Marianna Lepore
Scritto il 15 Feb 2019 in Approfondimenti
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In Italia esistono dodici scuole di giornalismo, che nell’ultimo biennio hanno messo a disposizione trecento posti per aspiranti giornalisti: in media arrivano un migliaio di candidature per biennio (l'ultimo dato è 800), anche se poi i posti effettivamente assegnati sono poco più del 75% di quelli disponibili (235, per esempio, l'anno scorso). Un business che vale quasi un milione e 800mila euro all'anno.
Le scuole sono diventate, per molti, l’unico accesso possibile alla professione. Anche se qualcosa in futuro potrebbe cambiare. Il Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti ha, infatti, dato il via libera il 16 ottobre dello scorso anno alla propria riforma e inviato al dipartimento per l’editoria della Presidenza del Consiglio il testo approvato. Il progetto di riforma, fortemente sostenuto dal presidente Carlo Verna, in carica dal 2017, introduce tra le altre cose modifiche alla pratica giornalistica, riconosciuta anche all’interno di un corso universitario annuale.
Le scuole potrebbero avere le ore contate? Non proprio, ma se la pratica venisse riconosciuta anche all’università i master sarebbero costretti almeno in parte a modificarsi. E probabilmente, per motivi di mercato, anche dal punto di vista economico.
Sette anni fa la Repubblica degli stagisti aveva fatto un'inchiesta approfondita sulla professione per capire se le scuole fossero solo per i figli dei ricchi. E il quadro emerso aveva dimostrato come l’accesso al mondo giornalistico costasse alle famiglie italiane cifre dagli otto ai 20mila euro solo per la retta di iscrizione.
Oggi le scuole di giornalismo riconosciute dall’Ordine nazionale sono dodici, dopo la riapertura di una scuola simbolo come quella di Bologna, in passato chiusa per carenza di domande. E chi decidesse di tentare questa carta per diventare professionista, non sconfortato dagli esiti occupazionali, dovrà mettere in conto di spendere cifre che vanno dagli 8mila ai 21mila euro solo per la retta, a cui si aggiungono tutti i costi connessi: vitto e alloggio per i fuori sede e durante i mesi di stage (spesso lontani dalla sede della scuola), oltre alle spese per partecipare all’esame di Stato.
La scuola in assoluto più costosa è la Luiss, con una richiesta di 21mila euro per il biennio in corso. Segue la Lumsa a 20mila: qui l’ultimo biennio è partito nell’ottobre scorso. Si passa poi ai 19mila euro per la Iulm e 18mila per il master a Torino, entrambi fermi al costo di sette anni fa, seguiti dall’università Cattolica a Milano a 17mila.
A questo punto le cifre iniziano a diventare un po’ più abbordabili, con il master del Suor Orsola Benincasa a Napoli che per il biennio iniziato nel 2017 chiedeva 14.400 euro, seguito a ruota a 14mila dalla scuola di giornalismo Walter Tobagi dell’università di Milano, nata nel 2009 in seguito a un accordo tra il master dell’università Statale di Milano e l’Ifg Carlo De Martino, che era la più antica scuola di giornalismo italiana e fino al biennio 2005-2007 anche l'unica ancora completamente gratuita: poi la Regione Lombardia ha chiuso i rubinetti dei fondi, e si è resa opportuna la “incorporazione” dell'IFG all'interno della Statale.
A quota 12mila euro si assestano, invece, tre scuole: il master in giornalismo dell’università di Bologna, la scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia e l’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino, fondato nel lontano 1990. Chiudono la classifica due scuole del sud, entrambe con una retta di 8mila euro: Salerno, dove nel 2012 si spendevano per il biennio 15mila euro, e Bari.
I guadagni delle scuole, però, non si fermano solo alle rette per i due anni, perché a queste si aggiungono anche le spese relative alle varie fasi della selezione e che coinvolgono una platea più ampia di soggetti. Si va dai 50 euro a candidato della scuola Walter Tobagi ai 100 di Torino, dai 150 euro del master di Bari e della Luiss fino ai 250 per i test di Perugia, suddivisi tra domanda di ammissione e successivo pagamento per la selezione.
E le borse di studio? In questo campo la situazione è decisamente migliorata rispetto al passato, quando ad esempio il Suor Orsola aveva solo tre borse di studio ognuna da 5mila euro e il master a Salerno non ne prevedeva. E il merito va al Quadro di indirizzi per il riconoscimento, la regolamentazione e il controllo delle scuole di formazione al giornalismo, approvato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti nel dicembre 2016 e riconfermato anche nel nuovo quadro di indirizzi del settembre 2018. Il documento prevede, infatti, all’articolo 5 che «ciascuna scuola garantisce un numero di borse di studio pari come minimo al 15 per cento delle somme versate a qualsiasi titolo dagli allievi». E infatti, leggendo i bandi, tutte le scuole si sono adeguate prevedendo borse di studio e, in alcuni casi, introducendo anche delle convenzioni con alcune banche in modo da consentire l’accesso al prestito d’onore a copertura parziale o totale della retta, come per la scuola di Perugia e di Urbino.
Ma se i soldi investiti dai praticanti giornalisti creano per le scuole un introito non indifferente, il tempo e il denaro investiti non sempre valgono la candela. Già una ricerca effettuata nel 2010 mostrava come i collaboratori di testate nazionali e locali venissero pagati anche meno di 3 euro a pezzo. A dimostrazione che una volta raggiunto l’agognato titolo di “professionista”, il mercato non era più così esaltante. Adesso ci sono dati aggiornati che danno un quadro ancora più fosco.
Secondo il Rapporto sulle dinamiche occupazionali nel settore giornalistico: confronto con il sistema paese e l’ambito comunitario dell’Inpgi, presentato lo scorso maggio in Commissione lavoro e tutela occupazionale, «negli ultimi cinque anni sono andati persi 2.704 posti di lavoro nel mondo giornalistico, un calo di oltre il 15%». Un dato giudicato in controtendenza sia rispetto alla crescita dell’occupazione registrata in Europa che in Italia. E i giovani sembrano averlo imparato. Prova ne sia che, nonostante in molti tentino la carta di quello che Albert Camus definiva il mestiere più bello del mondo, le domande di ammissione nelle scuole diminuiscono. Tanto che più di un master si è trovato ad avere meno studenti di quanti previsti dal bando nell’ultimo biennio, costretto a rispettare un’altra regola imposta dall’Ordine dei giornalisti, e specificata all’articolo 22 del quadro di indirizzi già del 2016, quella secondo cui «Il numero di allievi ammessi al corso non può essere superiore alla metà di coloro che hanno completato le prove di selezione». Alcuni esempi: il master a Torino prevedeva un massimo di venti posti e alla fine gli studenti sono 15, la Lumsa aveva il target massimo a 30 e si ritrova con 24 praticanti, stesso limite da bando anche per il Suor Orsola a Napoli che alla fine ha solo 11 studenti, mentre Bari ne ha addirittura uno in meno.
Scuole, quindi, un po’ meno mangiasoldi, visto il maggior numero di borse di studio e le rette in molti casi abbassate. Ma che, visti i numeri della crisi editoriale, possono garantire sempre meno l’ingresso sul mercato del lavoro.
Marianna Lepore
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