla Repubblica degli Stagisti Michelle Stanistreet, segretario generale NUJ, «è che tutto questo dovrebbe essere controllato dall’HMRC (ndr. Servizio per la riscossione e le dogane di Sua Maestà) e pochissime sono le azioni legali iniziate». Per questo motivo il sindacato ha lanciato nel 2013 la campagna Cashback for Interns che ha come obiettivo una giusta retribuzione per gli stagisti nel Paese. Grazie alla quale «il sindacato nazionale dei giornalisti è riuscito ad ottenere gli arretrati per i cronisti che hanno lavorato senza essere stati pagati. La nostra è una professione molto competitiva e le redazioni stanno sfruttando i giovani. A volte facendogli fare il lavoro di un qualsiasi redattore, altre volte usandoli per ordinare caffè o portare il cane a spasso. Come NUJ crediamo in una strutturata work experience, di breve durata, grazie alla quale i giovani possono conoscere il giornalismo», dice Stanistreet. «Ma se fanno gli stessi compiti dei redattori retribuiti, allora anche loro devono essere pagati. Se un giornale pubblica il loro lavoro, allora dovrebbero essere pagati per questo. Altrimenti l’unica conseguenza è che solo i giovani aiutati dalle famiglie possono tentare questo lavoro».

Quando scopre annunci per tirocini non retribuiti, la NUJ contatta l’azienda editoriale spiegando che è illegale e la denuncia alla Low Pay Commission. Ed è proprio per questi motivi che Michelle Stanistreet ha accolto con grande soddisfazione la notizia, data a inizio febbraio, che il Financial Times incomincerà a pagare dal prossimo aprile i propri stagisti con il salario minimo, che è di 6,50 sterline l’ora per chi ha più di 21 anni. Notizia accolta entusiasticamente anche da Chris Hares, Campaigns manager di Intern Aware,  che alla Repubblica degli Stagisti esulta: «La decisione del Financial Times è fantastica. I tirocini non retribuiti sono, infatti, un problema per la mobilità sociale visto che lasciano i giovani in una situazione complicata: impossibilitati a trovare un lavoro perché senza esperienza e  impediti dal fare esperienza perché non possono permettersi di lavorare gratis». Proprio per questo motivo Hares crede che il cambio di rotta del FT sia importante, «perché significa che incominceranno a selezionare i loro nuovi giornalisti in base al talento e non solo in base a chi può mantenersi da solo mentre fa questa esperienza. Ed è importante, perché permetterà di ottenere molti punti di vista e idee differenti nella nostra stampa».

Ma c’è un altro motivo per cui uno stage non pagato va rifiutato, anche in Gran Bretagna. «Trovare un lavoro retribuito alla fine di uno stage gratuito è molto più difficile rispetto a chi, invece, ne ha svolto uno con rimborso spese. Gli imprenditori che pagano i loro stagisti sono molto più disponibili ad assumerli» spiega Hares. Risposta a cui fa eco Stanistreet, che aggiunge «I nostri giovani iscritti ci raccontano che di solito devono fare molti stage non pagati prima di riuscire a trovare un lavoro vero».

E sono ancora una volta i numeri ad avvalorare queste dichiarazioni: secondo un sondaggio del 2014 di YouGov, il 46% dei datori di lavoro che pagano gli stagisti lo reputano un metodo utile di selezione del personale. Percentuale che scende di oltre dieci punti per quanti, invece, non prevedono nemmeno un rimborso spese. Per questo recentemente Intern Aware e la National Union of Students hanno lanciato un’indagine nazionale sull’uso dei tirocini non retribuiti. «Il numero verde che abbiamo istituito consente agli studenti e laureati di raccontare i propri stage non pagati nel più totale anonimato. Ed è un bene» spiega Chris Hares «perché a volte parlarne può mettere a rischio le proprie opportunità di carriera. L’obiettivo è coinvolgere molte persone, ascoltare le loro storie e aiutarle a chiedere il rimborso della retribuzione che gli spetta attraverso Intern Aware». Oltre a cercare di sovvertire quello che secondo Hares è un pratica veramente scorretta.

«L’unico risultato dell’uso indiscriminato dei tirocini non retribuiti è che solo chi ha i contatti, le risorse economiche e la famiglia giusta può riuscire ad avere una carriera. Ed è veramente ingiusto se si considera quanto i giovani debbano duramente lavorare per raggiungere una laurea. Non è certamente corretto che il secondo titolo necessario per diventare avvocati, artisti o giornalisti oggi sia semplicemente accettare di lavorare gratis». Sui risultati finali di questa indagine, però, Stanistreet è incerta tanto da dire «Credo che mostrerà quanto sia diffusa la pratica dei tirocini non retribuiti in molti settori lavorativi e allo stesso tempo come sia basso il numero di azioni legali intraprese».

Per i risultati bisognerà aspettare ancora, ma questi avvenimenti avvicinano purtroppo il Regno Unito all’Italia, mostrando un’irresponsabile uso degli stage non pagati e della voglia dei giovani di imparare “a qualsiasi costo”, portando a un unico triste risultato: discriminare sempre di più, dividendo tra chi può permettersi di affrontare questo lungo cammino e chi no.

 

Foto quadrata: "Videojournalist" di Roberto Ferrari in modalità creative commons

Foto rettangolare: dall'indagine "Journalists at work" del National Council for the training of journalists

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