Salario minimo, non è la bacchetta magica ma evita gli stipendi da fame

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 04 Apr 2014 in Articolo 36

L'altroieri sul quotidiano Il Foglio un articolo intitolato “Perché il salario minimo non fa gola ai nostri sindacati ingessati” ha rimesso al centro del dibattito sul Jobs Act la necessità di dotare anche l'Italia di una legge – a costo zero per lo Stato – che imponga una soglia di retribuzione minima sotto la quale nessun datore di lavoro possa andare nel remunerare i lavoratori. Una misura che il premier Matteo Renzi ha annunciato di voler inserire nella sua riforma del lavoro, senza però entrare nei dettagli. L'autore dell'articolo in questione è Andrea Garnero, piemontese classe 1986, che da anni studia il tema del salario minimo. Recentemente tornato al suo ruolo di Ph.D student alla Paris School of Economics dopo aver fatto parte, per la breve esperienza del governo Letta, dello staff della Presidenza del Consiglio, Garnero è anche autore insieme a Simona Milio del libro L'Unione divisa, uscito due mesi fa per le edizioni Il Mulino. 

Dunque se l'Italia non ha ancora un salario minimo la responsabilità è dei sindacati?
L’Italia non è il far west, non esiste un salario minimo nazionale come in Francia o Spagna ma comunque abbiamo diversi salari minimi negoziati a livello settoriale. Storicamente la contrattazione collettiva da noi è sempre stata piuttosto forte e finché il lavoro ero quello “standard”, cioè dipendente a tempo pieno e durata indeterminata, funzionava anche bene e garantiva standard salariali superiori a quelli di un minimo nazionale. Però da quando il mercato del lavoro si è parcellizzato e segmentato tra protetti e non protetti il sistema di contrattazione collettiva ha cominciato a mostrare crepe non secondarie. E infatti nello studio che abbiamo condotto mostriamo come circa il 13% dei lavoratori dipendenti italiani sia pagato meno del minimo contrattuale.

L'idea di far valere il salario minimo solo in caso il lavoratore non rientri in nessun contratto nazionale non avrebbe il pregio di evitare lo scontro diretto con il sindacato? Del resto perfino Landini ha fatto nel suo ultimo libro una apertura al salario minimo…

Ho avuto modo di parlarne anche con il direttivo della Cgil, presenti anche Camusso e Landini. La soluzione dei sindacati italiani è estendere maggiormente la copertura dei contratti collettivi, anche a chi ora ne è escluso. È una delle opzioni, ma non so quanto realistica. Un’altra è prevedere una soglia minima inderogabile, che copra anche chi è scoperto. Le due soluzioni comunque non sono incompatibili. Rimarrebbero comunque fuori i nuovi lavori, i parasubordinati. Anche con un salario minimo perfettamente rispettato queste figure, sempre più numerose, sarebbero escluse. In questo caso il problema è più complicato e la soluzione passa per forme di equo compenso o sistema di costi di riferimento. Oltre a Landini, mi pare che i giovani della Cgil siano molto attenti alla questione. Anche in questo caso forse è necessario un cambio generazionale.

Landini peraltro sostiene che in realtà moltissimi contratti hanno minimi troppo bassi, quasi da fame: come si concilia questo con il dato che i minimi definiti nella contrattazione collettiva in Italia in proporzione al salario mediano sono i più elevati in Europa?
È vero. Il problema è che il salario mediano, cioè il salario della persona che si trova esattamente a metà della distribuzione - cioè metà del resto della popolazione guadagna più di lui e metà meno - è basso in Italia. E quindi il rapporto è “artificialmente” alto. Ma per alzare i salari, minimi e mediani, bisogna aumentare la produttività. La crescita e il benessere passano solo attraverso un aumento della produttività. Non si può pensare di migliorare gli standard di vita, e nemmeno rilanciare la domanda interna, a colpi di salario minimo.

Anche la Germania per decenni non ha avuto una legge sul salario minimo. Perché?
Perché anche in Germania la contrattazione collettiva la faceva da padrona. Ancora più che in Italia dove la divisione in tre o più sindacati confederali rischia a volte di indebolire le istanze dei lavoratori, in Germania in alcuni settori i sindacati sono fortissimi. Si pensi alla famosa IG Metall, sindacato unico dei metalmeccanici. I contratti collettivi, quindi, garantivano meglio i lavoratori tedeschi e permettevano anche maggiore flessibilità di aumentare i salari in tempi di vacche grasse e ridurli in tempi di vacche magre.

E come mai poi l'anno scorso la questione salario minimo si è sbloccata, portando alla decisione di fissare a 8,50 euro all'ora?
Perché in altri settori, ad esempio nella ristorazione o nel settore commerciale, la contrattazione collettiva è diventata sempre più debole negli scorsi vent’anni e il numero di lavoratori poveri è aumentato incredibilmente. La Germania è il paese europeo in cui la povertà al lavoro, cioè il numero di persone che pur lavorando sono povere, è aumentata di più negli scorsi anni. Questo ha portato a un graduale ripensamento. Poi la Spd [il partito socialdemocratico tedesco, di matrice socialista, ndr] ne ha fatto il tema principale di campagna ed è riuscito ad imporlo nel contratto di coalizione nonostante lo scetticismo della Cdu [il partito dell'Unione cristiano democratica, di centro-destra, il cui maggior esponente dell'ultimo decennio è la cancelliera Angela Merkel ndr].

Una questione molto delicata, specialmente nei Paesi che hanno sul proprio territorio zone più avanzate e benestanti e zone più arretrate e povere, è quella di un salario minimo nazionale uguale dappertutto. Anche in Germania c'è stato un forte dibattito su questo tema, poi però la decisione è stata quella di fissare il salario minimo con una cifra uguale per tutti i land. Come si gestisce questa problematica?

In Germania è andato tutto molto in fretta, forse troppo in fretta. La Spd è stata molto abile a imporlo come tema di campagna e nel contratto di coalizione, ma le modalità esatte avrebbero forse dovuto essere discusse più nel dettaglio. Salari minimi differenziati esistono in altri paesi, come la Finlandia, o a livello di contratti collettivi, differenze tra Germania est e ovest. Esistono anche salari differenziati a seconda dell’età, per non disincentivare il lavoro dei giovani e di qualifiche, per non danneggiare i lavoratori senza qualifiche. Nel bene e nel male la decisione tedesca di un minimo nazionale uguale per tutte le regioni rappresenterà un esperimento da valutare con grande attenzione per tirarne le giuste lezioni.

In Svizzera chi è contrario al risultato del referendum dello scorso febbraio (l'iniziativa popolare «Contro l'immigrazione di massa») sta pensando di “contrattaccare” riproponendo un altro referendum sull'introduzione del salario minimo, già effettuato qualche anno fa e rigettato dalla maggioranza degli svizzeri per timore che facesse scendere i salari. Ma adesso la situazione è cambiata e la risposta degli elvetici potrebbe essere diversa. Una strategia del genere potrebbe funzionare?
Ovviamente un salario minimo pone un limite alla discesa dei salari e risponde alle ansie di chi si sente più fragile nei confronti della globalizzazione, ma non so se risolverebbe le gravi preoccupazioni degli svizzeri che hanno votato sì per la disoccupazione in aumento, i treni sovraffollati e l'aumento degli affitti. Non credo il salario minimo sia lo strumento giusto per le guerre fra poveri. Anzi le guerre fra poveri non hanno mai portato a nessun risultato significativo.

Come in Svizzera, anche in Italia molti detrattori del salario minimo temono che esso spingerebbe giù i salari medi. È una preoccupazione fondata?
È il timore dei sindacati che preferiscono avere un controllo più forte con i contratti collettivi. Forse non è infondato, ma non ne ho le prove empiriche. In ogni caso, se si fissa un valore troppo elevato o gli imprenditori riducono le assunzioni oppure ricorrono ad altri stratagemmi come i parasubordinati. La coperta è corta. Al salario minimo possiamo chiedere di fare solo e solamente il minimo assoluto. Per migliorare gli standard di vita del resto della distribuzione salariale possiamo solo aumentare la produttività e ridurre le tasse che gravano sul lavoro.

In Italia avremmo, oltre ai sindacati, il problema di un salario minimo che se stabilito troppo alto potrebbe essere controproducente per le regioni economicamente più depresse, penso al Meridione; o che se stabilito troppo basso potrebbe essere inutile per le regioni più avanzate, come la Lombardia. Sarebbe più saggio trovare una quadra con un salario mediano, o con un salario differenziato territorialmente?
Uno degli argomenti per la contrattazione decentrata è proprio differenziare i salari per renderli più legati alla produttività locale e aziendale. Credo che non sarebbe scandaloso pensare a un salario minimo differenziato territorialmente in Italia.

Un terzo problema, accennato già poco sopra, è quello che l'Italia ha una percentuale di lavoratori autonomi - per finta o per davvero - molto alta. Cococo, cocopro, collaboratori a partita Iva: negli altri Paesi questi lavoratori sono esclusi o inclusi dalla legge sul salario minimo?
Sì, sicuramente questo è un problema rilevante. In maniera diversa il boom dei mini-jobs è uno dei fattori che ha portato la Germania a passare a un salario minimo nazionale. Il problema dei “falsi autonomi” è presente anche in Francia. Garantire i diritti anche di questa fascia crescente di lavoratori è la grande sfida per il sindacato del futuro. Una sfida francamente molto impegnativa.

Come si potrebbe gestire in Italia questo ulteriore problema, e cioè la definizione di un salario minimo che proteggesse anche i cosiddetti "parasubordinati"?
Sicuramente non demonizzando le partite Iva come negli scorsi anni abbiamo fatto. Ormai un numero crescente di persone, soprattutto nel terziario avanzato, è una vera partita Iva anche se in posizione debole. Qui la protezione salariale passa attraverso forme di equo compenso o sistema di costi di riferimento. Acta propone tariffe di riferimento, ovvero tariffe per alcune prestazioni "tipiche" da individuare per ogni attività professionale, da decidere all'interno della comunità di appartenenza, che rappresentino un riferimento (quindi non vincolanti, in modo da non essere in contrasto con le leggi comunitarie) sia per i professionisti sia per chi acquista i servizi. Il settore pubblico potrebbe cominciare a dare il buon esempio, come fatto da Obama negli Usa.

Questo per le partite Iva. Ma per il lavoro cosiddetto “parasubordinato”? Per tutti quei cococo e cocopro che non forniscono singole prestazioni a un committente, ma vanno a lavorare 8 ore al giorno in un ufficio svolgendo mansioni spesso identiche al collega di scrivania assunto qualche anno prima con un contratto di tipologia subordinata? A loro il salario minimo dovrebbe essere esteso o no? E se sì, come?
Beh, in teoria nel contratto a progetto «il corrispettivo economico non può essere inferiore ai minimi contrattuali previsti per mansioni equiparabili a quelle svolte dal collaboratore e calcolate sulla media dei contratti collettivi di riferimento». O sbaglio? Quindi basterebbe applicare la legge. Mi pare di capire che molti contratti subordinati facciano riferimento al contratto dei metalmeccanici che è uno con i salari più bassi. Il genio italico per contornare le leggi è molto avanzato. Ma anche volendo applicare la legge in pieno potrebbe essere molto complicato sapere a quale contratto collettivo fare riferimento tra le centinaia in vigore. Un salario minimo davvero di base farebbe chiarezza e sarebbe più difficile da non rispettare. Però non garantirebbe ancora che il corrispettivo sia proporzionato al lavoro svolto e quindi potresti continuare ad essere pagato come un metalmeccanico anche se sei un bravissimo ingegnere. Ma almeno eviterebbe stipendi da fame, che, ripeto, è l’unico risultato che si può chiedere a un salario minimo.

Facendo l'avvocato del diavolo: come si potrebbe evitare che, entrata in vigore la legge, molti datori di lavoro si affrettassero a far dichiarare "part-time" i loro dipendenti per pagarli sulla base di 20 ore a settimana anziché 40?
Fatta la legge si troverà sempre un inganno. Come fare anche ad evitare che piuttosto di pagare il minimo il contratto subordinato sia trasformato in parasubordinato? Da una parte quindi si risponde con più controlli, ma soprattutto con incentivi migliori per contratti a tempo indeterminato e a tempo pieno. Significa concentrare il taglio del cuneo fiscale su questo tipo di contratti e privilegiare la protezione economica rispetto a una protezione giuridica che vale ben poco per un lavoratore atomizzato e senza rete di salvataggio. Il salario minimo deve rappresentare solo una soglia davvero minima e consentire rinegoziazioni al rialzo a livello aziendale e settoriale.

Nei panni di Renzi: a quanto bisognerebbe ragionevolmente fissare il salario minimo in Italia? Gli 8,50 euro all'ora della Germania sono troppo alti?
I salari minimi negli altri paesi sono fissati da una commissione che fa un lavoro di mesi per arrivare alla giusta cifra che tenga conto degli andamenti dell’inflazione, delle diversità territoriali e settoriali e di quanto serve per garantire un’esistenza dignitosa. Non posso quindi dare la cifra giusta per l’Italia così su due piedi, ma sicuramente dovrà essere più bassa di quella fissata in Germania, magari intorno ai 7 euro.


Ultima domanda: la prospettiva di un salario unico europeo è percorribile?

È una discussione in corso. Il candidato dei Partito popolare europeo, cioè il centrodestra, Jean Claude Juncker, lo propone da anni. Di fatto vorrebbe mostrare il volto buono dell’Europa dopo anni di volto austero. Il Pse, centrosinistra, ha inserito un riferimento nel suo manifesto per le elezioni europee. Io sono un po’ più freddo. Un salario minimo europeo non rifletterebbe la complessità dei sistemi nazionali e comunque come si diceva trova l’opposizione non solo dei sindacati italiani ma anche di quelli scandinavi. In ogni caso dovrebbe essere molto differenziato da uno Stato all’altro. Non aspettiamoci lo stesso minimo in Bulgaria e in Germania. Dato che l’Europa non ha competenze dirette su questo tema io comincerei da un’azione molto più forte di moral suasion per garantire salari decenti e inclusivi. Che si facciano attraverso un salario minimo nazionale, un equo compenso o contratti collettivi. Ma che ogni Stato trovi il modo di garantire effettivamente una protezione di ultima istanza. Poi se gli Stati decidono di cedere all’Ue la competenza su questi temi allora l’Europa potrebbe agire anche più direttamente garantendo dei minimi base, stabiliti almeno in riferimento al salario medio nazionale.

Intervista di Eleonora Voltolina

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