Saggistica da ombrellone? Un libro propone come migliorare il mondo del lavoro

Irene Dominioni

Irene Dominioni

Scritto il 20 Ago 2018 in Approfondimenti

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Il mondo del lavoro è cambiato, questo lo sappiamo. Un mondo spesso popolato di persone con “lavoretti” poco stabili, di contratti (quando ci sono) a breve termine, di gig economy, di incertezza economica e – per diretta conseguenza - talvolta perfino esistenziale. Di giovani più o meno istruiti che scappano all'estero per cercare fortuna e di altri che restano a casa senza sapere dove sbattere la testa, che ancora oggi fanno tirocini mal pagati e senza prospettive, che impiegano anni interi per raggiungere un minimo di autonomia e sicurezza. E per quanto si cerchi di fare, non solo in Italia, ma anche a livello europeo, per contrastare il fenomeno della disoccupazione e del precariato (giovanile e non), gli unici movimenti si registrano ancora in differenze infinitesimali nei tassi Istat. La tendenza, insomma, rimane persistente. Ci vorrebbe una rivoluzione? 

Può darsi. Ed è proprio una piccola rivoluzione quella Sandrino Graceffadi cui parla Sandrino Graceffa, amministratore delegato di SMart, cooperativa di tutela e gestione di progetti creativi, nel suo libro Rifare il mondo… del lavoro. Un’alternativa alla uberizzazione dell’economia, edito da DeriveApprodi l'anno scorso. Una rivoluzione che parla di imprese cooperative condivise piuttosto che di startup, di mutualismo invece che di iper-concorrenza e di solidarietà redistributiva al posto di sistemi di protezione sociale ormai anacronistici rispetto al panorama non solo nazionale, ma anche europeo e mondiale. 

Le premesse sono quelle già citate: se negli anni Ottanta il lavoro era visto come un giogo e qualcosa di cui si sarebbe voluto fare a meno, oggi essere senza lavoro è causa di sofferenza. Il lavoro salariato permanente a tempo pieno, però, attualmente rappresenta solo il 22,5% dei lavoratori a livello mondiale, una minoranza assoluta. Il mercato è dominato da due tendenze: da un lato, sono in aumento forme di lavoro “a tempo parziale”, spesso più per obbligo che per scelta, e dall'altro crescono le forme di lavoro autonomo, naturale frutto di un'economia condivisa dove gli strumenti di produzione sono dematerializzati e sempre più legati alla capacità intellettuale e allo spirito creativo. E' questa l'“uberizzazione” di cui parla Graceffa, un sistema in cui potenzialmente ci sarebbero tutti i presupposti per un grande livello di autonomia ed emancipazione, ma che in realtà sempre più atomizza i lavoratori nelle loro attività, generando un contesto iper-concorrenziale in cui è difficile sopravvivere.

La questione è a maggior ragione vera per i giovani di oggi, che si ritrovano ad avere a che fare non solo con un numero crescente di datori di lavoro (secondo Graceffa, dagli anni Sessanta il numero medio dei datori di lavoro che si incontrano si è moltiplicato per tre, e nei prossimi decenni è destinato a decuplicarsi) ma anche con esperienze lavorative spesso molto diverse tra loro. E se da un lato questa varietà rischia di compromettere l'integrità del percorso professionale, dall'altro comunque è garanzia di acquisizione di un gran numero di competenze, specifiche ma anche e soprattutto soft, spendibili in ogni contesto. 

Non è quindi a caso, spiega Graceffa, se i giovani di oggi tendono sempre più a diversificare esperienze e capacità e contestualmente puntano a volersi spendere in contesti più ibridi e articolati rispetto al classico impiego in banca o in azienda. Lavorare per progetti e per interessi, poiché se il posto fisso ormai è un miraggio, tanto vale trovare qualcosa che interessi e coinvolga davvero. Così, se i profili professionali più richiesti al giorno d'oggi sono specialisti dell'ICT, ingegneri e programmatori (di cui c'è grande carenza), al contrario sono tanti i professionisti che optano per carriere creative. Come quelli appartenenti al mondo dello spettacolo, gli stessi che SMart supporta ogni giorno. Secondo l'Osservatorio Gestione Lavoratori dello spettacolo e sportivi professionisti dell'Inps, il numero di lavoratori dello spettacolo con almeno una giornata retribuita nel 2017 è risultato pari a 306.234 (attori in testa), di cui la classe di età più numerosa è quella tra i 25 e i 29 anni con 44.219 lavoratori (il 14,4% del totale). Ma le retribuzioni? Scarse, in effetti: mediamente meno di 11mila euro all'anno.

copertina libro SMartAnche questo fa parte del problema: al di là della spendibilità del proprio profilo professionale, in diversi settori – dice Graceffa - il fenomeno dell’auto-impiego sta promuovendo la crescita di vere e proprie forme di auto-sfruttamento. E sono tanti, probabilmente troppi coloro che finiscono per doversi accordare con il datore di lavoro su una somma forfetaria in cambio delle proprie prestazioni: in questi casi per il lavoratore è difficile arrivare a guadagnare più di 4 euro l’ora, e i pochi contributi versati non consentono di avere tutele e servizi commisurati al proprio lavoro. Una tendenza che si ripercuote sull'intero sistema: basti dire che, secondo l'Istat, nel 2015 l'economia sommersa (dove il lavoro nero fa il paio con le attività illegali) aveva un valore di 208 miliardi di euro, il 12,6% del Pil. 

Il lavoro dipendente a tempo indeterminato, insomma, non è più la forma predominante, ma nemmeno l’autoimprenditorialità universale può essere una via sostenibile per il futuro. Occorre trovare una terza via tra l’iperflessibilità e atomizzazione completa del lavoratore da un lato, e l’iperprotetto sistema fondato sul lavoro a durata indeterminata dall’altro. La soluzione che Graceffa propone a tal proposito muove in due direzioni: da un lato, la creazione di un regime europeo universale di protezione sociale (Reups) che riunisca i principi fondanti della previdenza sociale nel continente, rendendo la mobilità lavorativa più sostenibile. Dall'altro, l'introduzione di sperimentazioni sociali come le cooperative d’attività e impiego multisettoriali in Francia, organizzazioni dove le persone sono al tempo stesso salariati e soci dell’impresa, fissano la remunerazione e la indicizzano secondo il fatturato e non secondo il tempo di lavoro o le tabelle contrattuali. Un modello positivo che, secondo l'ad di SMart, potrebbe essere preso da esempio e implementato anche in diversi gruppi sociali e imprese.

Potrebbe funzionare su larga scala? Difficile a dirsi, almeno per ora. Ma esempi positivi di certo non mancano: uno su tutti è Bigre!, primo esperimento transnazionale tra Francia e Belgio fondato su una comunità unica di lavoratori autonomi che garantiscono scambi mutualistici nella gestione fiscale, protezione sociale, auto-finanziamento e tutela dei diritti dei lavoratori intermittenti o indipendenti.

Troppo lontano dalla realtà? L’inizio di un’economia parallela senza scopo di lucro, basata sulla condivisione e la solidarietà redistributiva, è già in atto. La macchina del cambiamento, silenziosa ma tenace, è partita, e Graceffa ci dice che sta crescendo in maniera organica e pervasiva. Chissà che non raggiunga anche voi, lì sotto l'ombrellone, mentre sfogliate le pagine di questo libro.

Irene Dominioni

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