Donne attratte dalla chimica, ma il gap di genere resta: «Educhiamo anche i mariti a non ostacolare le nostre carriere»

Rossella Nocca

Rossella Nocca

Scritto il 26 Ott 2017 in Approfondimenti

chimica parità di genere STEM

Basta entrare in uno dei tanti laboratori chimici universitari per capire che la chimica è sempre più donna. Secondo i dati dell'Anagrafe nazionale studenti (Ans), nell’anno accademico 2015/2016 le ragazze immatricolatesi ai corsi di laurea in Scienze e tecnologie chimiche sono arrivate a superare – anche se di poco – i ragazzi. E il vantaggio si è confermato nell’anno 2016/2017 (51,5% contro 48,5%). Tra le materie dell’area Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics), la chimica è oggi una delle più amate dal genere femminile. Ma non solo. Rispetto a tre anni fa, infatti, il suo appeal è consistentemente cresciuto, con un incremento totale delle nuove iscrizioni del 29% e con circa 4mila immatricolati.

«Le studentesse sono più numerose ma si perdono per strada, oppure restano nelle posizioni di base» si rammarica con la Repubblica degli Stagisti Luisa Torsi, professoressa ordinaria di Chimica analitica presso il Dipartimento di Chimica dell’università “Aldo Moro” di Bari. Nel 2010 è stata la prima donna e la prima italiana nella storia a vincere l’Henrick Emmanuel Merck per le Scienze Analitiche, premio internazionale destinato a scienziati capaci di migliorare la qualità della vita dei cittadini, grazie all’invenzione di un sensore bio-elettronico stampabile su plastica o carta, in grado di rivoluzionare il mondo della diagnostica medica. La Torsi è stata inoltre tra gli inventori della “macchina degli odori”, in grado di realizzare dei biosensori capaci di codificare e decodificare gli odori con una precisione simile a quella del naso umano, con possibili applicazioni ad esempio nell’industria dei profumi.

Nonostante la sua esperienza positiva, la professoressa non nega l’esistenza del “soffitto di cristallo”: «Quando dieci anni fa ho sentito parlare per la prima volta di sottorappresentanza delle donne nelle posizioni apicali» spiega «l’ho percepito come una forzatura. Poi però mi sono resa conto che siamo noi donne che non ci rendiamo conto di essere discriminate perché pensiamo che quello che viene è ciò che ci meritiamo». Quindi aggiunge «Da quando l’ho capito mi sono fatta parte attiva nella sfida per la parità: vado nelle scuole superiori, partecipo a conferenze divulgative sulle donne e la scienza».

«Le donne crescono con l’idea che a certi posti non ci possono arrivare o che per arrivarci devono rinunciare alla famiglia. Io sono diventata a favore delle quote rose perché certi fenomeni o li obblighi o non avverranno mai. È degradante ma è così», le fa eco Costanza Rovida, Project Manager presso Mastery, società  di Como che fornisce consulenza regolatoria per l’adempimento del REACH (regolamento adottato dalla Ue per migliorare la protezione della salute dell’uomo e dell’ambiente dai rischi delle sostanze chimiche) e Scientific Officer presso il CAAT–Europe (Center for Alternatives to Animal Testing) presso l’Universität Konstanz in Germania, in collaborazione con la John Hopkins University di Baltimora, oggi impegnata in prima linea, anche attraverso un tavolo ministeriale, nella promozione di metodi alternativi alla sperimentazione animale.

Mastery, la società dove oggi lavora, è un caso di “disparità al contrario”, visto che a capo c’è una donna e sono impiegati 18 donne e 5 uomini. Ma la scienziata prima di arrivarci ha avuto modo di sperimentare le differenze di genere. «Io vengo da una famiglia “tradizionale”, con l’idea che le donne devono sposarsi e fare figli. I miei erano d’accordo che studiassi all’università, ma qualcosa di soft, giusto per “sfizio”», racconta alla Repubblica degli Stagisti Rovida. Che poi aggiunge: «L’imprinting familiare mi ha condizionato molto. Il mio primo marito voleva che smettessi di lavorare, così ho rifiutato molte proposte. È stato difficile capire che anche con due figli potevo realizzarmi».

Insomma, a cambiare non deve essere soltanto la mentalità degli uomini ma in primis quella delle donne. «Dobbiamo educare le persone che abbiamo accanto, a partire dai mariti, all’idea che non vogliamo rinunciare alla nostra soddisfazione, perché ognuno di noi, uomo o donna, deve realizzare il suo potenziale più alto», conferma Luisa Torsi. Che poi fa riferimento alla sua esperienza: «Ho due figli e non sempre è stato facile conciliare vita privata e lavoro a questi livelli. Tuttavia la carriera universitaria ad esempio si può modulare, quello che non si deve fare è sparire per sei mesi. Io avevo l’astensione obbligatoria due mesi prima e tre mesi dopo la gravidanza, ma ho lavorato sempre. La responsabilità di componente attivo nella società non deve mai venir meno, altrimenti alla donna verrà sempre preferito l’uomo».

I profili di Luisa Torsi e Costanza Rovida sono inseriti nella banca dati 100esperte.it, progetto nato per valorizzare le figure femminili in ambito Stem e combattere le discriminazioni di genere, dai media ai comitati scientifici fino ai convegni di settore. «Da quando è partito il progetto sto tenendo una statistica sui relatori e sui partecipanti ai convegni nazionali e internazionali ai quali presenzio» spiega Rovida «Ebbene, se i partecipanti sono per metà uomini e per metà donne, fra i relatori il rapporto è di 80-20 o 70-30».

Ma perché una ragazza – nonostante tutto – dovrebbe avere ogni interesse a scegliere la chimica? «Studiare chimica vuol dire capire come funzionano le cose» dice Luisa Torsi «ed entrare in possesso di strumenti culturali utili a gestire situazioni complesse. In Italia la chimica viene insegnata bene, con corsi di livello internazionale e che sono ancora piuttosto “elitari”, quindi aprono prospettive di carriera più di altri».

Industria, gestione, sicurezza sul lavoro, ricerca, insegnamento: sono tanti i possibili settori di occupazione per i laureati in chimica. In particolare, «uno degli sbocchi del futuro è il mondo della sostenibilità» sostiene Costanza Rovida «perché oggi le aziende hanno bisogno di investire in sviluppo, fare test per capire se i loro prodotti potranno causare problemi alla salute e all’ambiente. Questo richiederà lo sforzo congiunto di più professionalità: chimici, biologi, statistici…». Un consiglio che vale la pena di appuntare.

Rossella Nocca

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