Specializzandi in farmacia ospedaliera, gli “invisibili” senza stipendio del Servizio sanitario nazionale

Rossella Nocca

Rossella Nocca

Scritto il 14 Set 2018 in Approfondimenti

farmacia lavoro professioni sanitarie

Stessi doveri, ma non stessi diritti. Gli specializzandi in farmacia ospedaliera, proprio come quelli in medicina, svolgono presso il Servizio sanitario nazionale la propria specializzazione, che dura quattro anni e prevede 1.500 ore annuali di tirocinio. E avrebbero diritto, parimenti ai medici, ai contratti di formazione specialistica.

Tuttavia «per i farmacisti ospedalieri sono in subordine alla capienza “delle risorse già previste”, e questa condizione fa scivolare il diritto nell’impossibilità, perché i fondi sono a mala pena sufficienti per coprire il fabbisogno dei medici specialisti», spiega alla Repubblica degli Stagisti Paolo Serra, responsabile nazionale area giovani e precari del Sindacato nazionale farmacisti ospedalieri (Sinafo). Ma non solo. Gli specializzandi in farmacia ospedaliera devono pagare mediamente 2.500 euro l'anno di tasse universitarie più 4.500 euro di aliquota intera all'Inps. 

La Repubblica degli Stagisti ha cercato di mappare il settore della farmacia ospedaliera in Italia rivolgendosi all'ente di riferimento, la Società italiana di farmacia ospedaliera e dei servizi farmaceutici delle aziende sanitarie (Sifo), ma a tre mesi dalla richiesta esso non è stato in grado di fornire i numeri sulle farmacie ospedaliere e i farmacisti ospedalieri attivi in Italia e sul fabbisogno annuale della categoria. Incredibile ma vero, Sifo non sa dire quante farmacie ospedaliere siano attive in Italia e quanti farmacisti ospedalieri impieghino, quale sia il fabbisogno annuale medio della categoria e neppure quanti posti vengano banditi annualmente dal Servizio sanitario nazionale. 

Comunque. Nel 2010 è arrivato in Parlamento il disegno di legge “Disposizioni per l’equiparazione dello status contrattuale ed economico dei laureati specializzandi medici e non medici che afferiscono alle scuole di specializzazione di area sanitaria”, che però non è riuscito a trovare i numeri per l’approvazione. Nel 2013 una sentenza del Consiglio di Stato ha imposto ai ministeri l’obbligo di retribuire gli specializzandi, in osservanza all’art.8 della legge n.401/2000. Per effetto della sentenza, le Scuole di specializzazione in farmacia ospedaliera (Ssfo) sono state chiuse per timore di ricorso. Successivamente il decreto legge n.42/2016 ha abrogato l’articolo e le scuole hanno ripreso a bandire concorsi. Da allora gli specializzandi continuano a prestare lavoro gratuito al Ssn. 

E così i rappresentanti della piccola ma agguerrita categoria stanno pensando di fare quello che i colleghi di medicina fecero all'incirca vent'anni fa: fare ricorso alla Corte europea per veder sancito il loro diritto di essere inquadrati come lavoratori (ancorché "in formazione"), a essere pagati e a ricevere anche i contributi previdenziali. Tutti diritti che fino a soli vent'anni fa erano negati anche ai medici specializzandi, e che ora a quei medici sono garantiti proprio grazie a una sentenza.

L’ultima delusione è arrivata con l’esclusione della categoria dal decreto n.402/2017, relativo ai requisiti minimi e agli standard delle scuole di specializzazione di area sanitaria. «L’inserimento nel decreto avrebbe garantito e migliorato la qualità del nostro percorso formativo specialistico. Inoltre saremmo stati al passo con gli standard europei e avremmo potuto rivendicare con voce ancora più forte il nostro diritto ai contratti di formazione» commenta Antonio Pirrone, presidente della Rete nazionale degli specializzandi in farmacia ospedaliera. La Renasfo, nata quattro anni fa per portare avanti la lotta per il riconoscimento dei diritti della categoria, dall'ottobre 2017 è un’associazione studentesca che conta circa 200 iscritti tra soci ordinari, ovvero specializzandi, e soci sostenitori. 

La scuola di farmacia ospedaliera ha una storia di quarant’anni - il primo concorso venne bandito a Napoli nel 1978 - ed è obbligatoria per accedere ai ruoli del Servizio sanitario nazionale. Oggi in Italia ci sono ventidue scuole di specializzazione in farmacia ospedaliera, per un totale di circa 130 specializzandi. Numeri tutto sommato piccoli. «Per finanziare i nostri contratti di formazione basterebbero 10-15 milioni annui, ovvero il 3% dei contributi per i colleghi medici» puntualizza infatti Pirrone. 

Certo è che la situazione attuale fa del farmacista ospedaliero una professione “per pochi”. «A parte i pochi fortunati vincitori di borse, per lo più universitarie e regionali, molti di noi sono costretti a fare turni di notte o a lavorare il fine settimana in farmacie aperte al pubblico. A lungo andare questo mira la nostra formazione e non ci permette di raggiungere gli standard che lo Stato ci richiede», aggiunge Pirrone.

Le borse di studio erogate dall’università sono sempre più rare. Ad esempio l’università di Milano, che negli anni scorsi ne metteva a disposizione quattro, nell’ultimo bando ne ha assegnate solo due, sulla base del reddito personale (non superiore a 7mila euro annui) e del principio di meritocrazia (posizionamento in graduatoria dopo il test di ammissione). Poi ci sono le borse di studio finanziate dalle strutture ospedaliere o territoriali, bandite dalle singole strutture e assegnate per titoli e colloquio. «Devo dire che alla fine dello scorso anno, con lo sblocco dei fondi regionali di Farmacovigilanza, questi bandi sono notevolmente aumentati in Lombardia» racconta il presidente di Renasfo «garantendo la copertura economica di molti colleghi. Ma questa non rappresenta la soluzione alla nostra situazione, lo ritengo un semplice palliativo che per il momento ci fa sopravvivere»

Un altro problema che grava sulla condizione della categoria è quello della previdenza. «È stato incrementato il periodo in cui si può usufruire della riduzione dell’aliquota al 3%» spiega Pirrone «ma permangono altre problematiche, come il fatto che le borse di studio non contemplano la copertura previdenziale obbligatoria dell’Inps e che lo specializzando è costretto a pagare l’aliquota intera». 

Oggi l’unica strada possibile per ottenere il riconoscimento dei diritti rivendicati appare quella giudiziaria. «Dopo anni di dialogo con la parte politica e istituzionale non rimane che adire alle vie legali» afferma Serra «per inseguire, attraverso la magistratura, quello che riteniamo un diritto equo e dignitario».

Rossella Nocca

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