Jobs Act, in arrivo il salario minimo: ma qualcuno sostiene che aumenterebbe la disoccupazione

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 18 Mag 2015 in Approfondimenti

Il salario minimo potrebbe arrivare presto anche in Italia. Per ora è solo un'ipotesi, stando alle parole del ministro del Lavoro Giuliano Poletti: «Fa parte della legge delega», ma non è ancora in nessun decreto, ha chiarito in una conferenza della Banca d'Italia che ha cercato di fare luce sul tema. Perché l'introduzione del salario minimo – da non confondere con reddito minimo, ovvero un sussidio statale per chiunque sia sotto la soglia della povertà e non abbia un reddito sufficiente a mantenersi – sarebbe una rivoluzione in un paese dove la regolamentazione delle retribuzioni per molta parte dei lavoratori è compito della contrattazione collettiva.

Infatti il salario minimo del Jobs Act punterebbe a introdurne uno per chi resta scoperto dai riferimenti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, ovvero soprattutto i lavoratori parasubordinati. Una misura mancante in Italia, sostituita in parte dai contratti collettivi, ma che è presente quasi in tutti i paesi del mondo, come spiega Steve Machin [nella foto] della University College London e membro della Low Pay Commission, agenzia governativa britannica per i temi delle retribuzioni.

C'è infatti in Australia, Canada, Usa, Francia, Belgio, Grecia, Irlanda, Giappone, Spagna, Olanda, Nuova Zelanda, Portogallo, ed è appena entrato in vigore anche in Germania. In Francia il salario minimo si chiama Smic ed è molto alto: circa 1400 euro lordi per 35 ore di lavoro a settimana, più o meno 10 euro all'ora. Nel Regno Unito fu fissato nel 1999 a 3,6 sterline orarie per i maggiori di 21 anni, e a 3 sterline per i 18-21enni. Oggi, dopo l'ultima modifica dell'ottobre 2014, si attesta a 6,50 sterline orarie per gli adulti (corrispondenti a circa 9,10 euro), a 5,13 sterline per i 18-20enni (7 euro circa). Ma ci sono tariffe anche per i 16-17enni, con 3,69 sterline l'ora (5,16 euro), e per gli apprendisti, che non possono guadagnare meno di 2,73 sterline orarie (3,80 euro). Il salario minimo «è stato percepito come un successo» assicura Machin «ed è considerato una delle politiche più riuscite degli ultimi 30 anni».

Tanto dovrebbe bastare a convincere i più scettici tra gli esperti italiani. La principale obiezione che si muove è quella del rischio che l'istituzione di un salario minimo possa incoraggiare la disoccupazione «se fissato a un livello troppo alto», come sottolinea Marco Leonardi, professore associato di Studi del Lavoro alla Statale di Milano, «pur sostenendo il potere d'acquisto dei lavoratori con retribuzioni basse».

«Gli economisti hanno sempre guardato con scetticismo al minimum wage perché rischia di mettere fuori mercato chi vorrebbe proteggere, ovvero i lavoratori con bassi redditi e basse skills», gli fa eco Paolo Sestito del Servizio struttura economica della Banca d'Italia. Il rischio per gli aspiranti candidati a un posto di lavoro sarebbe quello di vederselo sfumare, costando troppo. Eppure l'esperienza britannica dimostrerebbe il contrario. E poi c'è un effetto positivo da non sottovalutare secondo gli esperti, una volta introdotto il salario minimo: i controlli sarebbero più efficaci. «In Uk lo fa la Agenzia delle Entrate, da noi andrebbe istituita una agenzia ispettiva unica» suggerisce Leonardi, escludendo quindi il ricorso al giudice del lavoro che più spesso si verifica per il mancato rispetto dei contratti collettivi nazionali.

E c'è anche il discorso della disuguaglianza, a cui il salario minimo potrebbe porre un argine. Secondo i calcoli di Leonardi, «La disuguaglianza sarebbe stata minore se fosse stato introdotto in passato, perché sarebbero migliorate le condizioni di vita dei molti lavoratori pagati al di sotto di quanto stabilito dai contratti di lavoro». Anche perché i lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva sono tanti: «più di un terzo nelle costruzioni, il 30% nella ristorazione, il 27% nel sociale, il 23% nell'istruzione, tanto per citarne alcuni dati di Eurostat del 2010».

Un salario minimo oggi in Italia, considerando che nei paesi in cui esiste è fissato tra il 40 e il 60 per cento del salario mediano, potrebbe – a detta di Leonardi – aggirarsi tra i cinque e i sette euro l'ora.

Il dibattito è destinato a continuare perché quella del salario minimo è diventata una priorità, oggi che «c'è consenso sull'idea che, se fissato a un giusto livello con un approccio pragmatico
» sottolinea Machin «non danneggi l'occupazione». Senza contare la spirale di crescente povertà in cui il nostro paese sta finendo: secondo i calcoli della Fondazione Rodolfo De Benedetti, dal 2005 al 2013 il tasso per gli under 35 è salito di quasi 5 punti, dal 3 all'8%, per chi ha tra i 35 e i 44 anni di 6 punti, dal 3 al 9%. Lo stesso, anche se con uno scarto inferiore, è accaduto per chi ha tra i 45 e i 54 anni. E il picco è stato raggiunto proprio tra chi ha un lavoro dipendente. Evitare che i guadagni dei lavoratori scendano al di sotto di una certa soglia minima potrebbe quindi attenuare il problema.

Eppure i sindacati non esultano
. In Italia sono stati loro a definire di fatto i salari minimi, attraverso la contrattazione dei contratti nazionali di lavoro. Con due talloni d'achille: il primo, una parcellizzazione dei "minimi sindacali", diversi a seconda della categoria (commercio, metalmeccanica, editoria...). Il secondo tallone d'Achille, un raggio d'azione limitato esclusivamente ai dipendenti subordinati, lasciando fuori tutti i parasubordinati che negli ultimi anni sono cresciuti a dismisura. Di fatto, una misura di questo tipo ridurrebbe il loro peso. La principale critica che i sindacalisti muovono è che il salario minimo comprimerebbe verso il basso le retribuzioni, consentendo ai datori di lavoro di applicare le tariffe più basse stabilite senza fuoriuscire dai parametri della legalità.

Le posizioni non sono però unanimi. Maurizio Landini, segretario della Fiom, non è contrario al salario minimo ma chiede di tararlo sulle soglie già fissate dai contratti nazionali, onde evitare eccessivi ribassi. Perplessa invece Susanna Camusso, segretario Cgil, per cui non servirebbe l'introduzione di un salario minimo, ma basterebbe estendere ai lavoratori esclusi la copertura della contrattazione collettiva. Ma la sua proposta sembra destinata a cadere nel vuoto. In attesa dei decreti attuativi del Jobs Act. 


Ilaria Mariotti  

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