La rivincita dello smart working, il Covid spazza via i pregiudizi sul lavoro a distanza

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 24 Nov 2020 in Notizie

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Guardato con diffidenza in passato e spesso poco utilizzato dalle aziende, lo smart working è diventato fondamentale durante la prima fase della pandemia da Coronavirus questa primavera quando, all’improvviso, si è rivelata unica modalità di lavoro possibile per dipendenti e imprese. Ora che l’emergenza Covid inizia a ridiffondersi in tutte le regioni torna utile verificare quanto il lavoro a distanza abbia funzionato e quali siano state le criticità e i benefici. A farlo è una ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of management del Politecnico di Milano.

Come spesso capita i numeri fotografano perfettamente la situazione: durante la fase
più acuta dell’emergenza lo smart working ha coinvolto praticamente tutte le grandi imprese italiane, il novantasette per cento, e ha registrato ottime adesioni anche nelle pubbliche amministrazioni, solo tre punti percentuali sotto, scendendo di molto per quanto riguarda la sua applicazione nelle piccole e medie imprese, che hanno aderito nel cinquantotto percento dei casi, ma registrando in totale veri e propri numeri da capogiro: 6 milioni 58mila lavoratori agili, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, oltre dieci volte più dei 570mila censiti nel 2019. Capofila per numero di adesioni allo smart working sono le grandi imprese con oltre due milioni, seguite a sorpresa dai lavoratori agili nella pubblica amministrazione, 1 milione 850mila, tallonati dai dipendenti delle microimprese sotto i dieci addetti, 1milione e mezzo, e da quelli nelle pmi, poco più di un milione.

La ricerca, è bene ricordare, si è concentrata solo sulla popolazione dei lavoratori dipendenti escludendo quindi tutte le altre forme contrattuali. Ciò vuol dire purtroppo che sono rimasti fuori dalla rilevazione dell'Osservatorio anche gli stagisti, ritenuti profili meno autonomi, per i quali l’accompagnamento in presenza è ritenuto fondamentale. La pandemia sta portando tanti cambiamenti anche in materia di tirocini, ma per ora lo smart internshipping resta purtroppo fuori dall’analisi del Politecnico.

Quello che lo studio evidenzia è come l’emergenza Covid abbia accelerato una trasformazione del modello di organizzazione del lavoro che in tempi normali avrebbe richiesto anni, «dimostrando che lo smart working può riguardare una platea potenzialmente molto ampia di lavoratori, a patto di digitalizzare i processi e dotare il personale di strumenti e competenze adeguate», spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart working, che lancia però un monito: «Ora è necessario ripensare il lavoro per non disperdere l’esperienza di questi mesi e passare al vero e proprio smart working, che deve prevedere maggiore flessibilità e autonomia nella scelta di luogo e orario di lavoro», così da spingere anche a una maggiore responsabilizzazione sui risultati.

L’analisi mostra, infatti, come la modalità utilizzata sia stata spesso più vicina al telelavoro che allo smart working e qui è necessario specificare la differenza tra le due. Con telelavoro, infatti, si intende un lavoro che si svolge a distanza rispetto alla sede centrale, grazie proprio alle tecnologie informatiche, ma rispetta per esempio gli orari tipici di un ufficio. Diverso, invece, lo smart working in cui l’orario è autodeterminato perché l’importante è raggiungere l’obiettivo prefissato e non ha obbligo di avere un luogo fisico fisso in cui lavorare.  

La ricerca dell’Osservatorio del Polimi si sofferma proprio sulla modalità del telelavoro applicata, evidenziando come quasi tre lavoratori su dieci abbiano trovato difficoltà nel separare il tempo del lavoro da quello privato e mantenere equilibrio tra i due. Se il work life balance è stato il primo ostacolo per i dipendenti delle aziende, il secondo è stata la disparità di carico di lavoro seguita dall’impreparazione dei manager nel gestire l’ufficio da remoto. La situazione cambia quando l’analisi è fatta per le pubbliche amministrazioni, perché qui la difficoltà maggiore, riscontrata quasi dalla metà del campione, ha riguardato l’inadeguatezza delle tecnologie a disposizione, seguita sempre dalla disparità di carico di lavoro, dall’equilibrio tra vita privata e professionale e dalle scarse competenze digitali. Eppure sono state proprio queste ultime ad essere state migliorate da sette lavoratori su dieci nelle grandi imprese e da metà del campione della PA, numeri che evidenziano i benefici che lo smart working ha avuto in generale nel comparto del lavoro.

Fanno riflettere alcuni numeri, che sottolineano la necessità di modernizzazione degli uffici pubblici. Secondo i dati raccolti durante il primo lockdown c’è stata una differenza non di poco conto tra privato e pubblico. Nel primo caso si vede un aumento della dotazione hardware in favore dei dipendenti pari quasi al settanta per cento, il che significa che le aziende si sono rese disponibili a dotare i propri lavoratori ad esempio di computer per continuare a lavorare da casa. Situazione che nel pubblico è avvenuta solo per quattro casi su dieci. E infatti, dall’altro lato, c’è stata l’introduzione della logica “bring your own device”, quindi dell’utilizzo dei propri pc personali non necessariamente dotati di tutti i programmi necessari, per tre quarti dei dipendenti della pa: il doppio di quanto successo nel privato.

Tra le innovazioni applicate durante il lockdown nel campo del lavoro a distanza, è stato il coinvolgimento di professionalità prima ritenute incompatibili con questo modello. Hanno, infatti, lavorato da remoto per la prima volta gli operatori di call center, gli addetti allo sportello e gli operai specializzati. Ma è lo sconvolgimento totale del mondo del lavoro per come è stato concepito fino ad oggi la vera novità. Perché l’indagine, pubblicata prima che le nuove misure restringessero nuovamente le libertà di movimento causa impennata dei contagi, già fotografava a settembre una situazione in cui gli smart worker erano scesi a 5 milioni, perdendo in pratica per strada solo un milione di lavoratori, dimostrando che lo smart working è ormai entrato nella quotidianità degli italiani. Tanto che si stima che al termine dell’emergenza il totale di dipendenti che lavoreranno a distanza saranno 5,35 milioni, con una media delle giornate da remoto che sarà di quasi tre alla settimana per i dipendenti privati e un giorno e mezzo nella pubblica amministrazione.

Ancora una volta l’emergenza ha permesso di capire l’importanza dei vantaggi del lavoro agile e di sperimentarlo su larga scala. «Il rischio, però» spiega Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio Smart Working, «è di trattarlo come un obbligo normativo o una misura temporanea ed emergenziale: si tratta invece di un’occasione storica che ci porterà verso un “new normal”, con benefici non soltanto nel lavoro, ma sull’intero ecosistema di servizi, città e territori».

Durante il convegno di presentazione della ricerca, qualche giorno fa, sono stati assegnati anche gli Smart working Award 2020, riconoscimento dell’Osservatorio alle organizzazioni che si sono distinte per capacità di innovare le modalità di lavoro grazie ai loro progetti di lavoro a distanza. Tre i premiati: Credem Banca, vince lo Smart Working Award 2020 fra le grandi imprese perché durante la pandemia ha esteso il lavoro totalmente da remoto a tutti i dipendenti, circa 5mila lavoratori, prevedendo una giornata agile anche per il front office; Cerence, ritira il premio fra le pmi per aver favorito lo smart working sin dalla nascita nel 2019; Regione Lazio, riceve il premio nella categoria pubblica amministrazione per un progetto che grazie a razionalizzazione degli spazi e percorsi di formazione è riuscita ad affrontare l’emergenza senza grosse criticità.

L’applicazione dello smart working durante la pandemia, quindi, ha dimostrato come sia possibile un modo di lavorare diverso anche per figure una volta ritenute incompatibili con questo modello ed è riuscita ad abbattere nella stragrande maggioranza delle grandi imprese le barriere e i pregiudizi sul lavoro agile, segnando una svolta irreversibile nell’organizzazione del lavoro. Tanto che un terzo delle grandi imprese ha deciso di modificare i progetti di smart working in corso. E ora, con la nuova crescita di contagi in tutta Italia, è probabile che il lavoro a distanza – mai veramente abbandonato in questi mesi – torni prepotentemente protagonista.

Marianna Lepore

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