Chiara Del Priore
Scritto il 02 Nov 2020 in Interviste
discriminazione gender pay gap gendergap occupazione femminile Risorse umane
«Avevo chiuso questo libro a Natale dell’anno scorso, l’ho riaggiornato alla luce dei fatti degli ultimi mesi, facendolo uscire a giugno del 2020». Silvia Zanella, giornalista e manager, ha scritto «Il futuro del lavoro è femmina» (pubblicato dalla casa editrice Bompiani). Un libro che spazia dal ruolo dello smartworking all’automazione del lavoro, dall’importanza delle soft skills al confronto tra generazioni in ambito professionale, fotografando gli inevitabili cambiamenti causati dall’irrompere dell’emergenza Covid nelle nostre vite private e lavorative. Tutti temi estremamente attuali.
Come nasce il libro?
Mi sono sempre occupata di lavoro con un’ottica fortemente orientata al digitale, negli ultimi anni ho notato un’eccessiva concentrazione sull’«hardware» invece che sul «software», ossia sulle competenze tecniche rispetto alle qualità e caratteristiche personali, e ho pensato che fosse necessario riaggiornare il dibattito sul futuro del lavoro, rivedendone le categorie.
«Il posto di lavoro non si trova più in un posto di lavoro»: la frase riassume il tema più che mai attuale dello smartworking. Come deve essere applicato alla luce delle possibilità che ci ha evidenziato questo periodo? Può avvantaggiare le donne? Alcuni sostengono il contrario…
Il tema vero è scindere questa esperienza dalla vera nozione dello smartworking, che prevede una libertà di fondo legata a spazio, tempo e modi che in quarantena sono stati negati. Abbiamo fatto un homeworking miracoloso, il passaggio che andrebbe fatto adesso è di natura duplice in quanto non vuol dire stare sempre a casa e non equivale al lavoro forzato dentro le mura domestiche. Abbiamo assistito a una radicale trasformazione dei modi di lavorare, ora deve però intervenire un approccio ibrido e una focalizzazione sulla responsabilità delle persone, soprattutto dei capi, nel delegare, nel dare fiducia. Va fatto anche un lavoro nelle famiglie e nelle coppie, in quanto questi mesi hanno dimostrato che il carico era più pesante per le donne, il che dimostra una forte diseguaglianza.
Il libro parla di una serie di caratteristiche «femminili» applicabili in azienda che ne sono anche le parole chiave: collaborazione, duttilità, fiducia….le cosiddette soft skills. Si tratta di un concetto sempre attuabile, anche se la realtà spesso ci dice il contrario, cioè che spesso sono le donne le prime nemiche delle donne, soprattutto sul lavoro?
A me piacerebbe molto che queste competenze diventino centrali perché porterebbero a un lavoro migliore. Prima c’era un tipo di lavoro molto controllato, che è destinato a non esserci più, il lavoro va sempre più verso un’intellettualizzazione, se continuiamo a trattare le persone allo stesso modo non andiamo da nessuna parte. La mia è una provocazione dettata da caratteristiche reali, però non per questo significa che le donne ne siano più dotate, non mi interessava parlava di contrapposizione di genere, non ha senso parlare di maschi contro femmine. Si parla di caratteristiche femminili, ma non necessariamente riconducibili alle donne.
A proposito di genere, i dati sull’occupazione e sul ruolo femminile nel mondo del lavoro: non sembrano essere positivissimi, penalizzazione evidente anche in seguito alla pandemia...
Abbiamo dati contrastanti: è vero che il Covid ha penalizzato soprattutto le donne, al contempo però l’unico dato occupazionale positivo del 2020 è legato al rientro al lavoro proprio delle donne, forse perché c’è stata una perdita del lavoro da parte dei propri compagni. In ogni caso, penso sia più che mai urgente una riflessione elaborata su come dobbiamo far evolvere davvero l’occupazione femminile, non solo in termini qualitativi ma anche quantitativi.
Quanto contano queste soft skills in fase di selezione e quanto possono fare la differenza sul posto di lavoro, ad esempio nella crescita professionale di un collaboratore rispetto a un altro?
Quindici anni fa il leitmotiv era la specializzazione ed è stato così per tanti anni, ora non è più così non perché la specializzazione sia meno importante ma perché è facilmente obsolescente, rimane fondamentale ma invecchia velocemente. Viceversa, un tipo di attitudine alla trasformazione, al cambiamento sono caratteristiche soft che prima difficilmente venivano valutate. Puoi avere il più bravo tecnologo del mondo che però se mal si integra con il resto dell’organizzazione diventa un problema.
Cos'è il concetto di «bellessere», applicabile alle aziende?
Non è un concetto mio, ma di Enzo Spaltro, uno dei fondatori della psicologia del lavoro, è molto bello e alto. Parla della necessità di introdurre la bellezza all’interno delle organizzazioni, la dimensione umana. Fattore che porterebbe enorme vantaggio nella gestione dei team.
All'interno del libro ci sono vari riferimenti a organizzazioni italiane e internazionali che hanno rappresentato un punto di riferimento. È possibile citarne alcune?
Posso dire che abbiamo avuto molti esempi esteri, come Cisco con uno smartworking molto pronunciato, Microsoft con una distribuzione più "liquida" della propria forza lavoro. In Italia abbiamo Repubblica degli Stagisti o Lifeed di Riccarda Zezza, che hanno posto l'attenzione alla dignità del lavoro e alle competenze che servono per fare un determinato lavoro. Non esiste ancora l'azienda delle meraviglie, ma queste esperienze mi hanno sicuramente aiutato a immaginare l'azienda che vorrei.
Il libro parla di superamento della logica del controllo, ma in un momento in cui molti responsabili avversano ancora lo smartworking quanto è realistica una prospettiva del genere?
Gli ultimi mesi hanno portato a un’accelerazione mostruosa di determinati fenomeni già avviati. Potranno succedere dei movimenti di restaurazione per mille motivi, ma non puoi cancellare la memoria emotiva di questo vissuto. Sarà un anno molto fluido e le generazioni più giovani si aspettano già di entrare nel mondo del lavoro con questa modalità, sono ottimista sul fatto che la via è stata tracciata.
Coesistenza e scambio generazionale sul luogo di lavoro, automatizzazione, personal branding sono solo alcuni punti affrontati… qual è l’aspetto su cui in questo momento le aziende devono lavorare di più?
Sono abbastanza convinta che il tema più critico sia quello della formazione e della cultura organizzativa, è necessario intervenire su questioni essenziali con uno sforzo non indifferente da parte di tutti.
Chiara Del Priore
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